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Questione islamica

La Primavera del terrorismo con la concorrenza tra Isis e Al Qaeda

di Stefano Iannaccone
14 Gennaio 2016

Nemmeno il tempo di terminare la conta dei morti per l’attentato a Istanbul, che c’è stato un nuovo attacco terroristico a Jakarta. Un micidiale “uno-due”, che ha seguito strategie diverse: in Turchia il kamikaze ha scelto lo stile solito con l’esplosione di un bomba tra la folla; in Indonesia è stato riproposto il “modello-Parigi” con uomini armati che aprono il fuoco sui passanti. In entrambi i casi l’obiettivo è lo stesso: seminare panico e morte tra i civili. Con l’attenzione rivolta ai turisti occidentali: i morti di piazza Sultanahmet sono tedeschi, mentre a Jakarta l’assalto ha preso di mira – tra le altre cose – la catena  Starbucks.

A lungo l’Occidente ha “tifato” per la Primavera araba. L’abbattimento dei regimi ha rappresentato una speranza, che ha trovato una felice definizione in Arab spring e una narrazione positiva. Ma dopo 5 anni dalle rivolte, The Economist ha scritto un articolo in cui ha capovolto la visione titolando The Arab winter, l’Inverno arabo. «La primavera araba sembra non aver portato altro che guai», sintetizza brutalmente l’analisi del giornale. E osservando quanto accade in Siria, Yemen, Libia è difficile sostenere il contrario. Anzi l’unica primavera sembra quella del terrorismo, con una gara spietata tra l’Isis, il gruppo Stato islamico del Califfo al-Baghdadi, e la “vecchia” Al Qaeda, comandata ancora dall’ex vice di Bin Laden, Ayman al-Zawahiri. Questa concorrenza, visto che ognuno non riconosce l’altro, ha preso la forma dall’escalation di azioni che vogliono massimizzare il numero di vittime. Puntano semplicemente a spargere il “sangue degli infedeli”. La rinascita del progetto jihadista è quindi vigorosa: ormai a cadenza quotidiana attira l’attenzione dei media internazionali con operazioni che culminano negli attacchi diretti all’Europa, come quelli del 13 novembre a Parigi e gli altri sventati in Belgio e Germania. E, alla luce delle tensioni tra Arabia Saudita e Iran, le file dell’estremismo trovano un terreno fertile per crescere.

Così su scala globale si è sviluppato uno stile di terrorismo sempre difficile da inquadrare. I marchi del franchising del terrore proliferano e hanno sempre un maggiore appeal: l’Isis ha l’immagine vincente di un gruppo in grado di conquistare ampie porzioni di territorio tra Siria, Iraq e anche Libia. Al Qaeda conserva il fascino dell’organizzazione che è riuscita a colpire gli Stati Uniti d’America l’11 settembre e, nonostante i de profundis recitati dagli analisti, tuttora invoca il martirio dei propri adepti. L’attentato di Jakarta diventa un tragico emblema: al-Zawahiri aveva chiesto ai musulmani del sudest asiatico di attaccare gli Usa. Nel video c’era un esplicito riferimento alla necessità di colpire gli interessi occidentali nella regione: a poche ore c’è stato un attentato, che però sembra sia attribuibile ai combattenti dell’Isis.

al qaeda isis terrorismo terrorismo islamico
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