Il background di Medal in “Cose che non dici mai”: Intervista al cantautore
di Alessandra Savino
“Cose che non dici mai” è il terzo singolo di Medal, disponibile su tutti i digital store dal 14 luglio. Un brano intimo e sensuale, come una dichiarazione mai detta o espressa sottovoce. La sensualità delle parole vengono richiamate da un sound urban abilmente mescolato a melodie indie pop. Un brano che riesce a tenere alta l’attenzione del pubblico. Un’ulteriore conferma delle capacità di Medal di creare un sound difficilmente definibile con un genere solo.
Medal, pseudonimo di Marco Medaglia, è un cantante e autore calabrese. In un mondo sempre più individualista e solitario, lui porta avanti il suo messaggio di sostegno dei diritti degli animali. La musica è per lui un mezzo salvifico con cui trasmettere ciò in cui crede. In questa intervista si racconta in maniera profonda dalle esperienza in tour con la band fino alla carriera da solista.
Attraverso la musica porti avanti un messaggio di sostegno dei diritti degli animali. Da dove nasce questa esigenza? Che ruolo ha nella tua musica?
Nasce dal principio della musica stessa, che considero salvifica, non solo per le persone che ne usufruiscono, ma può esserlo anche pragmaticamente per gli altri esseri viventi. Alla fine i brani che scrivo non trattano direttamente tematiche di sostegno ai diritti animali, ma le rappresentano di riflesso, essendo spesso relativi a storie di vita, che siano belle o brutte, come inno alla stessa. Penso che per quanto sia possibile e in nostro potere possiamo sostenere chi come noi ha diritto alla stessa e alla libertà, cosa che in fondo ricerchiamo tutti ascoltando o facendo musica, e sono poi le cose di maggior valore di cui disponiamo. Gli animali che convivono con me hanno sicuramente contribuito a rendermi conto di tutto ciò e fatto pensare a quanto in pochissimi siano fortunati perché scelti e messi a vivere in casa con noi Tutti gli altri, senza avere alcuna colpa, vengono invece lasciati a sé stessi in gabbie o per strada, cercando di sopravvivere tra mille difficoltà, con cuccioli che potrebbero sopravvivere se avessero qualcosa da mangiare o dei medicinali da pochi euro. Altri, sempre senza alcun diritto a loro riconosciuto, vengono considerati solo carne da macello. L’83% della terra è utilizzata per la produzione di carne e il 60% degli animali vive solo per essere ucciso da noi e solo alcuni di loro arrivano all’anno di vita (numeri che ci dovrebbero far pensare). Penso che la musica possa aiutare insieme a tutte le persone che vogliono migliorare questo posto, a supportare rifugi e animali in difficoltà attraverso delle iniziative. Se possiamo fare qualcosa attraverso la musica o le nostre piccole azioni, credo dobbiamo almeno provarci. Un piccolo gesto per un animale può non cambiare il mondo, ma cambierà il mondo di quell’animale. Lasciamo fuori casa dell’acqua e del cibo, facciamo donazioni (anche piccole) a volontari e rifugi, adottiamo o diamo solo stallo gratuito. Anche già solo in questo modo possiamo salvare delle vite.
Diversi mondi musicali hanno fatto parte della tua carriera: se dovessi ripercorrerli quali senti di dover citare? Quali ti hanno maggiormente influenzato?
Non so quali citerei e quali no, alla fine hanno tutti contribuito come le esperienze fatte, ad essere la persona che sono. Avendo passato qualche anno tra palchi e polvere in centri sociali e club, e non so quanto tempo in furgoni, autostrade e autogrill, grazie a questo genere, forse direi l’hardcore melodico. Ma il cross-over, il grunge e il punk-rock mi hanno avvicinato all’hardcore, alle band e tanto altro. C’è da dire però che in famiglia fin da piccolo si è sempre seguita la musica cantautorale e pop italiana, tra la tradizione del Festival di Sanremo e gli ascolti di mia madre. Probabilmente senza questa non avrei cominciato neanche ad ascoltare musica, o a seguire le prime lezioni di piano da piccolo, chi lo sa.
Hai viaggiato molto in tour, in che modo queste esperienze hanno segnato il tuo percorso artistico?
Ti segnano prima di tutto nei bei ricordi che ti porti dietro e attraverso l’esperienza, tutte le vicende vissute. Ti fa capire l’importanza della professionalità, anche se si passa scherzando la maggior parte del tempo in viaggio. Avere ogni giorno una data in una città diversa dove pianificare spostamenti, necessità, timing e risolvere eventuali imprevisti (che in tour ci stanno quasi sempre). Passi tutte le giornate con la band quindi diventa la tua casa assieme al furgone, passi ore ed ore in autostrada e ascolti di tutto, parli di tutto conoscendo sempre più nel profondo gli altri. Dormi, ti svegli, fai colazione, il tutto insieme e l’affiatamento se c’è complicità si vede subito anche sul palco. Lavori in gruppo e condividi tutto, i traguardi e le delusioni, impari a trovare spesso compromessi. A livello artistico invece, a essere più conscio di ciò che si vuole e come portarlo avanti col giusto supporto e la perseveranza. Impari a gestire un progetto dalla parte artistica, tecnica a quella logistica. Ad interfacciarti con tutti gli interessati dell’ambito (promoters, booking, label, produttori, distributori, grafici, etc). Conosci tante belle persone con la tua stessa passione e tanti bei posti in serate che poi rimangono come bei ricordi, assieme anche alle esperienze negative che ti insegnano a non ripetere gli stessi errori in futuro e hai sempre qualcosa da raccontare al ritorno.
Come sei arrivato alla scelta di passare da un band a progetto da solista?
Non è stata una scelta immediata, anzi. Dopo un periodo di pausa dai palchi ho avuto un bel po’ di tempo per pensare, attraverso vari situazioni e problemi personali. Ricominciare a scrivere mi faceva stare bene, quasi come se riportare nero su bianco su un foglio certe situazioni, le allontanasse da me o le rendesse meno pesanti. Il fatto che la musica fosse per me così curativa, mi ha incentivato nel poter dire “può aiutare altre persone, come sta aiutando me”. L’avere poi conosciuto e adottato gli animali che vivono con me, mi ha fortemente sensibilizzato sul tema della vita, dell’amore, della libertà, solitudine e sfruttamento, sfociando in un desiderio di sostegno degli animali e di rifugi, associazioni, che fanno molto per loro e credo siano anche gli unici. Questo mi ha spinto in questo desiderio di poterli aiutare attraverso la musica, portando avanti il mio messaggio. Così ho cominciato ad acquistare del materiale per vedere come potessero uscire i brani che avevo scritto, che forma potessero prendere con altri strumenti e ho creato una specie di home studio. Ho passato un po’ di tempo per capire come gestire una produzione da solo per poi fare ascoltare le idee a due amici (Carlo e poi Francesco), quest’ultimo (Francesco Strangis) diventato poi il producer degli stessi. L’idea di poter curare e portare avanti un progetto “senza compromessi”, in maniera del tutto personale secondo la mia visione, mi ha dato uno stimolo in più.
“Cose che non dici mai” è il tuo terzo singolo: quanto del tuo passato musicale confluisce nel brano?
All’interno dei brani che scrivo c’è sempre molto del mio passato, perché mi ha caratterizzato come persona e non potrebbe essere altrimenti. E’ la vita che alla fine ti ispira molto spesso, in un modo o nell’altro, a scrivere. Per esempio i momenti di solitudine ma anche di nostalgia, i mesi di viaggi aerei per centinaia di chilometri, tutte esperienze vissute in passato e che ho cercato di condividere con chi mi ascolta. CCNDM tratta proprio questo e credo che a livello musicale porti con sé non solo la sensibilità e l’intimità dei rapporti umani, argomenti sempre importanti per me anche in passato, ma che si avverta anche il background underground col quale sono cresciuto.
Nessun commento
Devi fare per commentare, è semplice e veloce.