Costume
Normalità generale. Il caso Vannacci e la battaglia sul buonsenso
Il libro del generale Vannacci è il caso editoriale e culturale dell’estate. Sbeffeggiato da molti, idolatrato da alcuni, difeso senza entusiasmo da altri, ha finalmente fornito quello che la destra al potere implicitamente voleva senza riuscire a sfornare: una base ideologica per la tanto voluta lotta per l’egemonia culturale. Questa battaglia, più volte evocata da intellettuali di destra e dal ministro della cultura, era rimasta, per ora, nelle intenzioni o in pallidi tentativi. La questione dell’egemonia evocata dalla destra, in realtà, si è articolata in una serie di lamentele per la carenza della posizione di destra nella (vera o percepita) cultura alta. È invece ben noto che la cultura di destra nelle sue varie forme (securitarie, contro l’uguaglianza e l’inclusione, contraria ai sindacati, anti-femminista, razzista, etc.) ha già ampiamente pervaso la percezione diffusa di molti media, tanto da essere, per molti aspetti, la cultura egemone di larghe fasce della popolazione italiana.
Eppure mancava una summa che concentrasse molti di questi argomenti in un nucleo unitario. Il libro del generale colma questa lacuna. Molti hanno irriso il contenuto del libro, altri hanno deplorato l’eccessiva pubblicità che ha fatto vendere tantissime copie al generale. Inoltre, non si deve pretendere troppo da un testo in sostanza estemporaneo che fa parte di uno sfogo personale, più che di una vera elaborazione compiuta. Ma in mancanza di altro, il testo del generale, di fatto, deve essere considerato il manifesto ideologico della destra italiana. E in quanto tale va valutato, senza cadere nell’errore di controllarne i refusi o gli errori. Il suo tono argomentativo è limitato e la scrittura perfettibile, ma non è peggio (anzi a tratti forse meglio) di interventi pubblici di politici e opinionisti di destra.
Il volume è una lunga cavalcata su vari temi (ambiente, famiglia, donne, sicurezza, multiculturalismo, identità sessuale) in cui il generale se la prende con l’ideologia radicale che sta costruendo un “mondo al contrario”. Questo nemico ideologico, in cui confluiscono cose molto diverse (le varie e spesso divergenti forme di ambientalismo, i tanti tipi di femminismo, il movimento decoloniale, il queer, etc.) è chiamato in causa come se avesse un’unica faccia. Contro questo nemico il generale erge l’autorità del buonsenso, ovvero la tradizione e i costumi a cui eravamo abituati. In maniera ironica e provocatoria, ma sicuramente seria, Gianfranco Pellegrino sostiene che dovremmo ringraziare il generale perché segnala che, dal punto di vista dei conservatori e reazionari, il mondo sta andando al contrario. In tal senso, anche in Italia stiamo iniziando ad avere le culture wars tipicamente americane. L’oggetto del contendere, che include tutti i temi sociali di cui si diceva, è la definizione della normalità. Come ha scritto giustamente Mariano Croce, la normalità è, in quanto prodotto dell’interazione sociale, costantemente sottoposta al cambiamento, dovuto non a necessarie e imperscrutabili tendenze naturali, bensì alla continua rinegoziazione dei vari attori sociali coinvolti. Quindi la normalità non esiste o se esiste è continuamente in evoluzione, che siamo d’accordo o no.
Ma le culture wars sono tali perché una parte rifiuta in toto il cambiamento anche quando è già in atto. E nel farlo si appella, come il nostro generale, al buonsenso. Cosa sia il buonsenso o senso comune è quanto di più ineffabile e impossibile da cogliere. Se c’è è implicito, non serve nemmeno evocarlo. Se viene attaccato in massa forse vuol dire che non c’è più o che non c’è nella misura in cui i suoi difensori lo presuppongono. In questo quadro culturale vale la pena di cercare di capire quali sono gli argomenti che dovrebbero sostenere le tesi del generale e quindi le tesi del conservatorismo italiano. Del libro del generale sono state prese alcune parti particolarmente reazionarie (su tutte, le tirate contro l’emancipazione femminile, l’accusa di anormalità degli omossessuali). Ma il libro contiene, oltre a questi passaggi, una serie di argomenti che non sono necessariamente sbagliati, insultanti o falsi (in quanto, ad esempio, contrari alle conoscenze scientifiche). Anzi, il generale si premura più volte di professare una fede liberale e democratica e non si pone in contrasto con le conoscenze scientifiche (non nega la causa antropica del cambiamento climatico ma ne minimizza la portata e critica il bisogno di cambiare radicalmente il nostro sistema produttivo per contrastarlo). In breve, preso in molte sue pagine il libro non risulta molto diverso da affermazioni discutibili ma legittime che hanno ampia risonanza nei media italiani e internazionali.
Sui singoli aspetti si potrebbe fare ampia attività di debunking. Gli errori argomentativi, frequenti nel testo ma tipici di molta pubblicistica conservatrice, ammontano a due tipiche fallacie: lo straw man e la risposta non pertinente. Nel primo caso, il generale ha buon gioco nel crearsi un nemico inesistente (il radicalismo utopistico che esiste più nelle lamentele dei suoi nemici che nella realtà) in cui vengono messi assieme tutti: i movimenti di protesta sessantottini, le varie forme di femminismo contemporaneo, il movimento contro l’emergenza climatica, etc. Pare una forma di inutile precisione il ricordare che si tratta di questioni molto diverse e di movimenti che sono in disaccordo su varie cose, oltre ad essere articolati al proprio interno. Mettendo insieme cose che nella realtà sono distinte, Vannacci crea uno spauracchio indistinto che ha come unica unità l’essere contrario al buonsenso del generale.
L’altra strategia polemica molto utilizzata è l’uso di un’affermazione di per sé non scorretta, ma inadeguata perché irrilevante, cioè valida per una questione diversa da quella affrontata. Ad esempio, nel parlare di cambiamento climatico il generale se la prende con i movimenti per la giustizia climatica, pur non negando, a suo dire, la natura antropica del cambiamento climatico. Ma, per rifiutare le proteste di Fridays for Future o di Ultima Generazione, il generale usa il vecchio armamentario contro l’ambientalismo degli scorsi decenni. Ad esempio, il generale sostiene che al giorno d’oggi l’Europa sia meno inquinata di quaranta anni fa (p. 22). Il che è per molti aspetti vero perché, appunto, l’attivismo ha migliorato la legislazione sulle sostanze inquinanti nelle nostre società. Ma l’inquinamento generico non è ciò che viene denunciato da Fridays for Future o da Ultima Generazione, i quali si concentrano sulle emissioni di anidride carbonica che sono aumentate, nonostante il miglioramento dell’inquinamento per altri aspetti. Analogamente i movimenti per la giustizia climatica sono equiparati a quelli che si oppongono a ogni opera di intervento umano nella natura, come se desiderassero un ridicolo e utopico ritorno alla naturalità primordiale. Quindi, mettendo insieme una costruzione fantasiosa ed esagerata del nemico, e un uso strabico e furbo degli argomenti, il generale rigetta tutte le cause progressiste degli ultimi anni.
In maniera più sostanziale, oltre alle tirate polemiche, il volume del generale vorrebbe essere una ripresa del buonsenso, cioè dell’insieme di giudizi, valori e standard condivisi che tradizionalmente la nostra comunità condivide. Ma cosa sia questo buonsenso è quanto di più sfuggente possa esserci. In primo luogo, c’è un problema squisitamente filosofico nella giustificazione del buonsenso. Il buonsenso è uno standard comunemente accettato, che è considerato valido proprio in virtù del fatto che è condiviso. Il problema è che, se non fosse condiviso, non sarebbe un buonsenso autorevole poiché non sarebbe un fatto condiviso. Quindi, nel denunciare l’attacco al buonsenso fatto dal progressismo radicale non si capisce se il buonsenso sia ancora esistente (e in quanto tale l’attacco del radicalismo sarebbe refutato dall’esistenza stessa del buonsenso), o se il buonsenso non sia più condiviso (nel qual caso il buonsenso, non essendo più un fatto sociale, non avrebbe alcuna autorità).
Allargando lo sguardo, ci si può chiedere quali siano gli argomenti generali a favore di una posizione conservatrice o reazionaria riguardo alle culture wars. In estrema sintesi, sono di tre tipi: i benefici dell’ordine, il rischio causato dal cambiamento, l’oggettiva bontà di un ordine sociale.
1. In primo luogo, un difensore della tradizione può sostenere che un certo ordine sociale è buono e va difeso perché ha portato e porta vantaggi. Come ripete più volte Vannacci, non dobbiamo farci allettare dalle sirene contrarie allo sviluppo tecnologico di certi ambientalisti o di un multiculturalismo troppo comprensivo verso le altre culture, perché la nostra cultura occidentale ha portato benefici superiori alle alternative. Volendo prendere per buono questo argomento nella sua estrema generalità, e lasciando da parte il fatto che nessuno voglia tornare alla natura primordiale o giustificare come culturalmente legittime certe violazioni dei diritti umani, la questione è più aperta di come la presenta Vannacci. Infatti, la cosiddetta forma di vita occidentale può continuare ad essere prospera materialmente anche introducendo tutti i cambiamenti che il generale teme. Il fatto che un certo ordine sociale comporti dei benefici non significa che sia la sola alternativa a comportarli, o che una sua evoluzione non possa mantenere questi benefici o incrementarli.
2. In secondo luogo, un argomento classico dei conservatori è il timore del cambiamento. Visto che modificare l’ordine sociale è molto complesso e soggetto all’incertezza, c’è il rischio che abbandonare la rete di valori, standard e aspettative che costituisce un certo ordine sociale comporti disordine oppure un ordine sociale peggiore di quello preventivato. In astratto, questo argomento non è di per sé erroneo. Ma sottostima quanto l’attuale ordine sia il frutto di continui cambiamenti passati di cui ci siamo dimenticati. Inoltre, sembra implicare che non è possibile alcun cambiamento, se non minimale, pena il crollo dell’ordine come se fosse un castello di carte. L’incertezza del futuro non è un buon argomento per non cambiare, parzialmente o radicalmente, pezzi dell’ordine sociale.
3. In terzo luogo, si può sostenere che un certo ordine sociale sia buono perché ancorato a una dimensione sostanziale indipendente. Buono perché corrispondente al canone naturale, al dettame divino o a valori assoluti. Il problema di questa strategia, molto percorsa dai reazionari del passato ma largamente assente dal volume del generale (a parte qualche riferimento alla naturalità della famiglia “tradizionale”) è che sembra attualmente indisponibile. Senza indulgere nella retorica del pluralismo dei valori, nelle società contemporanee gli unici valori sufficientemente robusti sono quelli di libertà, uguaglianza e diritti umani che, pur non negati dal generale, sembrano portare a una società più diversa e in evoluzione rispetto allo standard del presunto buonsenso.
Questo detour argomentativo non intende dare una caratura filosofica pretestuosa a un volume che non ha questi scopi. Questa analisi è, invece, necessaria per vagliare il senso ideologico del discorso del generale per capire cosa può sostenere la sua parte politica e culturale. Il volume del generale, infatti, pur nei suoi limiti argomentativi e sostanziali, è più onesto di larga parte del discorso pubblico della destra italiana (e non solo). Il generale si sforza di sostenere una posizione in maniera sostanziale, a differenza della strategia furba e rinunciataria di quasi tutti i suoi compari ideologici. Quest’ultimi, infatti, oltre a prendersela contro i veri e presunti nemici, si trincerano dietro una difesa strenua del (loro) diritto di parola e dietro un vittimismo tipico della tradizione neofascista italiana. Se la destra al potere ambisce a invertire una presunta egemonia culturale progressista, è giusto che ci sia questo dibattito e che gli argomenti vengano messi sul tavolo. Vedremo se saranno in grado di dimostrare che il movimento contro la crisi climatica o contro la società patriarcale possono essere refutati da valori assoluti (divini? naturali?), o se riusciranno a sostenere che l’attuale ordine sociale è il migliore tra quelli possibili perché beneficia tutti. Siamo sicuri che benefici proprio tuttə?
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