A Roma abbiamo finalmente il commissario alla depressione: il prefetto Tronca

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16 Dicembre 2015

Preciso preciso. Non si dice forse così quando gesti, parole, comportamenti di una certa persona la riconducono interamente all’idea che ci siamo fatti di lei, senza neppure conoscere troppo della sua storia personale ma solo attraverso il volto, un tic, dei modi di fare, qualche dichiarazione passata? Sono gli azzardi popolari, quei meravigliosi pregiudizi che si spendono gratuitamente nei bar, nelle cene con gli amic più cari, si parla e si sparla in allegria, in assoluta libertà, parole e chiacchiere perchè se le disperda il vento che spesso raccontano la società meglio di cento articoli di giornale. Precisi precisi, pur nelle loro diversità, appaiono i padri in questione – questione Etruria – che tanto tormentano i figlioli, preciso preciso è il prefetto Tronca oggi rimodellato a sindaco della Capitale, anche se formalmente commissario. Tronca arriva da Milano, dove nessuno (nessuna delle persone che frequentano bar, tram, autobus, cinema, teatri, mostre, musei, luna park, dunque tutti i cittadini) sapeva della sua presenza. Non per inettitudine, per carità, semmai per il suo contrario, quella discrezione operosa che ne ha fatto un uomo apprezzato delle istituzioni. Milano deve avergli fatto bene e male e adesso vedremo perchè, partendo dal suo padre spirituale, anch’egli molto milanese nell’animo: Mario Monti.

Mario Monti passerà alla storia per molte questioni e quasi tutte legate alla politica ma verrà anche ricordato per un paio di prodezze – una perfettamente riuscita, l’altra per fortuna sventata – che definirono pienamente, plasticamente, straordinariamente la sua cupissima vocazione alla depressione. Personale e collettiva. La prima, che oggi gli ritornerà alla memoria come in un infelice contrappasso, è la rinuncia ai Giochi Olimpici. Fummo i soli, all’epoca noi de Linkiesta, a contestargli quella scelta, che sostanzialmente aveva questa unica ragione: siccome in Italia rubano tutti, non c’è motivo di pensare che i Giochi non si trasformino nella più spettacolare gara al ladrocinio planetario. Disse, Monti, che in quel momento di economia più che balbettante non ce lo potevamo permettere. Gli vennero dietro tutti, appunto. L’altra prodezza fu davvero impagabile: alla fine di un consiglio dei Ministri se ne uscì dicendo che dopo le nove di sera le città si dovevano spegnere, letteralmente spegnere, rabbuiandosi moralmente e fisicamente sino all’alba successiva quando una lama di luce ci avrebbe restituito alla vita e al buonumore. Con un unico “click” si sarebbero spenti tutti i lampioni, con la scusa del risparmio energetico e lasciando perdere ogni questione di sicurezza cittadina. Definì quella iniziativa: «Cieli bui». Una cosa angosciante già nella presentazione. Qui si opposero in diversi e la questione per fortuna finì in un cassetto.

C’era un’idea di fondo che sovrastava a quelle “illuminazioni” e cioè che in tempi grami alla gente si dovesse spegnere anche il sorriso perchè tutti potessero sentire anche meglio il momento difficile, una sorta di cupa pedagogia diffusa capillarmente, un porta a porta della depressione, per arrivare al risultato finale di una sofferenza collettiva e salvifica.

Mario Monti oggi ha un nipotino di cui essere orgoglioso. E lo festeggiamo come  si conviene. Se non per età, il prefetto Tronca lo è almeno per inclinazione spirituale, perché al suo primo, primissimo, atto veramente pubblico, ha deciso – dopo una ventina d’anni di memorabili e meno memorabili 31 dicembre – di fare sparire il Capodanno a Roma con un tratto di penna. Ne ha dato, ovviamente, la spiegazione più montiana possibile: non ci sono gli schei, la grana, la pila, i sacchi, i chili, insomma gli “euri”! «Sono un tecnico chiamato a far quadrare i conti – ha così giustificato la decisione -, la decisione di spendere una cifra importante per il concertone la può prendere soltanto un politico eletto dai cittadini». Adesso naturalmente c’è un po’ di di fermento in città, la politica non sembra entusiasta della cosa, meno ancora le associazioni dei commercianti ecc. Ma tanto per dirla chiara: chissenefrega della politica e dei commercianti. Qui la questione è solo dei cittadini romani e non romani che nel tempo si sono abituati a un’occasione straordinaria per vivere (insieme) la loro città, senza distinzioni di censo, di casta, di banca. Spegnere con un editto anche un po’ fesso il sorriso dei romani non è solo un’ingiustizia enorme, ma anche un atto di dilettantismo grave per un commissario di una città importante come Roma.

Prima di togliere un diritto fondativo com’è il diritto al sorriso e allo stare bene insieme, il prefetto Tronca ci deve fare il santo piacere di battere strade un tantino più intelligenti, come quella – ad esempio – di ricercare l’aiuto dei privati per la “cosa pubblica”. Facciamo un esempio banale: Della Valle sta pagando il restauro del Colosseo? Bene, gli si chieda se può o vuole contribuire a restituire il sorriso ai romani mettendo qualche soldo per il Capodanno. E se non sarà Della Valle, si battano altre strade e altre persone. Questo è il dovere di un manager pubblico, perchè lei, gentile prefetto, in questo momento è un manager, lo sapeva prima che i costi di un ruolo così delicato erano questi e dunque ora non può opporre visioni da carrozzone parastatale. Ma è possibile, santa pace, che quando l’economia non tira la prima cosa da spegnere è il sorriso delle persone?

TAG: francesco paolo tronca, Roma
CAT: Roma

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