Sanità
Sanità, senza chi cura non resta nulla
Senza un investimento reale sul personale sanitario, ogni riforma rischia di restare un guscio vuoto.
Nell’editoriale pubblicato oggi, 3 giugno, su Il Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli firma un’analisi puntuale, inquieta, sulla tenuta del nostro sistema sanitario. Invoca un nuovo patto tra pubblico e privato, l’uso dell’intelligenza artificiale, l’elaborazione predittiva dei dati, il rilancio della prevenzione. L’approccio è quello dell’uomo di Stato: sobrio, razionale, perfettamente composto.
Ma qualcosa manca. Manca ciò che non fa notizia finché non viene meno del tutto. Manca chi cura.
Il sistema è già collassato, ma non nei grafici. Collassa dove la mano non arriva, dove il medico non c’è, dove l’infermiere si è dimesso. Collassa ogni notte nei pronto soccorso con un solo turno attivo per un’intera provincia. Collassa quando, davanti a una diagnosi precoce, non c’è nessuno a prendere in carico quella vita. Possiamo avere tutte le piattaforme predittive che vogliamo, ma senza persone diventano solo specchi per statistiche.
In questa realtà che parla più forte di qualsiasi algoritmo, le parole più vere le ha dette Giuseppe Maria Milanese, presidente nazionale di Confcooperative Salute, su La Stampa del 31 maggio 2025:
«Il Pnrr, che doveva dare una svolta al sistema socio-assistenziale, si sta rivelando uno dei più grandi fallimenti della storia italiana».
Una frase netta, ma non ideologica. È il grido di chi ogni giorno incrocia gli sguardi di chi regge pezzi di sanità residua. Milanese non difende un modello astratto: denuncia l’assenza strutturale di investimento sul personale. Non sono state costruite reti territoriali, non si è creduto nella medicina di prossimità. Si è puntato tutto su strutture, muri, macchinari. Ma si è dimenticato che senza chi le abita, quelle strutture sono scatole vuote.
Oggi l’Italia è piena di edifici nuovi e reparti deserti. Gli operatori, sottopagati e logorati, fuggono verso luoghi meno tossici. I giovani medici emigrano. Gli anziani aumentano. Le cronicità esplodono. Eppure, nessuno si chiede cosa significhi davvero costruire un sistema. Perché un sistema, se non riconosce il valore di chi ci lavora dentro, non si tiene in piedi.
Milanese lo dice chiaramente: non è una questione solo provinciale, ma nazionale. E porta un dato simbolico: un solo ginecologo ad Asti opera ogni anno 250 donne per tumori maligni, con una sopravvivenza a cinque anni del 100% per i carcinomi localizzati al seno. È lì che andavano messi i fondi. In quelle mani. In quelle storie. In quella dedizione.
Ma non è andata così. Abbiamo preferito scommettere sul futuro anziché salvare il presente. Abbiamo firmato patti teorici, ma ignorato chi ogni giorno sostiene il peso dell’impossibile. Abbiamo dimenticato che un sistema sanitario non è un’architettura: è una relazione. E senza relazione, non si cura. Si gestisce. Male.
Nel frattempo, si continua a parlare di riforme, di modelli, di prevenzione personalizzata. Ma il paziente che oggi bussa alla porta non trova nulla di tutto questo. Trova un sistema stanco. Un medico esausto. Un’attesa che non finisce.
Ci salveremo solo se avremo il coraggio di spostare lo sguardo. E dire, con fermezza, che senza chi cura, non esiste più nulla da riformare.
Solo da rimpiangere.
Devi fare login per commentare
Accedi