Un arredo di Simona Oberti

L'architettura e noi

Finalmente un buon arredo, fatto per essere vissuto, non per essere fotografato

di Cristoforo Bono 24 Maggio 2025

Gli arredamenti che vengono proposti sugli inserti femminili dei quotidiani sono quasi sempre uguali a se stessi: fatti per essere fotografati più che per essere vissuti. Questo arredo di Simona Oberti, architetta che non conosco per altre opere, apparso su Io Donna del 17 maggio 2025, si distingue da quelli, spesso patinati e vacui. C’è una mano che dà un senso architettonico agli elementi diversi, dai mobili agli oggetti. E gli spazi sono calibrati in funzione di questi e ne risultano singolarmente efficaci.

Evidentemente non sappiamo quanto i due “genitori” della realizzazione abbiano influito o prevalso nell’impostazione. Il committente come padre e l’architetta come madre dell’opera. (Ovviamente la reciproca attribuzione sarebbe la stessa se l’architetto fosse stato di genere maschile: umanisticamente la distinzione genitoriale è la stessa).

E, aggiungiamo, la distinzione, idealmente, vale anche se l’architetto realizza per sé la propria opera. Se vogliamo definire questo arredamento dal punto di vista estetico potremmo dire: eclettismo e rigore. Ne scaturisce una singolare individualità degli spazi, come per l’ingresso-studio, e una loro reciproca compenetrazione. Nonostante la ricchezza degli arredi ogni gesto progettuale è essenziale e non incline all’inutile decoro.

Questo esempio di arredo di Simona Oberti suggerisce una riflessione: il “mondo” non si divide in architetti e arredatori, come la moda di certa borghesia ha voluto, ma – nel migliore dei casi che dovrebbero fare scuola – esiste solo l’architettura a tutto tondo. Dentro e fuori. E non esiste nemmeno la distinzione accademica tra architettura e architettura degli interni. Come Adolf Loos ci ha insegnato, esistono un interno e un esterno dell’architettura, valutabili con la stessa pietra di paragone: come fatti di civiltà, cioè che stanno al passo con l’evoluzione dell’uomo moderno, che, ad esempio, non si sognerebbe mai di bere in una tazza a forma di testa di leone.

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