Imprese: tra le aziende di famiglia la governance femminile risulta vincente

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24 Ottobre 2022
In aumento in Italia il numero di donne imprenditrici che gestiscono le aziende di famiglia con più chiarezza ed apertura verso gli elementi di novità, facendo registrare una crescita dei risultati e meno indebitamento

 

 

 

 

In Italia, sono sempre di più le donne imprenditrici a cui viene affidata la gestione delle aziende di famiglia, portando un nuovo modo di svolgere attività di impresa, attraverso una governance che si distingue per chiarezza ed innovazione, accogliendo il cambiamento e centrando gli obiettivi prefissati, addirittura con un tasso di indebitamento inferiore rispetto alla gestione aziendale esclusivamente al maschile.

I dati riguardanti i risultati raggiunti sono confortanti, con una crescita generalizzata tra le aziende a governance femminile. A rivelarlo è una ricerca condotta da Sda Bocconi, in collaborazione con Lazard e Linklaters, che sarà presentata domani, 25 ottobre, presso la sede dell’Università meneghina, dal titolo : “L’ownership al femminile – Verso la parità di genere nel controllo delle grandi imprese italiane“.

 

Alessandro Minichilli, docente alla Bocconi e direttore del Corporate governance Lab Sda, curatore dello studio, commenta così: “Per la prima volta abbiamo quantificato la proprietà femminile nei maggiori gruppi italiani, quotati e non: le donne sono di gran lunga più rappresentate nelle imprese non quotate e quando c’è la proprietà femminile c’è una governance migliore. Le donne fanno meno acquisizioni ma di maggior valore economico, sono più propense all’internazionalizzazione e molto meno indebitate“.

 

Mentre, il manager director di Lazard, Michele Marocchino, sostiene: “Il dato sorprendente è che quasi un terzo del capitale delle grandi imprese italiane è oggi controllato da azioniste donne. E in 20 anni raggiungeremo poco meno della metà della proprietà femminile sul capitale di queste aziende. Un’evidenza importante che può portare a un cambiamento virtuoso all’interno delle imprese, sia per governance sia per scelte strategiche“.

 

 

 

 

L’indagine ha analizzato tre tipi d’imprese familiari: le non quotate con ricavi sopra i 100 milioni, le quotate sul mercato principale e le quotate sull’Euronext Growth Milan (di piccole e medie imprese) rispetto all’anno 2005, al 2012 e al 2020.

 

Le evidenze prodotte dalla ricerca in oggetto hanno dimostrato come, le donne imprenditrici, stiano aumentando costantemente rispetto alla loro presenza nelle aziende di famiglia, non quotate, ma anche in quelle quotate in Borsa. Si pensi che, nelle imprese che esulano dalla quotazione, la percentuale delle donne azioniste è passata dal 21% dell’anno 2005 al 27,1% solo nel 2020. Ed una previsione assai verosimile, proietta questa crescita,entro il 2040, al 44,5%. Nelle imprese quotate, invece, si registra una diminuzione nell’arco di tempo di 15 anni, passando dal 21,9% al 20,4%.

 

Ma, il dato maggiormente significativo, riguarda la percentuale delle aziende non quotate controllate da donne, che è raddoppiata, sempre in 15 anni, trasformandosi dal 9,8% al 17%.

 

L’assetto manageriale dell’attività di impresa posto in essere dalle donne, brilla particolarmente per alcuni caratteri distintivi, rispetto allo stesso tipo di mansioni dirigenziali, svolte da uomini, ossia una marcata risolutezza gestionale, ed una spiccata propensione al cambiamento, quindi all’innovazione.

L’indice di corporate governance di Sda Bocconi, sostanzialmente, nelle sue ricerche, valuta cinque variabili: la presenza femminile in un consiglio di amministrazione, quanti consiglieri outsider facciano parte dello stesso cda, la separazione delle cariche intercorrente tra presidente e ceo, la leadership individuale e l’alta diversity nel board.

Bene, i riscontri numerici a tal proposito, vedono un indice di corporate governance femminile di 2,56 punti, contro i 2,32 di governance al maschile. E, sempre nelle aziende in cui la proprietà risulta essere perlopiù appartenente alla donne, la separazione tra la posizione di vertice (la presidenza) e quelle del ceo, è pari al 42% dei casi esaminati, a fronte del 38% nelle aziende gestite principalmente da uomini.

Ancora, sono di più le donne imprenditrici ad affidarsi ad un ceo esterno, in particolare, il 37,8% contro il 30,3% della governance maschile.

Alessandro Minichilli, riconduce ciò al fatto che:” Probabilmente, le donne hanno spesso, più coraggio di aprire a professionalità esterne e sono consapevoli delle responsabilità“.

 

 

Nelle aziende controllate da donne, anche il tasso di indebitamento (rapporto di debito-equity medio tra il 2012 e il 2019) è più ridotto di 2,4 volte, rispetto alle 3,5 volte di quelle in cui il vertice è prettamente maschile.

Stesso discorso per i ricavi: tra il 2012 ed il 2019, quelli riferibili alle aziende a governance femminile, sono cresciuti dell’1,8% all’anno, mentre quelle in cui prevale il management degli uomini di 1,6%. Se, in aggiunta, vi è la presenza almeno di un amministratore delegato esterno alla famiglia proprietaria, la redditività sale all’8,2% nelle imprese ad indirizzo femminile, rispetto al 5,7% di quelle a controllo maschile.

Minichilli conclude spiegando che “Le donne si dimostrano più prudenti nella gestione finanziaria e più propense a fare operazioni straordinarie all’estero.

 

 

TAG: #chiaraperrucci, #occupazione, #paritàdigenere, attualità, competitività, donne, economia, glistatigenerali, Grandi imprese, Lavoro
CAT: Questioni di genere

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