Partiti e politici

Ascesa e caduta del riformismo sbagliato

Il 10% di chi lavora a Milano è pagato meno della soglia di povertà. Il rapporto tra prezzi e stipendi è tra i peggiori delle grandi città europee. Tutto questo è successo sotto il naso del “modello Milano” e del riformismo sbagliato

20 Luglio 2025

Milano è una città che fa, senza fermarsi. Capita che, a forza di fare, inventi ricette apprezzate in tutto il mondo. Non me ne vorrà la giunta: non sto parlando del “modello Milano” ma del Negroni sbagliato, inventato nel capoluogo lombardo a metà anni ‘70 e oggi servito nei bar di tutta Europa. 

Scoperta semplice ma efficace: spumante anziché gin nel più classico Negroni. 

Con la politica cittadina si è provato a fare lo stesso. C’era una volta il riformismo socialista, che nello spazio di un secolo ha avuto campioni come Turati e Tognoli (e l’elenco sarebbe ben più lungo). Ha amministrato la città in anni di grande crescita che seguivano gli anni della grande paura. Una città che si scopriva più viva, più illuminata, più ricca. E con lei i milanesi, di nascita o di scelta, coinvolti in un volano di opportunità senza precedenti. 

Ma veniamo all’attualità. Presentarsi alla città come “nuovi riformisti” deve essere sembrata un’idea brillante. Certo, un riformismo epurato dall’armamentario culturale del socialismo democratico. Come il Negroni, un riformismo “sbagliato”: tre quarti di mercatismo e un quarto di sinistra radicale. Del resto, come noto, i gusti apparentemente contrastanti sono un piacere proibito del palato.

E i nuovi riformisti hanno gestito con un consenso larghissimo una fase di crescita lunga, dal post Expo al post pandemia. Un’occasione straordinaria per rendere la città più giusta, vivibile, dalle opportunità diffuse. Invece solo nell’ultimo anno 50.000 milanesi sono andati altrove, messi di fronte al dilemma tra restare in città facendo grandi sacrifici o fare le valigie. Il 10% di chi lavora a Milano è pagato meno della soglia di povertà. Gli affitti galoppano e i mutui sono per molti inaccessibili. Il rapporto tra prezzi e stipendi è tra i peggiori delle grandi città europee. Tutto questo è successo sotto il naso del “modello Milano” e del riformismo sbagliato. E non sono mancati esponenti di punta che, fino a poco tempo fa, lodavano il “turn over” come elemento di dinamicità. Non ce la fai più a vivere a Milano? Avanti il prossimo, magari più ricco. Perché chi se ne va è comprensibilmente deluso, ma non vota più qui. 

E ora, sotto i colpi delle leggi mancate e delle inchieste, si parla di cambio di passo, di terzo tempo, di politiche sociali. Dopo 8 anni di amministrazione e dopo aver ignorato i segnali evidenti dell’imminente crash sociale. Senz’altro troppo tardi, con tutta probabilità troppo poco. 

E dire che il riformismo, secondo una felice definizione di Rino Formica, è occuparsi dei problemi quando sono maturi, prima che diventino marci. 

Invece alcuni dei protagonisti di questa stagione parlano nelle loro biografie di “gloriose multinazionali” e nei loro post sui social del provincialismo di chi si lamenta di affitti alti e stipendi bassi. 

La distanza siderale con la città segna la fine di un ciclo. Ne verrà un altro presto, perché la natura della città non ama le pause. E serve che sappia tenere insieme sviluppo e giustizia sociale.

Ma Milano ha bisogno di risposte immediate: sulla contrattazione integrativa, sulle politiche abitative. 

È tempo di una città a misura di chi ci lavora. 

 

Ps: il Negroni sbagliato è nato al Bar Basso, dove è anche esposta una splendida foto di Sandro Pertini in visita al bar. Anni in cui il riformismo parlava la lingua dei cittadini. 

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