Ivrea, “il telefono come l’amianto, cancerogeno ma non si sa perché”
Ancora non si sa perché ma l’amianto e il telefonino, se utilizzato in modo assiduo, possono provocare tumori. Questa analogia emerge dalla consulenza tecnica d’ufficio alla base della sentenza con cui il Tribunale di Ivrea ha condannato l’Inail a versare una rendita vitalizia all’ex dipendente di Telecom Roberto Romeo, riconoscendogli un danno biologico del 23 per cento causato da un neurinoma per un uso assiduo del cellulare.
Nello studio disposto dal giudice del lavoro si sottolinea “la mancanza al momento attuale di conoscenze su meccanismi d’azione plausibili per un effetto cancerogeno delle radiofrequenze. D’altra parte anche per l’amianto ci troviamo nella stessa situazione: nessun meccanismo d’azione è stato stabilito con certezza per questa sostanza (…). Questo non deve ovviamente impedire che si consideri l’amianto come un cancerogeno per la specie umana”.
Nella sua consulenza di parte, l’Inail evidenziava invece che “nonostante le numerose ricerche compiute negli anni, non si è ancora stabilito nessun meccanismo di azione in base al quale l’esposizione alle radiofrequenze di basso livello prodotte dai cellulari possa contribuire all’insorgenza dei tumori”. Il consulente Paolo Crosignani conclude che “la causa della malattia contratta dal ricorrente sia in misura ‘più probabile che non da attrribuire alle esposizioni derivanti dal lavoro svolto”. E lo fa, in sostanza, solo sulla base dei convincimenti raggiunti dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità (IARC) che nel 2011 “ha reso nota una valutazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici ad altra frequenza come ‘cancerogeni possibili per l’uomo’”. “E’ su questa monografia di 480 pagine – precisa Crosignani – che si baseranno le mie valutazioni. Non sono stati reperiti lavori scientifici dirimenti per la valutazione delle radiofrequenze come cancerogeni per la specie umana, comparsi in epoca successiva”.
Manuela D’Alessandro
Un commento
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Il riconoscimento di una malattia professionale e, specialmente, una rendita per inabilità permanente non si nega a nessun lavoratore. Specie se una repubblica ” si fonda “, pomposamente, sul LAVORO.
Si noti che la corposa monografia di 480 pagine, recepite dal Consulente,conclude ipotizzando effetti ” cancerogeni POSSIBILI per l’uomo ” a seguito di esposizione ” ai campi magnetici ad alta ( nella fattispecie, bassa, n.d.r. ) frequenza “. Il principio di diritto che, invece, richiede un nesso di alta probabilità scientifica, in tema di malattie professionali, è stato completamente disatteso dal Consulente. Anzi stravolto. Niente paura……il tutto è solo funzionale alla ipocrita ” sacralità ” del lavoro nel Paese delle pensioni.