Tutti i discorsi del Presidente

3 Febbraio 2015

Tra poche ore giurerà e farà il suo discorso di insediamento Sergio Mattarella. È il dodicesimo presidente della Repubblica italiana. Prima di lui, undici presidenti e dodici discorsi di insediamento. Ve li riproponiamo tutti.

 

Enrico De Nicola, Presidente dal 15 Luglio 1946

 

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Luigi Einaudi, Presidente dal 1948

 

 

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Giovanni Gronchi, Presidente dal 1955

 

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Antonio Segni, presidente dal 1962

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Giuseppe Saragat, presidente dal 1964

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Giovanni Leone, presidente dal 1971

 

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Sandro Pertini, presidente dal 1978

 

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Francesco Cossiga, presidente dal 1985

 

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Oscar Luigi Scalfaro, presidente dal 1992

 

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Carlo Azeglio Ciampi, presidente dal 1999

 

CERIMONIA DI INSEDIAMENTO
DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI

Roma – Camera dei Deputati
(Seduta comune del 18 maggio 1999 – Ore 17.00)

GIURAMENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CARLO AZEGLIO CIAMPI

Quando il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, accompagnato dal Presidente della Camera Luciano Violante e dal Vicepresidente vicario del Senato Carlo Rognoni, entra nell’Aula, l’Assemblea si leva in piedi – Vivissimi, prolungati applausi, cui si associano i membri del Governo ed il pubblico delle tribune. Il Presidente della Camera prende posto al suo seggio, con alla destra il Presidente della Repubblica ed alla sinistra il Vicepresidente vicario del Senato.

PRESIDENTE VIOLANTE:
Onorevoli deputati, onorevoli senatori, invito il Presidente della Repubblica a prestare giuramento davanti al Parlamento a norma dell’articolo 91 della Costituzione (L’Assemblea si leva in piedi).
Il Presidente della Repubblica legge la formula:

“giuro di essere fedele alla Repubblica
e di osservarne lealmente la Costituzione”

(Vivissimi, prolungati applausi, cui si associano i membri del Governo e il pubblico delle tribune).

 

Il Presidente della Camera cede il suo seggio al Presidente della Repubblica e prende posto alla sua destra.
PRESIDENTE VIOLANTE:
Il Presidente della Repubblica rivolgerà ora il suo messaggio al Parlamento. Invito gli onorevoli deputati e gli onorevoli senatori a prendere posto.

Il Presidente della Repubblica, restando in piedi, pronuncia il seguente Messaggio:

 

MESSAGGIO AL PARLAMENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

CARLO AZEGLIO CIAMPI

 

Signor Presidente,
Onorevoli parlamentari,
Signori delegati regionali,

il mio omaggio va all’Assemblea che mi ha eletto, al Parlamento nella sua più alta composizione, che esprime la rappresentanza nazionale ed i suoi valori storici e, assieme ad essa, le autonomie politiche e le identità culturali delle regioni italiane.

Oggi in quest’aula non sento soltanto la voce della comunità italiana che vive ed opera nei confini della Repubblica. Sento anche quella degli italiani che vivono la loro cittadinanza nel territorio dell’Unione, rappresentata dal Parlamento europeo (Vivissimi applausi). E, non meno nitida e forte, sento la voce della più larga comunità italiana diffusa nel mondo (Vivissimi applausi), in fiduciosa attesa di più dirette vie di partecipazione politica e sempre pronta a dare alla madre patria una ricchezza di cultura, di conoscenze, di riconoscenza.

Di questa pienezza di unità nazionale voi vi siete resi interpreti con la votazione che mi ha eletto. E io mi adopererò per far perdurare questa significativa convergenza costituzionale da voi creata. Una convergenza costituzionale che, nella sua specificità, non nega, anzi presuppone il normale, vitale, netto confronto tra maggioranza e opposizione.

L’unità nazionale che dovrò rappresentare e perseguire impone che si volga lo sguardo verso quello che sarà il destino degli italiani nel secolo che sta per cominciare.

Le fortune d’Italia, dei suoi giovani e delle generazioni che verranno, si affidano alla capacità di aprire ancor più la nostra società e i nostri ordinamenti. Questi saranno tanto più validi quanto meglio sapremo collegarli, coordinarli, renderli consonanti con le realtà europee e mondiali.

Avverto il dovere di riaffermare questa esigenza nel giorno solenne in cui rivivono le memorie nazionali e patriottiche, il ricordo degli uomini che hanno fatto la nostra Italia attraverso lotte civili e militari: testimonianze tutte della continuità della nazione. Quella continuità che ha saputo superare e vincere anche la più grave frattura della nostra storia, perché mai è venuto meno, dal Risorgimento a oggi, il senso profondo della patria, che ha poi consentito, nella Repubblica democratica, la piena pacificazione tra tutti gli italiani (Vivissimi applausi).

Proprio perché sappiamo profonde, e a tutti comuni, le radici della nostra italianità possiamo investire questo patrimonio nazionale. Investirlo soprattutto in Europa, in quell’Unione che ci ha visti sempre protagonisti nel costruirla. Investirlo nel Mediterraneo, dove i popoli che ci circondano guardano all’Italia come luogo d’incontro naturale e storico delle civiltà che su questo mare si affacciano. Soprattutto da noi, essi attendono l’impulso alla creazione di condizioni di sviluppo nella sicurezza e nella stabilità.

L’unità degli italiani è oggi specialmente necessaria per affermare davanti a tutti i popoli la nostra naturale vocazione, consacrata nella Carta costituzionale, a operare concretamente per la pace, sempre e in ogni luogo (Vivissimi applausi).

L’aggressione contro gli innocenti, l’estirpazione dei popoli dalla loro terra natale hanno riportato in Europa l’orrore dell’odio razziale.

È contro questo odio che si è determinata l’inevitabilità del ricorso alle armi. Una tragica realtà di violenze, di lutti, di distruzioni ci angoscia ogni giorno.

Urge che si facciano ancor più forti la voce della politica e la tenacia del negoziato, affinché garanzia del rispetto dei diritti umani e premesse certe di una pace vera siano subito e insieme stabilite.

La dura lezione del conflitto balcanico spinge ad ampliare, a rendere più lungimirante la nostra concezione europea.

Ogni focolaio bellico nel nostro continente è ferita inferta alla stessa Unione europea e ai suoi valori. La pace duratura può raggiungersi solo allargando i confini dell’Unione. Essa si fonda sul principio dell’inclusione e non dell’esclusione. È questa l’idea-forza, la “pax” europea tra uguali che dobbiamo offrire, con iniziative immediate e concrete, ai popoli dell’Europa che sono fuori dell’Unione.

La sicurezza, l’avvenire della regione balcanica non risiedono nella moltiplicazione di piccoli Stati nazionalisti. Risiedono nel disegno di un percorso di estensione, graduale nel tempo ma certo nella conclusione, della cittadinanza europea ai popoli che nel continente hanno vissuto e vivono la loro identità storica.

Questo sforzo europeo per una pace che non sia solo un armistizio deve vedere in prima linea noi italiani. Noi che abbiamo l’onore di convivere, nella città di Roma, con una suprema istituzione di pace, la Chiesa cattolica. E con una figura di riferimento universale dei più alti valori umani, il Sommo Pontefice, al quale va oggi il mio grato pensiero per il suo operare senza riposo (Vivissimi applausi).
Signor Presidente,
il senso dell’unità nazionale ci deve guidare nel compito primario del rafforzamento del nostro sistema politico.

Nel mio giuramento, che è prima di tutto impegno solenne e incondizionato di osservare il dettato della Costituzione, c’è anche la consapevolezza dell’esigenza di un naturale sviluppo e aggiornamento istituzionale.

Vi è una costituzione europea che nei principi democratici generali, nella tutela dei diritti fondamentali, nelle fonti del diritto fa già corpo unico con la Costituzione del 1948.

Ma molto ci resta da fare per portare il nostro sistema politico alla modernità costituzionale europea in numerosi suoi lineamenti:
– nelle istituzioni di un federalismo che risponda al principio di sussidiarietà, a partire dalle autonomie comunali, e che già prima delle elezioni regionali del 2000 dovrebbe vedere attuate le sue premesse costituzionali (Vivi applausi);
– nelle procedure elettorali, che devono costruire l’equilibrio tra la primaria esigenza di esprimere un Governo di legislatura e la rappresentatività politica del paese;
– nella forma di governo e nei modelli di pubblica amministrazione, che devono garantire requisiti europei di stabilità, di trasparenza, di efficacia ed efficienza;
– nell’organizzazione della politica, in cui i partiti si confermino, in forme moderne, strumenti indispensabili per esprimere la volontà dei cittadini e far corrispondere l’agire politico al sentire comune;
– negli ordinamenti della giustizia, dal momento che la certezza del diritto e il principio del giusto processo, garantiti dalla intangibile indipendenza della magistratura, sono un bene pubblico che non può essere sacrificato ad alcuna altra esigenza;
– nei sistemi di sicurezza interna e di difesa comune, dove l’abnegazione e la capacità degli uomini e delle donne delle Forze armate e delle forze dell’ordine possono essere compiutamente valorizzate con una integrazione operativa sempre più profonda nella dimensione europea, la sola in cui si possono trovare giuste soluzioni anche ai problemi dell’immigrazione.

Signor Presidente,
dobbiamo essere uniti anche nell’impegno per il rafforzamento del nostro sistema economico.

La creazione della moneta unica europea, grande evento politico e non solo economico, ci impone di far sì che l’economia italiana risponda sempre più alle caratteristiche del modello di sviluppo europeo che insieme con gli altri paesi dell’Unione stiamo disegnando.

È fatto, questo modello, di libertà d’impresa sia dai lacci sia dai sussidi di Stato. È fatto di difesa dei consumatori contro i monopoli. È fatto di capacità di fusione dei mercati nazionali in un unico mercato europeo e in una armonizzazione giuridica, tali da accrescere la competitività globale. È fatto della volontà di dare alla istruzione scolastica, universitaria, professionale, efficacia appropriata ai tempi, operando sui metodi e sui contenuti dell’insegnamento. È fatto della volontà di adeguare la formazione e l’apprendimento permanente alle esigenze dei nuovi modi di produzione; ma anche e soprattutto all’ordine temporale delle stagioni della vita lavorativa e alle condizioni del lavoro femminile.

I lavoratori italiani, gli imprenditori, le loro organizzazioni sindacali hanno dato un apporto determinante al superamento della grave crisi economica, sociale, politica esplosa agli inizi degli anni novanta. Ho viva la memoria di quel giorno del luglio 1993, quando con l’accordo tra il Governo e le parti sociali fu posta la pietra angolare sulla quale il paese ha retto negli anni difficili della transizione e ha ricostruito la propria stabilità economica.

Ma accanto e prima dei lavoratori occupati, ci sono quelli disoccupati. E oggi dobbiamo rinnovare l’impegno perché tutte le nostre politiche assumano come riferimento assoluto la lotta alla disoccupazione (Vivissimi applausi).

Abbiamo operato con successo per la stabilità economica. Essa ci ha permesso di essere tra i paesi fondatori della moneta unica europea. Dobbiamo operare con la stessa metodica determinazione per lo sviluppo e per l’occupazione. È questo il traguardo della nostra passione civile.

Un traguardo che si appunta specialmente laddove la disoccupazione si addensa, nel Mezzogiorno. Un Mezzogiorno che si ritrova al centro di un’area di interesse vitale per l’Europa, a mano a mano che il pendolo della storia si riporta verso il Mediterraneo. La promozione civile e produttiva dell’economia meridionale diventa allora un’opportunità di respiro continentale. Si avvertono nella società meridionale i segni di una forte spinta collettiva a essere protagonista dello sviluppo nelle singole realtà locali e nell’intera regione.

È in atto nel mondo un confronto aperto tra il modello europeo, che intende stimolare il libero mercato coniugando con esso politiche rispettose della dimensione sociale, e i modelli proposti dalle altre economie avanzate, con le loro virtù, con le loro vitalità, con i loro limiti.

Le imprese italiane, piccole e grandi, che ancora sopportano i residui delle rigidità burocratiche proprie di una estesa presenza statale, devono essere in prima fila ad affrontare questa sfida.

La devono affrontare accrescendo la loro duttilità aziendale, rafforzando i distretti, industriali e agricoli, rendendo più intense le connessioni tra produzione di beni, produzione di servizi e istituzioni territoriali; affinando la loro attitudine a capire la complessità dei mercati e ad anticiparne i mutamenti. La devono affrontare anche con l’impegno nella ricerca in fecondo collegamento con le università, con il pronto inserimento delle innovazioni nei processi produttivi, con la difesa dell’ambiente intesa come grande opportunità economica creatrice di iniziative e di lavoro, ma soprattutto sentita come vincolo costituzionale di interesse generale. Vincolo che esprime il dovere di preservare un patrimonio, la terra, ereditato dai nostri padri per consegnarlo integro ai nostri figli (Vivissimi, prolungati applausi).

Signor Presidente,
sta per aprirsi un nuovo millennio. Agli italiani, e in particolare alle speranze dei giovani, sento di poter dire che ci sono le condizioni perché il paese compia un deciso balzo in avanti.

In questi ultimi cinquant’anni l’Italia è cresciuta, nella libertà, più che in qualsiasi altra epoca della sua storia. Abbiamo raggiunto più di quanto sognammo negli anni della nostra giovinezza, della giovinezza della Repubblica (Vivissimi, prolungati applausi). Oggi l’orgoglio del nostro patriottismo si fonda su quello che siamo riusciti e riusciamo a fare con la nostra operosità, con la nostra arte, con la nostra ricerca, con l’ingegnosità e lo stile dei nostri prodotti, con il contributo di equilibrio e di idee in ogni campo delle nostre relazioni internazionali. Questo significa oggi, nel mondo, essere italiani (Vivissimi applausi).

Delle potenzialità di questa nuova Italia noi per primi dobbiamo essere coscienti e ritrovare in noi l’entusiasmo per tradurle in realtà, superando di slancio la linea d’ombra che sembra proiettarsi su questa chiusura di secolo.

Perché ciò avvenga è essenziale una vera stabilità politica, che è continuità del governare nel succedersi delle legislature e nell’alternarsi delle maggioranze.

Solo la stabilità politica può suscitare quel clima di fiducia che stimola a progettare e a intraprendere, che rassicura i cittadini risparmiatori e consumatori, che sollecita a investire sul futuro.

In questo messaggio ho sentito il dovere di richiamare innanzitutto la funzione di sintesi – la rappresentanza dell’unità nazionale – propria della magistratura che mi è stata affidata. A questa unità dedicherò ogni mia forza, convinto che proprio perché siamo così segnati da diversità, saremo anche capaci di più alta coesione, modernamente costruita sul pluralismo più che sulla omogeneità senza anima (Vivissimi applausi).

Ma accanto alle specificità che arricchiscono vi sono le discriminazioni, le emarginazioni, le nuove povertà che deturpano il volto della nostra società. E queste piaghe ci ricordano che, mentre inseguiamo l’ammodernamento istituzionale, ci sono princìpi della gloriosa Costituzione di cinquant’anni fa che non abbiamo ancora pienamente attuato (Vivi applausi):
– come quelli degli articoli 29, 30 e 31, vero programma costituzionale in favore della centralità della famiglia e dei suoi valori (Vivissimi, prolungati applausi), valori che qui e sempre dobbiamo riaffermare come grande ricchezza del nostro popolo;
– come il fondamentale principio di eguaglianza enunciato nell’articolo 3, ancora debole nell’attuazione nonostante l’alto incitamento che ci è venuto costantemente dalle sentenze della Corte Costituzionale. E, aggiungo, nonostante l’azione di quel volontariato diffuso che è vanto del nostro paese, quel volontariato capace di entrare nei vuoti lasciati dallo Stato sociale e di capire e di soccorrere la società anche là dove la tenebra dell’esclusione è più fitta (Vivissimi applausi).

Signor Presidente,
onorevoli parlamentari, sono questi gli appuntamenti del mio mandato: che intendo come mandato di garanzia costituzionale nei confronti di tutte le parti politiche(Vivissimi applausi).

Nel mio compito mi sarà di conforto e di sprone l’assidua attenzione ai lavori delle Camere, agli atti parlamentari, dai quali trarrò suggerimento e consiglio.

Seguirò da vicino anche l’evolversi delle esperienze regionali: dalle regioni alpine al Mezzogiorno.

Nel mio lavoro avrò come costante, severo ammonimento l’esempio dei miei predecessori (Vivi applausi), che con la loro opera hanno dato sostanza di dignità all’ufficio presidenziale: da Luigi Einaudi (Vivi applausi), con cui ho in comune una traiettoria di vita, non certo l’altezza della dottrina, a Oscar Luigi Scàlfaro (Vivi applausi – Il senatore Oscar Luigi Scàlfaro si leva in piedi e china il capo in segno di ringraziamento), il Presidente dei tempi difficili, che mi onorò della sua fiducia, nominandomi Presidente del Consiglio. Si concluse allora il mio lungo ciclo di lavoro alla Banca d’Italia, che mi ha formato nella disciplina del servizio alle istituzioni.

Con l’aiuto di Dio, con la fiducia degli italiani, sarò fedele al mio giuramento. Sarò fedele ai valori di libertà, di giustizia, di democrazia che sono il fondamento della Costituzione repubblicana.

Viva la Repubblica italiana! Viva l’Unione europea! Viva l’Italia!

 

(L’Assemblea si leva in piedi – Vivissimi, prolungati applausi, cui si associano i membri del Governo e il pubblico delle tribune).

 

Giorgio Napolitano, presidente dal 2006

Il Presidente della Repubblica legge la formula:

“Giuro di essere fedele alla Repubblica
e di osservarne lealmente la Costituzione”

(Vivissimi, prolungati applausi, cui si associano i membri del Governo
e il pubblico delle tribune).

Il Presidente della Camera cede il suo seggio al Presidente della Repubblica
e prende posto alla sua destra.
Presidente Bertinotti:
Il Presidente della Repubblica rivolgerà ora il suo messaggio al Parlamento.
Invito i membri dell’Assemblea a prendere posto..

Il Presidente della Repubblica, restando in piedi,
pronuncia il seguente Messaggio:
Signor Presidente,
Onorevoli deputati,
Onorevoli senatori,
Signori rappresentanti delle regioni d’Italia,

è con profonda emozione che mi rivolgo a voi in quest’aula, nella quale ho speso tanta parte del mio impegno pubblico apprendendo dal vivo il senso e il valore delle istituzioni rappresentative, supremo fondamento della democrazia repubblicana. Sono le Assemblee elettive – e, innanzitutto, il Parlamento – il luogo del confronto sui problemi del paese, della dialettica delle idee e delle proposte, della ricerca delle soluzioni più valide e condivise. La nuova legislatura si è aperta nel segno di un forte travaglio, a conclusione di un’aspra competizione elettorale dalla quale gli opposti schieramenti politici sono emersi entrambi largamente rappresentativi del corpo elettorale. L’assunzione delle responsabilità di Governo da parte dello schieramento che è – sia pur lievemente – prevalso rappresenta l’espressione naturale del principio maggioritario che l’Italia ha assunto, da quasi un quindicennio, come regolatore di una democrazia dell’alternanza realmente operante. Ma in tali condizioni appare più chiara l’esigenza di una seria riflessione sul modo di intendere e coltivare, in un sistema politico bipolare, i rapporti tra maggioranza e opposizione. Non si tratta di tornare indietro rispetto all’evoluzione che la democrazia italiana ha conosciuto grazie allo stimolo e al contributo di forze di diverso orientamento, ma il fatto che si sia instaurato un clima di pura contrapposizione e di incomunicabilità, a scapito della ricerca di possibili terreni di impegno comune, deve considerarsi segno di una ancora insufficiente maturazione, nel nostro paese, del modello di rapporti politici e istituzionali già consolidatosi nelle altre democrazie occidentali.

Ebbene, è venuto il tempo della maturità per la democrazia dell’alternanza anche in Italia. Il reciproco riconoscimento, rispetto ed ascolto tra gli opposti schieramenti, il confrontarsi con dignità in Parlamento e nelle altre Assemblee elettive, l’individuare i temi di necessaria e possibile – limpida – convergenza, nell’interesse generale possono non già mettere in forse, ma, al contrario, rafforzare in modo decisivo il nuovo corso della vita politica ed istituzionale avviatosi con la riforma del 1993 e le elezioni del 1994. Ciò potrà avvenire solo ad opera delle forze politiche organizzate e delle loro rappresentanze nelle istituzioni rappresentative, sorrette dalla consapevolezza e dal dinamismo della società civile.

A chi vi parla, chiamato a rappresentare l’unità nazionale, spetta semplicemente trasmettere oggi un messaggio di fiducia, in risposta al bisogno di serenità e di equilibrio fattosi così acuto e diffuso tra gli italiani. Sono convinto che la politica possa recuperare il suo posto fondamentale e insostituibile nella vita del paese e nella coscienza dei cittadini. Può riuscirvi quanto più rifugga da esasperazioni e immeschinimenti che ne indeboliscono fatalmente la forza di attrazione e persuasione, e quanto più esprima moralità e cultura, arricchendosi di nuove motivazioni ideali: tra esse, quella del costruire basi comuni di memoria e identità condivisa, come fattore vitale di continuità, nel fisiologico succedersi di diverse alleanze politiche nel governo del paese.

Ma non si può dare memoria e identità condivisa se non si ripercorre e si ricompone, in spirito di verità, la storia della nostra Repubblica, nata sessant’anni fa come culmine della tormentata esperienza dello Stato unitario e, prima ancora, del processo risorgimentale.

Ci si può – io credo – ormai ritrovare, superando vecchie, laceranti divisioni, nel riconoscimento del significato e del decisivo apporto della Resistenza (Applausi dei parlamentari della maggioranza), pur senza ignorare zone d’ombra, eccessi e aberrazioni (Applausi).

Ci si può ritrovare, senza riaprire le ferite del passato, nel rispetto di tutte le vittime e nell’omaggio non rituale alla liberazione dal nazifascismo come riconquista dell’indipendenza e della dignità della patria italiana (Applausi), memoria condivisa come premessa di una comune identità nazionale che abbia il suo fondamento nei valori della Costituzione. Il richiamo a quei valori trae forza della loro vitalità, che resiste, intatta, ad ogni controversia. Parlo – ed è giusto farlo anche nel celebrare il sessantesimo anniversario dell’elezione dell’ Assemblea costituente – di quei principi fondamentali che scolpirono nei primi articoli della Carta costituzionale il volto della Repubblica: principi, valori, indirizzi che, scritti ieri, sono aperti a raccogliere, oggi, nuove realtà e nuove istanze.

Così, il valore del lavoro come base della Repubblica democratica chiama, più che mai, al riconoscimento concreto del diritto al lavoro, ancora lontano dal realizzarsi per tutti e alla tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni e, dunque, anche nelle forme ora esposte alla precarietà e alla mancanza di garanzie (Applausi dei parlamentari della maggioranza). I diritti inviolabili dell’uomo e il principio di uguaglianza, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, si integrano e completano nella Carta europea, aperta ai nuovi diritti civili e sociali. Essi non possono non riconoscersi a uomini e donne che entrano a far parte – da immigrati – della nostra comunità nazionale, contribuendo alla sua prosperità (Applausi).

Il valore della centralità della persona umana viene a misurarsi con le nuove frontiere della bioetica. L’unità e indivisibilità della Repubblica si è via via intrecciata col più ampio riconoscimento dell’autonomia e del ruolo dei poteri regionali e locali. Si rivela lungimirante, come fattore di ricchezza e apertura della nostra comunità nazionale, la tutela delle minoranze linguistiche. Essenziale appare tuttora il laico disegno dei rapporti fra Stato e Chiesa, concepiti come, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani (Applausi). La libertà e il pluralismo delle confessioni religiose sono stati via via sanciti, e ancora dovranno esserlo, attraverso intese promosse dallo Stato. Presentano poi una pregnanza ed urgenza senza precedenti tanto lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica quanto la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione.

Infine, i valori, tra loro inscindibili, del ripudio della guerra (Applausi) e della corresponsabilità internazionale per assicurare la pace e la giustizia nel mondo si confrontano con nuove, complesse e dure prove.

Ebbene, signor Presidente, onorevoli parlamentari, signori delegati regionali, chi può mettere in dubbio la straordinaria sapienza e rispondenza al bene comune dei principi e valori costituzionali che ho voluto puntualmente ripercorrere? In questo senso, è giusto parlare di unità costituzionale come sostrato dell’unità nazionale. Un risoluto ancoraggio ai lineamenti essenziali della Costituzione del 1948 non può essere scambiato per puro conservatorismo. I costituenti si pronunciarono a tutte lettere per una Costituzione destinata a durare, per una Costituzione rigida ma non immutabile, e definirono le procedure e garanzie per la sua revisione. Nei progetti volti a rivedere la seconda parte della Costituzione, che si sono via via succeduti, non sono stati mai messi in questione i suoi principi fondamentali, ma già nell’Assemblea costituente si espresse, nello scegliere il modello della Repubblica parlamentare, la preoccupazione di tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di Governo e di evitare le degenerazioni del parlamentarismo. Quella questione rimase aperta e altre ne sono insorte in anni più recenti, anche sotto il profilo del ruolo dell’opposizione e del sistema delle garanzie in rapporto ai mutamenti intervenuti nella legislazione elettorale. La legge di revisione costituzionale approvata dal Parlamento mesi or sono è ora affidata al giudizio conclusivo del popolo sovrano. Si dovrà, comunque, verificare poi la possibilità di nuove proposte di riforma capaci di raccogliere il necessario largo consenso in Parlamento.

Esprimo il più sentito e convinto omaggio al mio predecessore, Carlo Azeglio Ciampi (Generali applausi cui si associano i membri del Governo ed il pubblico dalle tribune), per l’esemplare svolgimento del suo mandato e, in special modo, per l’impulso ad una più forte affermazione dell’identità nazionale italiana e di un rinnovato sentimento patriottico. Nello stesso tempo, nessun ripiegamento entro confini e orizzonti anacronistici. Come già si disse, precorrendo i tempi, all’Assemblea costituente, l’Europa è, per noi italiani, una seconda patria. Lo è diventata sempre di più nei quasi cinquant’anni che ci separano da quei trattati di Roma che portano la firma, per l’Italia, di Antonio Segni e di Gaetano Martino. E il cammino dell’integrazione e costruzione europea cominciò ancor prima, ispirato dalle profetiche intuizioni di Benedetto Croce e di Luigi Einaudi, guidato dall’incontro tra i diversissimi apporti di personalità come Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli (Applausi), lo statista lungimirante e il paladino del movimento federalista, entrambi né meschinamente realisti né astrattamente utopisti. La crisi che da un anno ha investito l’Unione europea non può in alcun modo oscurare il cammino compiuto e far liquidare il grande progetto della costruzione comunitaria come riflesso di una fase storica, quella del continente diviso in due blocchi contrapposti, conclusasi nel 1989. In effetti, non solo si è portata a compimento la più grande impresa di pace del secolo scorso nel cuore dell’Europa, non solo si è realizzato uno straordinario e duraturo avanzamento economico e sociale, civile e culturale nei paesi che si sono via via associati al progetto, ma si sono poste le radici di un irreversibile moto di avvicinamento e integrazione tra i popoli, le realtà produttive, i sistemi monetari, le culture, le società, i cittadini, i giovani delle nazioni europee.
Non potranno arrestare questo processo le difficoltà, pur gravi, incontrate dall’iter di ratifica del Trattato costituzionale: l’Italia, dopo che il suo Governo e il suo Parlamento hanno, tra i primi, provveduto alla ratifica di quel Trattato, è fortemente interessata e impegnata a creare le condizioni per l’entrata in vigore di un testo di autentica rilevanza costituzionale (Applausi dei parlamentari dell’Ulivo).

Ci inducono a riflettere, ma non potranno fermarci, i fenomeni di disincantato e di incertezza indotti, nelle opinioni pubbliche, da un serio rallentamento della crescita dell’economia e del benessere, da un palese affanno nel far fronte sia alle sfide della competizione globale e del cambiamento di pesi e di equilibri nella realtà mondiale, sia alle stesse prove dell’allargamento dell’Unione.

Di certo non esiste, dinanzi a queste sfide, alcuna alternativa al rilancio della costruzione europea. L’Italia, solo come parte attiva della costruzione di un più forte e dinamico soggetto europeo, e l’Europa, solo attraverso l’unione delle sue forze e il potenziamento della sua capacità d’azione, potranno giuocare un ruolo effettivo, autonomo e peculiare nell’affermazione di un nuovo ordine internazionale di pace e di giustizia. Un ordine di pace nel quale possa espandersi la democrazia e prevalere la causa dei diritti umani e, insieme, assicurarsi un governo dello sviluppo che contribuisca a scongiurare tensioni e rischi di guerra, e ponga un argine all’intollerabile, allarmante aggravarsi delle disuguaglianze a danno dei paesi più poveri, dei popoli colpiti da ogni flagello, come quelli del continente africano (Applausi).

La strada maestra per l’Italia resta dunque quella dell’impegno europeistico, come il Presidente Ciampi ha in questi anni appassionatamente indicato. E in ciò egli ha incontrato, io credo, il sentire profondo ormai maturato soprattutto nelle nostre giovani generazioni, il cui animo italiano fa tutt’uno con l’animo europeo, e che non vedono avvenire se non nell’Europa.

La priorità dell’impegno europeistico nulla toglie alla profondità dell’adesione dell’Italia a una visione dei rapporti transatlantici, dei suoi storici legami con gli Stati Uniti d’America e delle relazioni tra Europa e Stati Uniti, come cardine di una strategia di alleanze, nella libera ricerca di approcci comuni ai problemi più controversi e nella pari dignità. È in tale contesto che va affrontata, senza esitazioni e ambiguità la minaccia così dura, inquietante e per tanti aspetti nuova, del terrorismo di matrice fondamentalista islamica, senza mai offrire a questo insidioso nemico il vantaggio di una nostra qualsiasi concessione alla logica dello scontro di civiltà, di una nostra rinuncia al principio e al metodo del dialogo tra storie, culture e religioni diverse(Applausi).

Non è illusorio pensare che questa cornice degli orientamenti di politica internazionale dell’Italia possa essere condivisa dagli opposti schieramenti politici. Entro questa cornice, spetta al Governo e al Parlamento indicare iniziative atte a contribuire al dialogo e al negoziato tra Israele e l’Autorità palestinese, nel pieno riconoscimento del diritto dello Stato di Israele a vivere in sicurezza e del diritto del popolo palestinese a darsi uno Stato indipendente (Applausi). Ed è ora di mettere al bando l’arma del terrorismo suicida e di contrastare fermamente ogni rigurgito di antisemitismo (Applausi).

Si impongono egualmente iniziative volte alla soluzione della ancora aperta e sanguinosa crisi in Iraq, alla stabilizzazione del processo democratico in Afghanistan, alla ricerca di uno sbocco positivo per lo stato di preoccupante tensione con l’Iran.

Più specificamente, compete al Governo e al Parlamento definire le soluzioni per il rientro dei militari italiani dall’Iraq. Oggi, non può che accomunare quest’Assemblea l’omaggio riverente e commosso a tutti i nostri caduti (Generali applausi – I Presidenti della Camera e del Senato si levano in piedi e con loro l’intera Assemblea ed i membri del Governo), che hanno rappresentato il prezzo così doloroso di missioni all’estero assolte con dedizione e onore, qualunque sia stato il grado di consenso nel deliberarle (Applausi).

Onorevoli parlamentari, signori delegati regionali, se rivolgo ora lo sguardo dal cruciale orizzonte europeo allo stato del nostro paese e al quadro delle nostre dirette responsabilità, posso solo consentirmi brevi considerazioni, senza affacciarmi in un campo che è, più di ogni altro, proprio del confronto tra diverse impostazioni e posizioni politiche. Posso, anche qui, esprimere solo un messaggio di fiducia, senza indulgere a diagnosi pessimiste sull’inevitabile declino del nostro sistema economico e finanziario, ma nemmeno sottovalutando la gravità delle debolezze da superare e dei nodi da sciogliere. Il nodo – innanzitutto – del debito pubblico e, insieme, le debolezze del sistema produttivo.

Le imprese italiane hanno mostrato di saper raccogliere la sfida che viene dall’operare in un mercato aperto e in libera concorrenza e di volersi impegnare in un serio sforzo per la crescita, l’innovazione e l’internazionalizzazione. Esse chiedono allo Stato non di introdurre o mantenere indebite protezioni, ma di favorire la competitività del sistema e gli investimenti privati e pubblici, nonché di riprendere quel processo di sviluppo infrastrutturale che tanta parte ebbe nella crescita del secondo dopoguerra. Ma all’esigenza di rimuovere limiti e vincoli ingiustificati si accompagna quella di assicurare regole e controlli efficaci ed efficienti.

Il nostro paese non può rinunciare alle sue grandi tradizioni in campo industriale e agricolo, che ancora si esprimono in rilevanti prove di progresso anche tecnologico: tali da dar luogo di recente a casi di straordinario recupero in gravi situazioni di crisi e da animare nuove, vitali realtà produttive. Nello stesso tempo, appare indispensabile rafforzare e modernizzare il settore dei servizi, e valorizzare con coraggio e lungimiranza il patrimonio naturale e paesaggistico, culturale e artistico senza eguali di cui l’Italia dispone.

Di qui passa anche qualsiasi politica per il Mezzogiorno, le cui regioni diventano un asse obbligato del rilancio complessivo dello sviluppo nazionale anche per la loro valenza strategica nella nuova grande prospettiva dei flussi di investimenti e di scambi tra l’area euromediterranea e l’Asia. Nè occorre che io aggiunga altro a questo proposito, signori parlamentari e delegati regionali, per la profondità delle radici e delle esperienze politiche e di vita che mi legano al Mezzogiorno: non occorrono altre parole per affidarvi un auspicio così intimamente sentito(Applausi dei parlamentari della maggioranza).

Sono più in generale le mie complessive esperienze politiche e di vita che mi inducono ad associare con forza il problema del rilancio della nostra economia a quello della giustizia sociale, della lotta contro le accresciute disuguaglianze e le nuove emarginazioni e povertà, dell’impegno più conseguente per elevare l’occupazione e il livello di attività della popolazione, il problema non eludibile del miglioramento delle condizioni dei lavoratori e dei pensionati e di una rinnovata garanzia della dignità e della sicurezza del lavoro. C’è bisogno di più giustizia e coesione sociale (Applausi).

E se un ruolo decisivo spetta in questo senso ai sindacati, posti peraltro di fronte ad un mercato del lavoro in profondo cambiamento che richiede forti aperture all’innovazione, è interesse e responsabilità anche delle forze imprenditoriali comprendere e assecondare politiche di coesione e di solidarietà.

Quando ci domandiamo – dinanzi a problemi così complessi e a vincoli così pesanti – se possiamo farcela, dobbiamo guardare alle risorse di cui dispone l’Italia. Sono le risorse delle istituzioni regionali e locali, che esercitano le loro autonomie in responsabile e leale collaborazione con lo Stato e contando sull’impegno unitario della pubblica amministrazione al servizio esclusivo della nazione.

Sono, insieme, le risorse di un ricco tessuto civile e culturale, da cui si sprigiona un potenziale prezioso di sussidiarietà, per l’apporto di cui si è mostrato e si mostra capace il mondo delle comunità intermedie, dell’associazionismo laico e religioso, del volontariato e degli enti non profit. Sono le risorse della partecipazione di base che le istituzioni locali tanto possono stimolare e canalizzare. E sono le risorse delle famiglie, come quelle che abbiamo visto in queste settimane stringersi attorno alle spoglie dei caduti di Nassiriya e di Kabul. Famiglie laboriose e modeste che educano i loro figli al senso del dovere verso la patria e verso la società. Famiglie che rappresentano la più grande ricchezza dell’Italia (Generali applausi).

E ancora, abbiamo da contare – mi si lasci ricordare la splendida figura di Nilde Iotti (Applausi) – sulle formidabili risorse delle energie femminili non mobilitate e non valorizzate né nel lavoro, né nella vita pubblica (Applausi): pregiudizi e chiusure, con l’enorme spreco che ne consegue, ormai non più tollerabili.

Contiamo, infine, sulle risorse che possono essere attribuite ai giovani, uomini e donne in formazione, da un sistema di istruzione che fino al più alto livello offra a tutti uguali opportunità di sviluppo della persona e premi il merito e la dedizione allo studio e al lavoro. Da tutto ciò le ragioni di una non retorica fiducia nel futuro del nostro paese. Il nostro futuro tuttavia è legato anche a problemi come quelli che ormai si collocano nel grande scenario dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia.

Resta assai dura la sfida della lotta contro la criminalità, una presenza aggressiva che ancora tanto pesa sulle possibilità di sviluppo del Mezzogiorno, così come contro le nuove minacce del terrorismo internazionale e interno. Ci dà però fiducia il fatto che lo Stato ha mostrato, anche negli ultimi anni, di poter contare sull’azione efficace e congiunta della magistratura e delle forze dell’ordine, alle quali tutte – avendo io stesso, da responsabilità di governo, imparato a conoscerne meglio ed apprezzarne l’impegno e lo slancio, desidero indirizzare il più vivo nostro riconoscimento (Generali applausi, cui si associano i membri del Governo).

Certo, i problemi della legalità e della moralità collettiva si presentano ancora aperti in modi inquietanti ed anche in ambiti che avremmo sperato ne restassero immuni. Mentre sono purtroppo rimaste critiche le condizioni dell’amministrazione della giustizia, soprattutto sotto il profilo della durata del processo. E troppe tensioni circondano ancora i rapporti tra politica e giustizia, turbando lo svolgimento di una così alta funzione costituzionale e ferendo la dignità di coloro che sono chiamati ad assolverla. Anche in questo delicatissimo campo, sono esigenze di serenità e di equilibrio, negli stessi necessari processi di riforma, quelle che si avvertono e chiedono di essere soddisfatte (Applausi dei parlamentari dell’Ulivo).

Seri e complessi sono dunque gli impegni cui debbono far fronte la politica e le istituzioni.

L’Italia vive un momento difficile: ma drammatico, non solo difficile, fu il periodo che l’Italia visse negli anni successivi alla fine della guerra e alla Liberazione, dovendo accollarsi un’eredità di terribili distruzioni materiali e morali e superare anche le scosse di un conflitto elettorale ed ideale come quello che divise in due il paese nella scelta tra monarchia e repubblica. Prevalse allora – la prova più alta la diede l’Assemblea costituente -, ed ebbe ragione di tutte le difficoltà, il senso della missione nazionale comune, che fu più forte di pur legittimi contrasti ideologici e politici.

Così, oggi, il mio appello all’unità non tende ad edulcorare una realtà di aspre divergenze soprattutto ai vertici della politica nazionale, ma proprio a sollecitare tra gli italiani un nuovo senso della missione da adempiere, per dare slancio e coesione alla nostra società, per assicurare al nostro paese il ruolo che gli spetta in Europa e nel mondo. Ed è un appello che può forse trovare maggiore rispondenza in quell’Italia profonda, l’Italia delle cento province, l’Italia della fatica quotidiana e della volontà di progredire, che il mio predecessore ha voluto esplorare, traendone l’immagine di una concordia di intenti e di opere più salda di quanto comunemente si ritenga.

Considero mio dovere impegnarmi per favorire più pacati confronti tra le forze politiche e più ampie e costruttive convergenze nel paese; ma è un impegno che svolgerò con la necessaria sobrietà e nel rigoroso rispetto dei limiti che segnano il ruolo ed i poteri del Presidente della Repubblica nella Costituzione vigente. Un ruolo di garanzia dei valori e degli equilibri costituzionali, un ruolo di moderazione e persuasione morale, che ha per presupposto il senso ed il dovere dell’imparzialità nell’esercizio di tutte le funzioni attribuite al Presidente (Generali applausi).

Come rappresentante dell’unità nazionale raccolgo il riferimento ben presente nel messaggio augurale indirizzatomi dal Pontefice Benedetto XVI, al quale rivolgo il mio deferente ringraziamento e saluto (Applausi). Raccolgo il riferimento ai valori umani e cristiani che sono patrimonio del popolo italiano, ben sapendo quale sia stato il profondo rapporto storico tra la cristianità ed il farsi dell’Europa. E ne traggo la convinzione che debba laicamente riconoscersi la dimensione sociale e pubblica del fatto religioso e svilupparsi concretamente la collaborazione, in Italia, tra Stato e Chiesa cattolica in molteplici campi in nome del bene comune (Applausi).

Nel momento in cui inizia il suo mandato, il Presidente della Repubblica rende omaggio alla Corte costituzionale, come organo di alta garanzia che da cinquant’anni veglia sul pieno rispetto della nostra Legge fondamentale, al Consiglio superiore della magistratura, espressione e presidio dell’autonomia e indipendenza di quell’ordine da ogni altro potere, a tutte le amministrazioni pubbliche, a tutti gli organi ed i corpi dello Stato e, in particolare, alle Forze armate italiane, che si distinguono per sempre più alti livelli di moderna professionalità ed efficienza (Applausi), così come alle diverse e distinte forze preposte con convergente impegno alla tutela del bene essenziale della sicurezza dei cittadini.

Un segno di particolare attenzione va al mondo della scuola e dell’università e a quanti sono chiamati a tenerne alta la funzione educativa.

Al mondo dell’informazione va indirizzato un convinto impegno a garantirne la libertà ed il pluralismo come condizione imprescindibile di democrazia.

Rivolgo, onorevoli parlamentari, signori delegati regionali, un grato e rispettoso pensiero a tutti i miei predecessori, personalità rappresentative di diverse correnti ideali e tradizioni popolari, ritrovatesi nel primato dei valori essenziali: libertà, giustizia, solidarietà.

Uno speciale ricordo per il primo Presidente della Repubblica Enrico De Nicola, che fu simbolo di pacificazione in un contrastato passaggio storico e al quale fui legato da rapporti di antica amicizia famigliare e dal comune impegno, in diverse epoche, a rappresentare in Parlamento la nostra grande, generosa e travagliata città di Napoli (Applausi).

Signor Presidente, onorevoli parlamentari, signori delegati regionali, mi inchino dinanzi a questa Assemblea nella quale si riconoscono tutti gli italiani, per la prima volta anche quelli che operano all’estero, le cui comunità hanno finalmente voce per far sentire le loro esigenze ed attese (Applausi).

Non sarò in alcun momento il Presidente solo della maggioranza che mi ha eletto; avrò attenzione e rispetto per tutti voi (Applausi), per tutte le posizioni ideali e politiche che esprimete; dedicherò senza risparmio le mie energie all’interesse generale per poter contare sulla fiducia dei rappresentanti del popolo e dei cittadini italiani senza distinzione di parte.

Viva il Parlamento! Viva la Repubblica! Viva l’Italia!

(I Presidenti della Camera e del Senato si levano in piedi e con loro l’intera Assemblea ed i membri del Governo – Vivissimi e generali applausi, cui si associa il pubblico delle tribune).

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Giorgio Napolitano, nuovamente eletto presidente nel 2013

Aula della Camera dei Deputati, 22/04/2013
Signora Presidente, onorevoli deputati, onorevoli senatori, signori delegati delle Regioni,

lasciatemi innanzitutto esprimere – insieme con un omaggio che in me viene da molto lontano alle istituzioni che voi rappresentate – la gratitudine che vi debbo per avermi con così largo suffragio eletto Presidente della Repubblica. E’ un segno di rinnovata fiducia che raccolgo comprendendone il senso, anche se sottopone a seria prova le mie forze : e apprezzo in modo particolare che mi sia venuto da tante e tanti nuovi eletti in Parlamento, che appartengono a una generazione così distante, e non solo anagraficamente, dalla mia.

So che in tutto ciò si è riflesso qualcosa che mi tocca ancora più profondamente : e cioè la fiducia e l’affetto che ho visto in questi anni crescere verso di me e verso l’istituzione che rappresentavo tra grandi masse di cittadini, di italiani – uomini e donne di ogni età e di ogni regione – a cominciare da quanti ho incontrato nelle strade, nelle piazze, nei più diversi ambiti sociali e culturali, per rivivere insieme il farsi della nostra unità nazionale.

Come voi tutti sapete, non prevedevo di tornare in quest’aula per pronunciare un nuovo giuramento e messaggio da Presidente della Repubblica.

Avevo già nello scorso dicembre pubblicamente dichiarato di condividere l’autorevole convinzione che la non rielezione, al termine del settennato, è “l’alternativa che meglio si conforma al nostro modello costituzionale di Presidente della Repubblica”. Avevo egualmente messo l’accento sull’esigenza di dare un segno di normalità e continuità istituzionale con una naturale successione nell’incarico di Capo dello Stato.

A queste ragioni e a quelle più strettamente personali, legate all’ovvio dato dell’età, se ne sono infine sovrapposte altre, rappresentatemi – dopo l’esito nullo di cinque votazioni in quest’aula di Montecitorio, in un clima sempre più teso – dagli esponenti di un ampio arco di forze parlamentari e dalla quasi totalità dei Presidenti delle Regioni. Ed è vero che questi mi sono apparsi particolarmente sensibili alle incognite che possono percepirsi al livello delle istituzioni locali, maggiormente vicine ai cittadini, benché ora alle prese con pesanti ombre di corruzione e di lassismo. Istituzioni che ascolto e rispetto, Signori delegati delle Regioni, in quanto portatrici di una visione non accentratrice dello Stato, già presente nel Risorgimento e da perseguire finalmente con serietà e coerenza.

E’ emerso da tali incontri, nella mattinata di sabato, un drammatico allarme per il rischio ormai incombente di un avvitarsi del Parlamento in seduta comune nell’inconcludenza, nella impotenza ad adempiere al supremo compito costituzionale dell’elezione del Capo dello Stato. Di qui l’appello che ho ritenuto di non poter declinare – per quanto potesse costarmi l’accoglierlo – mosso da un senso antico e radicato di identificazione con le sorti del paese.
La rielezione, per un secondo mandato, del Presidente uscente, non si era mai verificata nella storia della Repubblica, pur non essendo esclusa dal dettato costituzionale, che in questo senso aveva lasciato – come si è significativamente notato – “schiusa una finestra per tempi eccezionali”. Ci siamo dunque ritrovati insieme in una scelta pienamente legittima, ma eccezionale. Perché senza precedenti è apparso il rischio che ho appena richiamato : senza precedenti e tanto più grave nella condizione di acuta difficoltà e perfino di emergenza che l’Italia sta vivendo in un contesto europeo e internazionale assai critico e per noi sempre più stringente.

Bisognava dunque offrire, al paese e al mondo, una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di vitalità istituzionale, di volontà di dare risposte ai nostri problemi : passando di qui una ritrovata fiducia in noi stessi e una rinnovata apertura di fiducia internazionale verso l’Italia.

E’ a questa prova che non mi sono sottratto. Ma sapendo che quanto è accaduto qui nei giorni scorsi ha rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità. Ne propongo una rapida sintesi, una sommaria rassegna. Negli ultimi anni, a esigenze fondate e domande pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento della politica e dei partiti – che si sono intrecciate con un’acuta crisi finanziaria, con una pesante recessione, con un crescente malessere sociale – non si sono date soluzioni soddisfacenti : hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi. Ecco che cosa ha condannato alla sterilità o ad esiti minimalistici i confronti tra le forze politiche e i dibattiti in Parlamento.

Quel tanto di correttivo e innovativo che si riusciva a fare nel senso della riduzione dei costi della politica, della trasparenza e della moralità nella vita pubblica è stato dunque facilmente ignorato o svalutato : e l’insoddisfazione e la protesta verso la politica, i partiti, il Parlamento, sono state con facilità (ma anche con molta leggerezza) alimentate e ingigantite da campagne di opinione demolitorie, da rappresentazioni unilaterali e indiscriminate in senso distruttivo del mondo dei politici, delle organizzazioni e delle istituzioni in cui essi si muovono. Attenzione : il vostro applauso, quest’ultimo richiamo che ho sentito di dover esprimere non induca ad alcuna autoindulgenza, non dico solo i corresponsabili del diffondersi della corruzione nelle diverse sfere della politica e dell’amministrazione, ma nemmeno i responsabili di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme.

Imperdonabile resta la mancata riforma della legge elettorale del 2005. Ancora pochi giorni fa, il Presidente Gallo ha dovuto ricordare come sia rimasta ignorata la raccomandazione della Corte Costituzionale a rivedere in particolare la norma relativa all’attribuzione di un premio di maggioranza senza che sia raggiunta una soglia minima di voti o di seggi.

La mancata revisione di quella legge ha prodotto una gara accanita per la conquista, sul filo del rasoio, di quell’abnorme premio, il cui vincitore ha finito per non riuscire a governare una simile sovra-rappresentanza in Parlamento. Ed è un fatto, non certo imprevedibile, che quella legge ha provocato un risultato elettorale di difficile governabilità, e suscitato nuovamente frustrazione tra i cittadini per non aver potuto scegliere gli eletti.

Non meno imperdonabile resta il nulla di fatto in materia di sia pur limitate e mirate riforme della seconda parte della Costituzione, faticosamente concordate e poi affossate, e peraltro mai giunte a infrangere il tabù del bicameralismo paritario.

Molto si potrebbe aggiungere, ma mi fermo qui, perché su quei temi specifici ho speso tutti i possibili sforzi di persuasione, vanificati dalla sordità di forze politiche che pure mi hanno ora chiamato ad assumere un ulteriore carico di responsabilità per far uscire le istituzioni da uno stallo fatale. Ma ho il dovere di essere franco : se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese.

Non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana.

Parlando a Rimini a una grande assemblea di giovani nell’agosto 2011, volli rendere esplicito il filo ispiratore delle celebrazioni del 150° della nascita del nostro Stato unitario : l’impegno a trasmettere piena coscienza di “quel che l’Italia e gli italiani hanno mostrato di essere in periodi cruciali del loro passato”, e delle “grandi riserve di risorse umane e morali, d’intelligenza e di lavoro di cui disponiamo”. E aggiunsi di aver voluto così suscitare orgoglio e fiducia “perché le sfide e le prove che abbiamo davanti sono più che mai ardue, profonde e di esito incerto. Questo ci dice la crisi che stiamo attraversando. Crisi mondiale, crisi europea, e dentro questo quadro l’Italia, con i suoi punti di forza e con le sue debolezze, con il suo bagaglio di problemi antichi e recenti, di ordine istituzionale e politico, di ordine strutturale, sociale e civile.”

Ecco, posso ripetere quelle parole di un anno e mezzo fa, sia per sollecitare tutti a parlare il linguaggio della verità – fuori di ogni banale distinzione e disputa tra pessimisti e ottimisti – sia per introdurre il discorso su un insieme di obbiettivi in materia di riforme istituzionali e di proposte per l’avvio di un nuovo sviluppo economico, più equo e sostenibile.

E’ un discorso che – anche per ovvie ragioni di misura di questo mio messaggio – posso solo rinviare ai documenti dei due gruppi di lavoro da me istituiti il 30 marzo scorso. Documenti di cui non si può negare – se non per gusto di polemica intellettuale – la serietà e concretezza. Anche perché essi hanno alle spalle elaborazioni sistematiche non solo delle istituzioni in cui operano i componenti dei due gruppi, ma anche di altre istituzioni e associazioni qualificate. Se poi si ritiene che molte delle indicazioni contenute in quei testi fossero già acquisite, vuol dire che è tempo di passare, in sede politica, ai fatti; se si nota che, specie in materia istituzionale, sono state lasciate aperte diverse opzioni su varii temi, vuol dire che è tempo di fare delle scelte conclusive. E si può, naturalmente, andare anche oltre, se si vuole, con il contributo di tutti.

Vorrei solo formulare, a commento, due osservazioni. La prima riguarda la necessità che al perseguimento di obbiettivi essenziali di riforma dei canali di partecipazione democratica e dei partiti politici, e di riforma delle istituzioni rappresentative, dei rapporti tra Parlamento e governo, tra Stato e Regioni, si associ una forte attenzione per il rafforzamento e rinnovamento degli organi e dei poteri dello Stato. A questi sono stato molto vicino negli ultimi sette anni, e non occorre perciò che rinnovi oggi un formale omaggio, si tratti di forze armate o di forze dell’ordine, della magistratura o di quella Corte che è suprema garanzia di costituzionalità delle leggi. Occorre grande attenzione di fronte a esigenze di tutela della libertà e della sicurezza da nuove articolazioni criminali e da nuove pulsioni eversive, e anche di fronte a fenomeni di tensione e disordine nei rapporti tra diversi poteri dello Stato e diverse istituzioni costituzionalmente rilevanti.

Né si trascuri di reagire a disinformazioni e polemiche che colpiscono lo strumento militare, giustamente avviato a una seria riforma, ma sempre posto, nello spirito della Costituzione, a presidio della partecipazione italiana – anche col generoso sacrificio di non pochi nostri ragazzi – alle missioni di stabilizzazione e di pace della comunità internazionale.

La seconda osservazione riguarda il valore delle proposte ampiamente sviluppate nel documento da me già citato, per “affrontare la recessione e cogliere le opportunità” che ci si presentano, per “influire sulle prossime opzioni dell’Unione Europea”, “per creare e sostenere il lavoro”, “per potenziare l’istruzione e il capitale umano, per favorire la ricerca, l’innovazione e la crescita delle imprese”.

Nel sottolineare questi ultimi punti, osservo che su di essi mi sono fortemente impegnato in ogni sede istituzionale e occasione di confronto, e continuerò a farlo. Essi sono nodi essenziali al fine di qualificare il nostro rinnovato e irrinunciabile impegno a far progredire l’Europa unita, contribuendo a definirne e rispettarne i vincoli di sostenibilità finanziaria e stabilità monetaria, e insieme a rilanciarne il dinamismo e lo spirito di solidarietà, e a coglierne al meglio gli insostituibili stimoli e benefici.

E sono anche i nodi – innanzitutto, di fronte a un angoscioso crescere della disoccupazione, quelli della creazione di lavoro e della qualità delle occasioni di lavoro – attorno a cui ruota la grande questione sociale che ormai si impone all’ordine del giorno in Italia e in Europa. E’ la questione della prospettiva di futuro per un’intera generazione, è la questione di un’effettiva e piena valorizzazione delle risorse e delle energie femminili. Non possiamo restare indifferenti dinanzi a costruttori di impresa e lavoratori che giungono a gesti disperati, a giovani che si perdono, a donne che vivono come inaccettabile la loro emarginazione o subalternità.

Volere il cambiamento, ciascuno interpretando a suo modo i consensi espressi dagli elettori, dice poco e non porta lontano se non ci si misura su problemi come quelli che ho citato e che sono stati di recente puntualizzati in modo obbiettivo, in modo non partigiano. Misurarsi su quei problemi perché diventino programma di azione del governo che deve nascere e oggetti di deliberazione del Parlamento che sta avviando la sua attività. E perché diventino fulcro di nuovi comportamenti collettivi, da parte di forze – in primo luogo nel mondo del lavoro e dell’impresa – che “appaiono bloccate, impaurite, arroccate in difesa e a disagio di fronte all’innovazione che è invece il motore dello sviluppo”. Occorre un’apertura nuova, un nuovo slancio nella società ; occorre un colpo di reni, nel Mezzogiorno stesso, per sollevare il Mezzogiorno da una spirale di arretramento e impoverimento.

Il Parlamento ha di recente deliberato addirittura all’unanimità il suo contributo su provvedimenti urgenti che al governo Monti ancora in carica toccava adottare, e che esso ha adottato, nel solco di uno sforzo di politica economico-finanziaria ed europea che meriterà certamente un giudizio più equanime, quanto più si allontanerà il clima dello scontro elettorale e si trarrà il bilancio del ruolo acquisito nel corso del 2012 in seno all’Unione europea.

Apprezzo la decisione con cui il movimento largamente premiato dal corpo elettorale come nuovo attore politico-parlamentare ha mostrato di volersi impegnare alla Camera e al Senato, guadagnandovi il peso e l’influenza che gli spetta : quella è la strada di una feconda, anche se aspra, dialettica democratica e non quella, avventurosa e deviante, della contrapposizione tra piazza e Parlamento. Non può, d’altronde, reggere e dare frutti neppure una contrapposizione tra Rete e forme di organizzazione politica quali storicamente sono da ben più di un secolo e ovunque i partiti.

La Rete fornisce accessi preziosi alla politica, inedite possibilità individuali di espressione e di intervento politico e anche stimoli all’aggregazione e manifestazione di consensi e di dissensi. Ma non c’è partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di movimenti politici organizzati, tutti comunque da vincolare all’imperativo costituzionale del “metodo democratico”.

Le forze rappresentate in Parlamento, senza alcuna eccezione, debbono comunque dare ora – nella fase cruciale che l’Italia e l’Europa attraversano – il loro apporto alle decisioni da prendere per il rinnovamento del paese. Senza temere di convergere su delle soluzioni, dal momento che di recente nelle due Camere non si è temuto di votare all’unanimità. Sentendo voi tutti – onorevoli deputati e senatori – di far parte dell’istituzione parlamentare non come esponenti di una fazione ma come depositari della volontà popolare. C’è da lavorare concretamente, con pazienza e spirito costruttivo, spendendo e acquisendo competenze, innanzitutto nelle Commissioni di Camera e Senato. Permettete che ve lo dica uno che entrò qui da deputato all’età di 28 anni e portò giorno per giorno la sua pietra allo sviluppo della vita politica democratica.

Lavorare in Parlamento sui problemi scottanti del paese non è possibile se non nel confronto con un governo come interlocutore essenziale sia della maggioranza sia dell’opposizione. A 56 giorni dalle elezioni del 24-25 febbraio – dopo che ci si è dovuti dedicare all’elezione del Capo dello Stato – si deve senza indugio procedere alla formazione dell’Esecutivo. Non corriamo dietro alle formule o alle definizioni di cui si chiacchiera. Al Presidente non tocca dare mandati, per la formazione del governo, che siano vincolati a qualsiasi prescrizione se non quella voluta dall’art. 94 della Costituzione : un governo che abbia la fiducia delle due Camere. Ad esso spetta darsi un programma, secondo le priorità e la prospettiva temporale che riterrà opportune.

E la condizione è dunque una sola : fare i conti con la realtà delle forze in campo nel Parlamento da poco eletto, sapendo quali prove aspettino il governo e quali siano le esigenze e l’interesse generale del paese. Sulla base dei risultati elettorali – di cui non si può non prendere atto, piacciano oppur no – non c’è partito o coalizione (omogenea o presunta tale) che abbia chiesto voti per governare e ne abbia avuti a sufficienza per poterlo fare con le sole sue forze. Qualunque prospettiva si sia presentata agli elettori, o qualunque patto – se si preferisce questa espressione – si sia stretto con i propri elettori, non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni. Essi indicano tassativamente la necessità di intese tra forze diverse per far nascere e per far vivere un governo oggi in Italia, non trascurando, su un altro piano, la esigenza di intese più ampie, e cioè anche tra maggioranza e opposizione, per dare soluzioni condivise a problemi di comune responsabilità istituzionale.

D’altronde, oggi nemmeno più il Regno Unito – paese di consolidata tradizione democratica – è governato da un solo partito ; di norma operano in Europa governi formati o almeno sostenuti da più partiti, tra loro affini o abitualmente distanti e perfino aspramente concorrenti.

Il fatto che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell’idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche. O forse tutto questo è più concretamente il riflesso di un paio di decenni di contrapposizione – fino allo smarrimento dell’idea stessa di convivenza civile – come non mai faziosa e aggressiva, di totale incomunicabilità tra schieramenti politici concorrenti.

Lo dicevo già sette anni fa in quest’aula, nella medesima occasione di oggi, auspicando che fosse finalmente vicino “il tempo della maturità per la democrazia dell’alternanza” : che significa anche il tempo della maturità per la ricerca di soluzioni di governo condivise quando se ne imponga la necessità. Altrimenti, si dovrebbe prendere atto dell’ingovernabilità, almeno nella legislatura appena iniziata.

Ma non è per prendere atto di questo che ho accolto l’invito a prestare di nuovo giuramento come Presidente della Repubblica. L’ho accolto anche perché l’Italia si desse nei prossimi giorni il governo di cui ha bisogno. E farò a tal fine ciò che mi compete : non andando oltre i limiti del mio ruolo costituzionale, fungendo tutt’al più, per usare un’espressione di scuola, “da fattore di coagulazione”. Ma tutte le forze politiche si prendano con realismo le loro responsabilità : era questa la posta implicita dell’appello rivoltomi due giorni or sono.

Mi accingo al mio secondo mandato, senza illusioni e tanto meno pretese di amplificazione “salvifica” delle mie funzioni ; eserciterò piuttosto con accresciuto senso del limite, oltre che con immutata imparzialità, quelle che la Costituzione mi attribuisce. E lo farò fino a quando la situazione del paese e delle istituzioni me lo suggerirà e comunque le forze me lo consentiranno. Inizia oggi per me questo non previsto ulteriore impegno pubblico in una fase di vita già molto avanzata ; inizia per voi un lungo cammino da percorrere, con passione, con rigore, con umiltà. Non vi mancherà il mio incitamento e il mio augurio.

Viva il Parlamento! Viva la Repubblica! Viva l’Italia!

———–

 

Sergio Mattarella, presidente dal 2015

Messaggio al Parlamento nel giorno del giuramento, Palazzo Montecitorio, 3 febbraio 2015

 

Signora Presidente della Camera dei Deputati, Signora Vice Presidente del Senato, Signori Parlamentari e Delegati regionali,

Rivolgo un saluto rispettoso a questa assemblea, ai parlamentari che interpretano la sovranità del nostro popolo e le danno voce e alle Regioni qui rappresentate.

Ringrazio la Presidente Laura Boldrini e la Vice Presidente Valeria Fedeli.

Ringrazio tutti coloro che hanno preso parte al voto.

Un pensiero deferente ai miei predecessori, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, che hanno svolto la loro funzione con impegno e dedizione esemplari.

A loro va l’affettuosa riconoscenza degli italiani.

Al Presidente Napolitano che, in un momento difficile, ha accettato l’onere di un secondo mandato, un ringraziamento particolarmente intenso.

Rendo omaggio alla Corte Costituzionale organo di alta garanzia a tutela della nostra Carta fondamentale, al Consiglio Superiore della magistratura presidio dell’indipendenza e a tutte le magistrature.
Avverto pienamente la responsabilità del compito che mi è stato affidato.

La responsabilità di rappresentare l’unità nazionale innanzitutto. L’unità che lega indissolubilmente i nostri territori, dal Nord al Mezzogiorno.

Ma anche l’unità costituita dall’insieme delle attese e delle aspirazioni dei nostri concittadini.
Questa unità, rischia di essere difficile, fragile, lontana.

L’impegno di tutti deve essere rivolto a superare le difficoltà degli italiani e a realizzare le loro speranze.

La lunga crisi, prolungatasi oltre ogni limite, ha inferto ferite al tessuto sociale del nostro Paese e ha messo a dura prova la tenuta del suo sistema produttivo.

Ha aumentato le ingiustizie.

Ha generato nuove povertà.

Ha prodotto emarginazione e solitudine.

Le angosce si annidano in tante famiglie per le difficoltà che sottraggono il futuro alle ragazze e ai ragazzi.

Il lavoro che manca per tanti giovani, specialmente nel Mezzogiorno, la perdita di occupazione, l’esclusione, le difficoltà che si incontrano nel garantire diritti e servizi sociali fondamentali.

Sono questi i punti dell’agenda esigente su cui sarà misurata la vicinanza delle istituzioni al popolo.

Dobbiamo saper scongiurare il rischio che la crisi economica intacchi il rispetto di principi e valori su cui si fonda il patto sociale sancito dalla Costituzione.

Per uscire dalla crisi, che ha fiaccato in modo grave l’economia nazionale e quella europea, va alimentata l’inversione del ciclo economico, da lungo tempo attesa.

E’ indispensabile che al consolidamento finanziario si accompagni una robusta iniziativa di crescita, da articolare innanzitutto a livello europeo.

Nel corso del semestre di Presidenza dell’Unione Europea appena conclusosi, il Governo – cui rivolgo un saluto e un augurio di buon lavoro – ha opportunamente perseguito questa strategia.

Sussiste oggi l’esigenza di confermare il patto costituzionale che mantiene unito il Paese e che riconosce a tutti i cittadini i diritti fondamentali e pari dignità sociale e impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza.

L’urgenza di riforme istituzionali, economiche e sociali deriva dal dovere di dare risposte efficaci alla nostra comunità, risposte adeguate alle sfide che abbiamo di fronte.

Esistono nel nostro Paese energie che attendono soltanto di trovare modo di esprimersi compiutamente.
Penso ai giovani che coltivano i propri talenti e che vorrebbero vedere riconosciuto il merito.

Penso alle imprese, piccole medie e grandi che, tra rilevanti difficoltà, trovano il coraggio di continuare a innovare e a competere sui mercati internazionali.

Penso alla Pubblica Amministrazione che possiede competenze di valore ma che deve declinare i principi costituzionali, adeguandosi alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie e alle sensibilità dei cittadini, che chiedono partecipazione, trasparenza, semplicità degli adempimenti, coerenza nelle decisioni.

Non servono generiche esortazioni a guardare al futuro ma piuttosto la tenace mobilitazione di tutte le risorse della società italiana.

Parlare di unità nazionale significa, allora, ridare al Paese un orizzonte di speranza.

Perché questa speranza non rimanga un’evocazione astratta, occorre ricostruire quei legami che tengono insieme la società.

A questa azione sono chiamate tutte le forze vive delle nostre comunità in Patria come all’estero.

Ai connazionali nel mondo va il mio saluto affettuoso.

Un pensiero di amicizia rivolgo alle numerose comunità straniere presenti nel nostro Paese.

La strada maestra di un Paese unito è quella che indica la nostra Costituzione, quando sottolinea il ruolo delle formazioni sociali, corollario di una piena partecipazione alla vita pubblica.

La crisi di rappresentanza ha reso deboli o inefficaci gli strumenti tradizionali della partecipazione, mentre dalla società emergono, con forza, nuove modalità di espressione che hanno già prodotto risultati avvertibili nella politica e nei suoi soggetti.

Questo stesso Parlamento presenta elementi di novità e di cambiamento.

La più alta percentuale di donne e tanti giovani parlamentari. Un risultato prezioso che troppe volte la politica stessa finisce per oscurare dietro polemiche e conflitti.

I giovani parlamentari portano in queste aule le speranze e le attese dei propri coetanei. Rappresentano anche, con la capacità di critica, e persino di indignazione, la voglia di cambiare.

A loro, in particolare, chiedo di dare un contributo positivo al nostro essere davvero comunità nazionale, non dimenticando mai l’essenza del mandato parlamentare.

L’idea, cioè, che in queste aule non si è espressione di un segmento della società o di interessi particolari, ma si è rappresentanti dell’intero popolo italiano e, tutti insieme, al servizio del Paese.

Tutti sono chiamati ad assumere per intero questa responsabilità.

Condizione primaria per riaccostare gli italiani alle istituzioni è intendere la politica come servizio al bene comune, patrimonio di ognuno e di tutti.

E’ necessario ricollegare a esse quei tanti nostri concittadini che le avvertono lontane ed estranee.

La democrazia non è una conquista definitiva ma va inverata continuamente, individuando le formule più adeguate al mutamento dei tempi.

E’ significativo che il mio giuramento sia avvenuto mentre sta per completarsi il percorso di un’ampia e incisiva riforma della seconda parte della Costituzione.

Senza entrare nel merito delle singole soluzioni, che competono al Parlamento, nella sua sovranità, desidero esprimere l’auspicio che questo percorso sia portato a compimento con l’obiettivo di rendere più adeguata la nostra democrazia.

Riformare la Costituzione per rafforzare il processo democratico.

Vi è anche la necessità di superare la logica della deroga costante alle forme ordinarie del processo legislativo, bilanciando l’esigenza di governo con il rispetto delle garanzie procedurali di una corretta dialettica parlamentare.
Come è stato più volte sollecitato dal Presidente Napolitano, un’altra priorità è costituita dall’approvazione di una nuova legge elettorale, tema sul quale è impegnato il Parlamento.

Nel linguaggio corrente si è soliti tradurre il compito del capo dello Stato nel ruolo di un arbitro, del garante della Costituzione.

E’ una immagine efficace.

All’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere – e sarà – imparziale.
I giocatori lo aiutino con la loro correttezza.

Il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione.

La garanzia più forte della nostra Costituzione consiste, peraltro, nella sua applicazione. Nel viverla giorno per giorno.

Garantire la Costituzione significa garantire il diritto allo studio dei nostri ragazzi in una scuola moderna in ambienti sicuri, garantire il loro diritto al futuro.

Significa riconoscere e rendere effettivo il diritto al lavoro.

Significa promuovere la cultura diffusa e la ricerca di eccellenza, anche utilizzando le nuove tecnologie e superando il divario digitale.

Significa amare i nostri tesori ambientali e artistici.

Significa ripudiare la guerra e promuovere la pace.

Significa garantire i diritti dei malati.

Significa che ciascuno concorra, con lealtà, alle spese della comunità nazionale.

Significa che si possa ottenere giustizia in tempi rapidi.

Significa fare in modo che le donne non debbano avere paura di violenze e discriminazioni.

Significa rimuovere ogni barriera che limiti i diritti delle persone con disabilità.

Significa sostenere la famiglia, risorsa della società.

Significa garantire l’autonomia ed il pluralismo dell’informazione, presidio di democrazia.

Significa ricordare la Resistenza e il sacrificio di tanti che settanta anni fa liberarono l’Italia dal nazifascismo.

Significa libertà. Libertà come pieno sviluppo dei diritti civili, nella sfera sociale come in quella economica, nella sfera personale e affettiva.

Garantire la Costituzione significa affermare e diffondere un senso forte della legalità.
La lotta alla mafia e quella alla corruzione sono priorità assolute.

La corruzione ha raggiunto un livello inaccettabile.

Divora risorse che potrebbero essere destinate ai cittadini.

Impedisce la corretta esplicazione delle regole del mercato.

Favorisce le consorterie e penalizza gli onesti e i capaci.

L’attuale Pontefice, Francesco, che ringrazio per il messaggio di auguri che ha voluto inviarmi, ha usato parole severe contro i corrotti: «Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini».

E’ allarmante la diffusione delle mafie, antiche e nuove, anche in aree geografiche storicamente immuni. Un cancro pervasivo, che distrugge speranze, impone gioghi e sopraffazioni, calpesta diritti.

Dobbiamo incoraggiare l’azione determinata della magistratura e delle forze dell’ordine che, spesso a rischio della vita, si battono per contrastare la criminalità organizzata.

Nella lotta alle mafie abbiamo avuto molti eroi. Penso tra gli altri a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Per sconfiggere la mafia occorre una moltitudine di persone oneste, competenti, tenaci. E una dirigenza politica e amministrativa capace di compiere il proprio dovere.

Altri rischi minacciano la nostra convivenza.

Il terrorismo internazionale ha lanciato la sua sfida sanguinosa, seminando lutti e tragedie in ogni parte del mondo e facendo vittime innocenti.

Siamo inorriditi dalle barbare decapitazioni di ostaggi, dalle guerre e dagli eccidi in Medio Oriente e in Africa, fino ai tragici fatti di Parigi.

Il nostro Paese ha pagato, più volte, in un passato non troppo lontano, il prezzo dell’odio e dell’intolleranza. Voglio ricordare un solo nome: Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano.

La pratica della violenza in nome della religione sembrava un capitolo da tempo chiuso dalla storia. Va condannato e combattuto chi strumentalizza a fini di dominio il proprio credo, violando il diritto fondamentale alla libertà religiosa.

Considerare la sfida terribile del terrorismo fondamentalista nell’ottica dello scontro tra religioni o tra civiltà sarebbe un grave errore.

La minaccia è molto più profonda e più vasta. L’attacco è ai fondamenti di libertà, di democrazia, di tolleranza e di convivenza.

Per minacce globali servono risposte globali.

Un fenomeno così grave non si può combattere rinchiudendosi nel fortino degli Stati nazionali.

I predicatori d’odio e coloro che reclutano assassini utilizzano internet e i mezzi di comunicazione più sofisticati, che sfuggono, per la loro stessa natura, a una dimensione territoriale.

La comunità internazionale deve mettere in campo tutte le sue risorse.

Nel salutare il Corpo Diplomatico accreditato presso la Repubblica, esprimo un auspicio di intensa collaborazione anche in questa direzione.

La lotta al terrorismo va condotta con fermezza, intelligenza, capacità di discernimento. Una lotta impegnativa che non può prescindere dalla sicurezza: lo Stato deve assicurare il diritto dei cittadini a una vita serena e libera dalla paura.

Il sentimento della speranza ha caratterizzato l’Europa nel dopoguerra e alla caduta del muro di Berlino. Speranza di libertà e di ripresa dopo la guerra, speranza di affermazione di valori di democrazia dopo il 1989.

Nella nuova Europa l’Italia ha trovato l’affermazione della sua sovranità; un approdo sicuro ma soprattutto un luogo da cui ripartire per vincere le sfide globali. L’Unione Europea rappresenta oggi, ancora una volta, una frontiera di speranza e la prospettiva di una vera Unione politica va rilanciata, senza indugio.

L’affermazione dei diritti di cittadinanza rappresenta il consolidamento del grande spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia.

Le guerre, gli attentati, le persecuzioni politiche, etniche e religiose, la miseria e le carestie generano ingenti masse di profughi.

Milioni di individui e famiglie in fuga dalle proprie case che cercano salvezza e futuro proprio nell’Europa del diritto e della democrazia.

E’ questa un’emergenza umanitaria, grave e dolorosa, che deve vedere l’Unione Europea più attenta, impegnata e solidale.

L’Italia ha fatto e sta facendo bene la sua parte e siamo grati a tutti i nostri operatori, ai vari livelli, per l’impegno generoso con cui fronteggiano questo drammatico esodo.

A livello internazionale la meritoria e indispensabile azione di mantenimento della pace, che vede impegnati i nostri militari in tante missioni, ¬ deve essere consolidata con un’azione di ricostruzione politica, economica, sociale e culturale, senza la quale ogni sforzo è destinato a vanificarsi.

Alle Forze Armate, sempre più strumento di pace ed elemento essenziale della nostra politica estera e di sicurezza, rivolgo un sincero ringraziamento, ricordando quanti hanno perduto la loro vita nell’assolvimento del proprio dovere.

Occorre continuare a dispiegare il massimo impegno affinché la delicata vicenda dei due nostri fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trovi al più presto una conclusione positiva, con il loro definitivo ritorno in Patria.

Desidero rivolgere un pensiero ai civili impegnati, in zone spesso rischiose, nella preziosa opera di cooperazione e di aiuto allo sviluppo.

Di tre italiani, padre Paolo Dall’Oglio, Giovanni Lo Porto e Ignazio Scaravilli non si hanno notizie in terre difficili e martoriate. A loro e ai loro familiari va la solidarietà e la vicinanza di tutto il popolo italiano, insieme all’augurio di fare presto ritorno nelle loro case.

Onorevoli Parlamentari, Signori Delegati,
Per la nostra gente, il volto della Repubblica è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo.

Mi auguro che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani:
il volto spensierato dei bambini, quello curioso dei ragazzi.

i volti preoccupati degli anziani soli e in difficoltà il volto di chi soffre, dei malati, e delle loro famiglie, che portano sulle spalle carichi pesanti.

Il volto dei giovani che cercano lavoro e quello di chi il lavoro lo ha perduto.

Il volto di chi ha dovuto chiudere l’impresa a causa della congiuntura economica e quello di chi continua a investire nonostante la crisi.

Il volto di chi dona con generosità il proprio tempo agli altri.

Il volto di chi non si arrende alla sopraffazione, di chi lotta contro le ingiustizie e quello di chi cerca una via di riscatto.

Storie di donne e di uomini, di piccoli e di anziani, con differenti convinzioni politiche, culturali e religiose.

Questi volti e queste storie raccontano di un popolo che vogliamo sempre più libero, sicuro e solidale. Un popolo che si senta davvero comunità e che cammini con una nuova speranza verso un futuro di serenità e di pace.

Viva la Repubblica, viva l’Italia!

 

(Tutti i testi sono tratti dal sito del Quirinale, l’immagine di copertina è di RaSeLaSeD – Il Pinguino, tratta da Flickr, Creative Commons)

 

 

 

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