Voglia di crisi di governo? L’ennesima prova di realismo della politica italiana

27 Ottobre 2020

“Giuseppi, stai sereno”.
Se ne parla, ormai più o meno esplicitamente. Non sui giornali, dove è ampiamente cominciata la guerra degli spin, la narrazione dominante è di un Conte in crisi (forse complice la malattia di Casalino?). Sta di fatto che la rassegna stampa politica di oggi è piuttosto esplicita: Conte all’angolo, alle strette, che deve difendersi e spiegare. Così si spiegherebbe, del resto, il suo aver abbracciato ormai la linea dura di Speranza e Franceschini, di fatto tovandosi però così a rompere l’asse con Renzi che lo aveva in qualche modo protetto negli ultimi mesi. Tuona, in proposito, Nicola Zingaretti: “non si può stare al governo e poi fare opposizione appena finito il consiglio dei ministri”. Sacrosanto, ovviamente. Non fosse che la stessa cosa, appena la settimana scorsa, l’avevano fatta i suoi di ministri, Dario Franceschini in testa che, appena licenziato il vecchio Dpcm chiedeva a favor di taccuini e telecamere più rigore.

Anche tra i notisti politici di lungo corso, sui giornali di oggi, la “solitudine di Conte”, raccontato appena qualche giorno fa come vittima certo di errori ma anche di molte invidie, sembra il preludio a un suo possibile impallinamento a breve. Con perfino il “suo” Movimento 5 Stelle già pronto a dismettere i panni della difesa strenua, parrebbe, adesso che il secondo giro nell’inferno del Coronavirus inizia già sapendo che non andrà tutto bene, che non si sa come uscirà un’economia già provata e fragile, e che, infine, nessuno sa garantire che dopo il “2” non ci sarà il 3.

Insomma, in un momento che ha tutta l’aria della tragedia, sembra che più di qualcuno, nei partiti di maggioranza, sia pronto a sfruttare la contingenza per “cambiare” gli assetti di governo. Magari sperando di sfruttare la disponibilità al dialogo di quel che resta di Forza Italia; sicuramente sfruttando l’esasperata ossessione per la tattica politica di Matteo Renzi; ragionevolmente cogliendo gli sbandamenti finali della truppa parlamentare del Movimento 5 Stelle; certamente raccogliendo i frutti dell’indistinguibile confine tra Pd e potere, sempre raccontato come estremo senso di responsabilità. Ed è proprio nel nome del senso di responsabilità che, a quanto pare, il Pd starebbe lavorando per sostituire Giuseppe Conte con il ministro più importante che ha al governo, cioè il capo dell’economia, Roberto Gualtieri. Non con Mario Draghi, che ovviamente aprirebbe altri scenari politici e un altro livello di dibattito,  ma con un ministro di questo governo. Con l’obiettivo – adesso che gli errori del governo, peraltro posto di fronte a una situazione di difficoltà epocale, sono diventati la “base nobile” per un calo di consenso – di scaricare tutto su Giuseppe Conte, per ricominciare da zero: anzi, con un po’ di potere diretto in più.

Le domande che lasciamo al dibattito sono diverse.

La prima, probabilmente marginale: sappiamo di un asse solido tra Conte e Gualtieri, che sarebbe stato costruito sulla condivisione del “no” al MES. Cosa resterò di quell’asse umano e politico? Soprattutto: il sì al MES è la base per la manovra che verrà? Varrebbe la pena di parlarne.

La seconda: I tempi sono necessariamente strettissimi. Servirà un governo in piena carica per le (gravosissime) scadenze economiche e contabili di fine anno, come la manovra. Pronti ad aprire una crisi in piena seconda ondata?

La terza, la più importante: sicuri di riuscire a spiegare agli italiani che non è solo per una brama di potere che si procede? Sicuri che, una volta sostituito il comandante, e con davanti comunque una navigazione sicuramente agitata, riuscirete a gestire il potere che tano volete e quel minimo di consenso che, però, sempre serve per farlo?

 

 

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CAT: Partiti e politici

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