Partiti e politici

Ma tu guarda… gli italiani non vogliono cambiare

22 Settembre 2020

Il dato che balza all’occhio nei risultati delle elezioni regionali è il rinnovo del mandato a tutti e quattro i Presidenti uscenti che si sono ripresentati, sia di destra che di sinistra: Toti in Liguria, Zaia in Veneto, De Luca in Campania e Emiliano in Puglia. La Toscana ha cambiato governatore, ma non colore politico;  solo nelle Marche c’è stato un vero “cambio di guardia”, con il governo regionale che passa dal centrosinistra alla destra.

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Anche il risultato del referendum, pur realizzando il cambiamento della Costituzione, ha in realtà un effetto stabilizzante sullo status quo politico: il Movimento Cinque Stelle si rafforza; il Partito Democratico non viene sconfessato dai suoi elettori (malgrado i mal di pancia costituzionali di molti); i piccoli partiti della maggioranza vengono “rimessi in riga”. Sebbene dall’opposizione fossero venuti inviti piuttosto espliciti a votare “no” per provocare il tracollo del M5S (e, di conseguenza, del governo), gli elettori di destra hanno preferito non “affondare il colpo”:  per rendersene conto basta confrontare i risultati dei due voti in Veneto (“sì” oltre il 60%, Zaia al 76%).

Che spiegazione dare? E’ solo merito delle buone capacità di chi ha finora governato, nelle Regioni al voto e nel Paese? O forse in un momento di grande incertezza gli italiani, pur scontenti, hanno preferito non correre il rischio del cambiamento? Si può ipotizzarne un’altra, davvero poco confortante: la mancanza di una vera alternativa.

Nelle regioni del sud, la destra ha scelto come sfidanti dei presidenti uscenti due ex di lungo corso: non certo il modo migliore per catalizzare un desiderio di novità. Nelle regioni del nord dove, al contrario, erano favoritissimi due governatori di destra, il centrosinistra ha presentato candidati  improvvisati, sostenuti da coalizioni fragili. Infine, in Toscana si sono confrontati due concorrenti piuttosto deboli e a prevalere nella scelta di voto sembra essere stata la valutazione dei possibili effetti sulla politica nazionale.

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Sembra insomma che, prima dei cittadini, siano stati i partiti a rassegnarsi a priori alla prosecuzione dell’esistente, rendendo impossibile il ricambio. E’ un segnale di enorme debolezza, che svuota di senso la democrazia e rischia di soffiare sul fuoco della disaffezione e del disimpegno degli elettori. Più che della nuova legge elettorale e delle poltrone da distribuire, i capi partito dovrebbero occuparsi seriamente di questo: di elaborare una  proposta politica convincente e di selezionare una valida classe dirigente. Altrimenti, presto o tardi potrebbe arrivare un “uomo forte” e prendersi il Paese con la sola forza della novità e dell’assenza di rivali credibili.

Questo election day, tutto sommato così poco sconvolgente, ha suonato un campanello d’allarme: speriamo che qualcuno abbia voglia di ascoltarlo…

 

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