La parolaccia della settimana
Le parole sono importanti. Le parolacce pure
Buona giornata a tutti.
Questa è una nuova rubrica, tutta personale, dove la protagonista sarà un’espressione orale o anche scritta, ma è più facile che sia orale, diventata importantissima nell’esprimersi quotidiano. Un tempo si aveva pudore a inserirla nel discorso, soprattutto persone di una certa levatura ed educazione evitavano accuratamente di usarla in pubblico, se non per snobismo, perché altrimenti sarebbero stati stigmatizzati e anche presi per ignoranti in quanto esistono sempre dei sinonimi, sebbene non abbiano la stessa portata retorica.
Ebbene sì, quest’espressione così tanto di moda è la “parolaccia”.
Sdoganata ormai nel linguaggio pubblico, amplificata dai social e dai media, la parolaccia gode di grande popolarità. Ci sono anche persone che se le fanno tatuare sul corpo, a imperitura memoria. Credeteci.
C’è anche un significato magico ed esorcistico della parolaccia, diavoli e arcidiavoli ne dicono a bizzeffe, forse per essere ricambiati dalla gratificante reazione dell’esorcista, chi lo sa.
Naturalmente, poiché io faccio ancora parte di un mondo dove l’eleganza era importante, ne uso pochissime, però riconosco che quanno ce vo’, ce vo’. Anche la parolaccia ha un suo peso specifico per descrivere un carattere, una situazione, un ambiente. Ha anche un valore liberatorio, perbacco.
Mi sono commosso quando ho letto che Orietta Berti era contrariata dal numero di parolacce che Fedez diceva in sua presenza. Orietta, sei l’ultimo baluardo delle buone maniere, che ci vuoi fare, ormai il linguaggio si è talmente impoverito che per farsi capire bisogna usare le parolacce.
Ma qui sta il bello di questa nuova rubrica. Le parolacce che ogni settimana sceglierò per voi non sono parolacce autentiche. No. Sono parole abbastanza normali che però diventano parolacce in bocca a personaggi squallidi, come possono essere i nostri attuali politici, certi imprenditori, certi personaggi dello spettacolo e così via. Costoro spesso sovvertono il significato di quelle parole e le usano a sproposito (cosa abbastanza facile perché mostrano d’avere una conoscenza sommaria della lingua italiana) oppure credono di dire cose intelligenti, ottenendo, per chi invece la lingua la conosce un po’ meglio, un’indignazione. Indignazione, più che per moralismo, per l’uso improprio del termine e indignazione anche per l’offesa acustica provocata alle orecchie di chi ascolta o legge. Ma indignazione, soprattutto, per l’inganno che viene propinato al cittadino vorrei dire “normale” ma oggi “normale” potrebbe essere anche una parolaccia, visto l’uso che di “normale” e “normalità” viene fatto proprio da quelle persone, campione di tutti il generale Vannacci, che anziché guardare la propria, di normalità, e fare una doverosa autocoscienza, si concentra su quella degli altri. È più comodo veder le pagliuzze negli occhi degli altri piuttosto che la trave nel proprio occhio. Ma credo che il discorso della montagna sia stato inteso da colui come un comizio nella Valtronfia per arringare le folle celtiche cisalpine alla sua causa di mondi al contrario.
Le “parolacce” che vengono dette quotidianamente sono una miriade. A volte sceglierle è veramente difficile. Incominciamo, qui, con una alla settimana; poi, magari, aumenteremo, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Mi raccomando, commentate perché mi piacerebbe sapere che ne pensate. Poi, magari, potreste suggerirmi le parolacce che mi sono sfuggite e così arricchire il vocabolario di questo giornale.
Voilà.
La parolaccia della settimana tra le più bistrattate che ho trovato è:
CULTURA
Cultura è una parolaccia molto in voga nella politica di oggi, soprattutto in Italia, Paese che, è riconosciuto a livello internazionale, della Cultura è considerato la patria. Il bello è che chi parla di cultura spesso di cultura non ne possiede proprio. Ma non ha nemmeno la coscienza socratica di sapere di non sapere. No. Al contrario, lo sventurato (spesso anche sventurata) suppone di sapere tante cose. Forse gli o le appaiono tante, perché non ha proprio idea di quanto vasta possa essere una vera cultura e, pur in cotanta vastità, c’è sempre qualcosa che sfugge. Diciamo che spesso, più che di cultura vera e propria, si tratta, sulla bocca di questi personaggi, di una parodia della cultura.
Cominciamo un po’ col definirla. È un po’ complesso perché con cultura s’intendono tante cose e, spesso, ciò che una volta non era considerata cultura oggi lo è diventato; perfino il trash (=spazzatura), in questo mondo sottosopra (non quello vannacciano), oggi è cultura. Si vede, ad esempio, con certe opere d’arte che a volte non si capisce se siano i resti spazzati dall’uomo delle pulizie o siano un’installazione. Così come tanta televisione inutile come le isole delle tentazioni o dei famosi (spesso illustri sconosciuti), le paturnie dei tronisti, le poste per te, per lui, per noi, trash blasonato e mandato in onda “perché piace alla gente”. E il nulla diventa Cultura.
Tutti, ma proprio tutti, usano e abusano di questa parolaccia, forse perché associano la prima metà della suddetta a una parte del corpo perennemente oggetto di scherno e usata spesso come parolaccia, per dire “che fortuna!”, un concetto positivo, peraltro. Oppure come epiteto, con accrescitivo, per una ex-cancelliera tedesca da parte di un ex non molto cavaliere. I sinonimi sarebbero anche più pittoreschi, le natiche, per esempio, oppure sedere, glutei, posteriore… lato B, per i più creativi. Non mi dilungo tanto perché sul termine in questione ci si potrebbe soffermare parecchio, anche facendo notare che è un raffinato latinismo (da culus) usato perfino da Dante “Ed elli avea del cul fatto trombetta” (Inferno, Canto XXI). Anche una campagna elettorale dei fratelli d’itaglia che aveva avuto origine in Veneto, basata su un video con dei cartelli, invitava a non votare con il culo. Remember, Giorgia? Meministine? Abbiamo avuto anche questo, sì, chissà che intendevano quei due mentecatti. E, comunque, non è il tipo di parolaccia che interessa questa rubrica topsy-turvy.
C’è stato, addirittura, un ministro della Repubblica, in un governo da operetta, che non era della Cultura ma dell’Economia, che un giorno inventò lo “slogan” (altra parolaccia di cui ho parlato qualche articolo fa) “Con la cultura non si mangia”. Va ancora avanti codesto slogan, come se fosse una frase celebre e intelligente, che so, “Eppur si muove” oppure “Cogito ergo sum”. Secondo me voleva dire altro, perché la cultura non è una cosa che si mangia, mentre la coltura, qualche volta, sì. Essendo noi creature biologiche, di altri esseri biologici dobbiamo nutrirci e i vegetali rappresentano una classe di viventi, che si possono “coltivare”, che alimentano non solo noi ma anche tante altre specie animali. E sarebbe stato comunque sbagliato il concetto, perché è “senza coltura” che “non si mangia”. Ma chi espresse quel concetto, pur essendo nientemeno che un giurista, forse non doveva avere le idee molto chiare, in generale, anche sulla lingua italiana e pensava solo a dei numeri; che poi, anche lì, non che fosse un matematico, era piuttosto un ragioniere che credeva di avere ragione. Un po’ sterile per non dire stitico (si può dire? Non è una parolaccia, almeno oggi).
La Cultura non è una cosa con cui si nasce. No. Non è il colore dei capelli o della pelle, degli occhi o il sesso (che oggi si può anche cambiare, peraltro; molti si sentono orbati di questa certezza, e accusano la Cultura di non essere più quella di una volta, vagheggiando un Medioevo prossimo venturo senza degenerati e tutti normali, per far piacere al suddetto generale che detesta la Cultura gender, che non esiste). La Cultura, con C maiuscola, è un complesso di dati, cognizioni ed esperienze che si acquisisce principalmente collo studio. Fin dall’asilo infantile (dove molte persone mature che usano la parolaccia della settimana sono rimaste a pascolare) e poi nel percorso scolastico classico, cioè scuola elementare, media, superiore e per, i più dotati, università. E si accresce, questa screanzata, come si permette? Inoltre, per i più dotati, possono anche esserci i vari premi culturali, di musica, di letteratura, il Nobel, il Pulitzer, il Campiello, l’Abbiati! Lo Strega! Miss Italia, naturalmente, grande premio culturale che appassiona milioni d’italiani e italiane e riservato al gentil sesso che esprime il meglio della gioventù italica, perbacco. Quelle sì che sono donne! Ma non divaghiamo.
Quindi Cultura, con C maiuscola, è qualcosa di complesso, che metaforicamente è un vero e proprio nutrimento, non certo per lo stomaco, bensì per ciò che viene inteso come “anima”. Si dice spesso “è un divoratore di libri”, metafora (la metafora, per chi non lo sapesse, perché oggi il pericolo è di essere fraintesi per inconsapevolezza dell’ascoltatore o del lettore – o dell’AI, nuova personalità del terzo millennio, ora ci arriviamo -, è una delle tante figure retoriche che le lingue in genere usano per dire una cosa attraverso un’altra) assai indicata per chi legge molto, e il libro, si sa, è uno dei principali veicoli di cultura. Non tutti i libri, è vero, anzi, spesso ci sono dei libri assolutamente anodini che però vengono pubblicati perché così le case editrici possono far figurare di averli messi in catalogo e usufruire di sovvenzioni regionali o statali. Soldi rubati? Forse sì, forse anche, forse sicuro. In quel caso non sono veicolo di Cultura (con C maiuscola) ma di retribuzione (per l’editore), altra parolaccia. Oggi abbiamo inaugurato la rubrica con un mucchio di oscenità, chiedo perdono. Magari la “Retribuzione” la vedremo un’altra volta, è che sono così tante, perdinci!
Tra non molto, probabilmente, non ci sarà più nemmeno bisogno di autori perché l’intelligenza artificiale produrrà libri assolutamente inutili e quindi senza valore culturale. E non è detto che non produca manuali e dizionari di parolacce! Ma questa è un’altra faccenda riservata all’avvenire.
Mi viene in mente, a questo proposito, una cosa pericolosissima. Ossia che l’AI si metta di buzzo buono per riscrivere i testi sacri, facendo un lacerto di tutti quanti e facendo incontrare Buddha colla Maddalena, Caterina da Siena con Anubi (che si diranno mai due tipi così…) e così via, confondendo lo tsunami di Santorini col diluvio universale e l’arca di Noè colla barca di Caronte. E a poco a poco sostituire gli originali. Potrebbe causare dei problemi culturali ma potrebbe anche venirne fuori un’opera umoristica assai. Potrebbe succedere, col dilagare dei testi sacri online e dell’uso improprio che si fa di Chatgpt.
Ma torniamo all’uso di questa settimanale parolaccia scostumata sulla bocca di tutti, la Cultura. Ops, scusate, l’ho ridetta.
I governi del nostro Paese si fregiano, ogni anno, di eleggere una Capitale italiana della Cultura. Quest’anno è toccata ad Agrigento, antichissima città della Sicilia, di origini greche (Akragas), poi nei secoli mutata in Agrigentum, Kerkent, Gergent, Girgenti e, col fascismo, che era imbevuto di cultura classica (o, diciamolo pure, una sua visione distorta), Agrigento, italianizzando il latino (come per i glutei più sopra). E tale è rimasta fino a oggi, domani chissà, magari ci sarà un’anglicizzazione: Agrigent.
E, in effetti, il titolo se lo sarebbe proprio meritato perché la città è piena di testimonianze archeologiche e artistiche del passato degne di una capitale culturale non solo italiana ma mondiale, nemmeno su Marte hanno delle rovine così belle. Però, e qui sta l’uso di Cultura come parolaccia, la città, intesa come entità politica, ossia come amministrazione pubblica, regionale e statale, è assolutamente inadeguata alla fruizione culturale così come era inteso nelle premesse (e promesse), e come avevano fatto intendere i nostri governanti e amministratori ai poveri agrigentini, abitanti di cotanto sfacelo. Si potrebbe anzi dire che quest’anno, che è ancora alla metà, Agrigento si può classificare come Capitale dell’Incultura, come tutti i politici che hanno (dis)organizzato l’evento hanno dimostrato. Tutto documentatissimo e illustrato nelle celebre puntata di PiazzaPulita di qualche giorno fa. Il calendario culturale degli eventi previsti è completamente disatteso, non ci sono luoghi agibili, nemmeno le sedi, che, anzi, crollano, il teatro faceva acqua mentre pioveva, le strade per raggiungere i luoghi della cultura sembrano in disuso da secoli, eccetera. Nessuno controlla e, se controlla, o lo fa male, o non lo sa fare, o lo fa e nasconde o nasconde perché gli hanno detto di farlo. Certo, i templi ci sono, sono lì da duemila e passa anni, quelli hanno resistito, roba fatta bene, e ci parlano dal passato remoto, trasmettendoci la cultura delle colonie greche in Sicilia. Ma il concetto che la Cultura (con C maiuscola) costi impegno, denaro, e consapevolezza non dev’essere molto chiaro a chi la gestisce, la maneggia, la rappresenta. Non è colpa né di Agrigento né degli agrigentini, beninteso, che, anzi, sono le vittime di una simile caricatura della Cultura. Forse i gestori dell’evento pensano che basti scriverla, codesta parolaccia, perché magicamente si materializzi da sé oppure pronunciarla come una specie di mantra: culturaculturaculturaculturaculturissima, che basti poggiare la mano su un libro perché la Cultura che quell’oggetto esprime si trasferisca magicamente nel loro cervello. E, oplà, eccoci tutti acculturati. Si può anche esprimere non leggendo i libri premiati al Premio Strega, come dichiarato dall’ex-ministro della Cultura Sangiuliano, che dava i voti ai libri senza averli mai letti, un sette, un sei meno, un dieci e lode. Succede anche nelle migliori diipatrieffamiglie.
Gli ultimi ministri della cultura, per non parlare di quelli dell’istruzione, che dell’insegnamento della cultura sarebbero depositari, purtroppo, appunto, sono i principali declamatori della Cultura come bestemmia.
Chi usa questa parolaccia poi ne usa tante altre che diventano un corollario, o quasi uno stellario, come quello della Vergine, talvolta illuminato in alcune statue votive moderne. Spesso c’è un’altra parolaccia che viene accoppiata a “Cultura”: “Turismo”.
La ministra del Turismo, impelagata, poverina, in una serie di indagini per truffa allo Stato, cioè a sé stessa, rappresentandolo, usa spesso la parola Cultura senza sapere di che si tratti. E, infatti, dimostra, con evidenza universalmente riconosciuta, di esserne sprovvista come nella famosa frase in cui asseriva che “Il Gattopardo” era un film di Lucchini. Chissà chi è, sto Lucchini. Povera donna, non può essere colpa sua, chissà su quali libri deve aver studiato. Le devono aver allungato gli appunti sbagliati e sicuramente agli esami non le hanno chiesto di chi fosse il Gattopardo-film. Forse il libro potrebbe essere di un certo Tommaso non meglio identificato, chi lo sa. Che dite? Una bocciatura su tutti i fronti? Siete crudeli, ma in fondo se la meriterebbe e non solo per l’informazione sbagliata. Siamo sicuri, però, che anche la bocciatura lei la rivendicherebbe con orgoglio, come fa sempre per qualsiasi sciocchezza le esca dalla bocca. Porella. Però non bisogna dimenticare che oggi vige la scuola del merito, e che cosa meriterebbe, secondo voi, una simile asina?
Diciamo che tra le tante convinzioni di questo governo che pretenderebbe finalmente affossare nientemeno la “Cultura della Sinistra” (che sconcezza, due parolacce insieme, “Cultura” e “Sinistra”!), senza rendersi conto che le sinistre sono le uniche forme politiche che hanno in qualche modo difeso un patrimonio culturale millenario, né di destra né di sinistra (un po’ come i Cinquestelle, né di qua né di là, un non luogo dove si concilia la materia coll’antimateria) a volte senza riuscirci ma almeno tentando, c’è quella che adesso la Cultura sia, finalmente, nelle mani “giuste”.
Mani in alto, ministro! Questa è una rapina! Ed è, infatti, la conseguenza di quest’uso smodato della parolaccia, una rapina a danno degli Italiani, rubando loro le frattaglie di una Cultura che ha fatto furore nel dopoguerra e anche dopo. La Cultura, stanca di essere umiliata di continuo dai politici di questo governo, è fuggita via, ahimè. Infatti è assente del tutto in qualsiasi intervento di Giorgia. Non parla mai di Cultura perché lei non dice le parolacce, diopatriaeffamiglia (che è una parolaccia in bocca a lei) sì, Cultura mai. Evidentemente crede di essere ben educata. Ci crede solo lei.
Nelle prossime settimane, ve lo prometto, avrete molte altre parolacce da apprendere e, magari, suggerimenti per usarle nel giusto verso.
Grazie per l’attenzione, lettrici e lettori (lettor* mi fa ribrezzo, è una parolaccia), e a presto.
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