L’idea russa e la mentalità totalitaria resistente

17 Luglio 2022

L’idea russa (Neri Pozza) di Bengt Jangfeldt è un libro opportuno che in questo clima di discussione politica rischia seriamente di passare inosservato. Anzi no: rischia di essere liquidato come libro ideologico.

Di che cosa parla? Il tema è il confronto tra la Russia e  l’Occidente, meglio tra l’idea di essere Russia e l’Occidente. L’idea di essere Russia significa se quel cosmo – umano, culturale, emozionale, letterario, …. –  sia inquadrabile e sia collocabile in un profilo di confronto , anche aspro, ma avvertito come afferente alla stessa famiglia con l’Europa, o se invece quel confronto alluda a un conflitto verticale, irriducibile che non consente mediazioni con l’Occidente e con l’Europa in particolare.

La tesi  Bengt Jagenfeldt è che quel confronto ha una lunga storia che almeno parte da Pietro Il Grande all’inizio del XVIII secolo e poi si ripresenta costantemente per almeno tre secoli (soprattutto in tutti i momenti i cui si promettono riforme radicali: nella Russia di Caterina negli anni ’70 e ‘80 del XVIII secolo; al tempo della liberazione della condizione di servitù dei contadini con la legge del 1863; nelle sfide che segnano il processo di modernizzazione del primo modello di riforma segnato dalla Nep negli anni ’20 del ‘900; nei lenti processi di riforma degli anni ’80 al tempo della “perestroijka”).

In quel confronto contano molti fattori, ma uno è essenziale si colloca tra gli anni ’50 e gli anni ’60 del XIX secolo: ovvero se confrontarsi con l’Occidente implichi perdere l’anima arussa -come sostanzialmente sostiene Dostoevskij, o se invece l’unica salvezza possibile per la Russia sia quella di scoprire la sfida dell’Occidente come sostiene Aleksandr Herzen, il padre dei democratici russi (sarà significativo il fatto che per dirlo lo scrive stando a Londra?).

Quello scontro fonda gran parte del vocabolario politico della Russia contemporanea, non solo allora, nella seconda metà del XIX secolo, ma ancora all’inizio del XX e soprattutto nel vocabolario politico dell’esperienza della Rivoluzione d’Ottobre e poi della costruzione del modello staliniano poi.

Un linguaggio che non salva nessuno. Essere stati contro il bolscevismo non implica esserne immuni.

Il linguaggio nazionalista, antioccidentale, lo sguardo complottista che sentiamo potente in questi mesi, ci dice Bengt Jagenfeldt, non è stato coltivato in autonomia e in solitudine nelle stanze del Cremlino in questi anni, ha una lunga storia le cui tracce stanno nella riscoperta del mito russo a cui ha contribuito con entusiasmo Aleksandr Solženicyn. Mito che che il grand narratore ripropone già nell’ultimo periodo del suo esilio americano e poi costruisce in forma dispiegata all’indomani del suo rientro in Russia (1994).

Non solo. In quel processo di orgoglio nazionale, e di antioccidentalismo che connota una parte rilevante della ripresa nella libera stampa, quel mito è potente già nella seconda metà degli anni ’80 quando una parte rilevante del linguaggio pubblico si forma (anche con l’aiuto, non disinteressato, del KGB) intorno a Pamjat, ovvero la formazione panrussa, antisemita, che oggi è espressione dell’ideologo più ascoltato al Cremino, ovvero Aleksandr Gel’evič Dugin.

Quello di Bengt Jagenfeldt è un quadro utile per ragionare, ma soprattutto, in assenza di informazione documentata, è un modo per farsi un’idea e muoversi nella marea di parole e di opinioni che abbiamo ascoltato in questi mesi totalmente mute sul profilo culturale, politico e filosofico-politico della Russia putiniana.

Si potrebbe anche aggiungere un’altra cosa.

Gli imperi hanno tempi di declino e non scompaiono nel momento in cui crollano. Continuano ad esistere grazie a un complesso di pratiche politiche, peccati mai espiati, crimini impuniti. Su tutti domina un’apatia sociale attentamente coltivata.

La mentalità totalitaria dura molto dei più dei regimi politici che la costruiscono. Qualche volta si riprende il potere e torna a dettare le regole politiche del tempo storico.

Forse anche questo sarebbe un tema di cui parlare.

TAG: Aleksandr Gel'evič Dugin, Aleksandr Solženicyn, Bengt Jangfeldt, Fedor Dostoevskij, Kgb, Neri Pozza Editore, Pamyat, Pietro il Grande, vladimir putin
CAT: Russia

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