Dopo la scuola media unica, il liceo unico?

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18 Dicembre 2022

Fornisco un commento anche al secondo articolo di Maria Pia Baroncelli che promuove l’idea che “Dopo la scuola media unica, il liceo unico” possa rappresentare una soluzione al problema della diseguaglianza sociale. Anche in questo caso le rubo il titolo e aggiungo un punto interrogativo.

La proposta parte da un ragionamento che fa leva sull’antifascismo di maniera. Siccome la scuola media unica creata nel 1962 ha dato una spallata alla riforma Gentile (sarà vero?) che è stata dichiarata dal Duce essere “la più fascista delle riforme”, allora oggi dobbiamo istituire il liceo unico per proseguire nel solco del distanziamento dal fascismo e dai suoi cascami, come ci indica Don Milani (sarà vero?). Contemporaneamente siamo costretti a leggere che occorre abolire quella che si chiamava “alternanza scuola-lavoro”, oggi PCTO, perché sono una vergognosa concessione all’industria che ottiene mano d’opera a basso costo. Eppure la Legge 107 del 2015, nota come “buona scuola” rappresenta proprio una riforma antigentiliana, ma Baroncelli non se ne è accorta. Concordo sul fatto che nella sua versione originale, queste ore fossero troppe, ma escludere i licei da un tentativo di connessione con ciò che è fuori dalle proprie mura, sarebbe davvero marcatamente gentiliano. Bisogna esserne consapevoli. Per quel che riguarda gli istituti tecnici e professionali, non ne conosco uno che ne rinneghi il valore formativo. Per non parlare della formazione professionale dove conserva un nobile nome: tirocinio.

Uno sguardo storiografico ci aiuta a comprendere le differenze tra il 1962 e il 2022, ma soprattutto, dobbiamo domandarci: la scuola media unica ha abbassato i divari sociali? Il liceo unico, quindi, li abbasserebbe? La risposta mi sembra ovvia.

Immaginiamo di adottare la riforma proposta da Baroncelli. Cosa otterremmo domani mattina? Le scuole, tutte con un curricolo rigido più uno “à la carte” offrirebbero tra le opzioni quelle che hanno in casa. Se uno vuole fare greco, va in quell’edificio nel quale una volta c’era il liceo classico, se vuole fare navigazione, va in quell’edificio nel quale una volta c’era l’istituto nautico. In quell’edificio ci sarebbe una nuova scritta: “liceo unico”. Tutto sarebbe cambiato, per restare uguale.

L’idea di consentire alle studentesse e agli studenti di fare maggiori scelte in itinere è condivisibile (è sostenuta dal Gruppo Condorcet) e può essere implementata e dovrebbe esserlo nel quadro di un orario che, almeno nei primi due anni di scuole “superiori” dovrebbe essere quantitativamente identico per tutti. 30 ore alla settimana in prima e seconda, le stesse che si fanno alle scuole “medie” sembrano ragionevoli. Di queste, almeno un terzo dovrebbero ricadere tra le scelte opzionali e, complessivamente, almeno 5 ore settimanali dovrebbero avere un’impronta marcatamente pratico/laboratoriale. Per tutti. Una certa modularità dovrebbe essere incarnata anche dentro una stessa materia. Tipico l’esempio della matematica, ma vale anche per l’italiano. Un nucleo fondante valido per tutti e approfondimenti opzionali orientati a costruire le premesse per questo o quell’indirizzo successivo. O per consolidare quanto necessario al proprio percorso scolastico. A titolo di esempio, la trigonometria sferica va insegnata a che faccia un indirizzo nautico. Gli approfondimenti di grammatica potrebbero essere più o meno marcati se si studia anche latino o no.

La scuola italiana, invero, ha due grossi problemi che vanno analizzati e per i quali occorre ragionare e promuovere dibattito, per questo ben vengano le provocazioni di Baroncelli: la segretazione sociale e la didattica imperativa.

Nel primo caso, questa avviene già nel primo ciclo di istruzione (scuola media unica o no), anche se, come ho scritto nel precedente articolo, questa è dovuta all’allocazione delle scuole nei territori, ciascuno dei quali ha caratteristiche sociali varie, ma complessivamente diverse. Nel secondo caso è noto il fatto che la segregazione sociale è dettata dall’indirizzo di studio, cosa che va anche oltre le reali prospettive che ciascuno di questi offre realmente. Vale infatti la pena evidenziare come sono ormai anni che chi analizza il mondo del lavoro ci spiega (e come insegnanti dovremmo prenderne atto e fare opportuni ragionamenti) che c’è un grave mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Il mercato cerca tecnici specializzati e trova umanisti. Spesso, questi umanisti, sono costretti a riconversioni oggi possibili grazie agli Istituti Tecnici Superiori, oggi Accademie. O con un secondo diploma conseguito da privatista.

C’è una evidente differenza tra una scuola superiore finlandese e una italiana. Con una sintesi eccessiva, ma utile al ragionamento, in una “high school” finlandese la diversità sociale è dentro ogni singola scuola e le scuole sono omogenee tra loro. Nel nostro paese le “scuole superiori” sono socialmente omogenee al proprio interno e differenti tra loro. L’introduzione di scelte opzionali certamente potrebbe consentire di tendere ad omogeneità più auspicabili, ma il successo o il fallimento è oggi troppo spesso legato alla didattica.

Sulla didattica occorre passare rapidamente ad una didattica partecipata e laboratoriale diffusa, come ci insegnano le neuroscienze dell’apprendimento, mentre Baronchelli sembra invocare un liceo unico che espelle il mondo reale al mero fine di “fare lezione”. Ed ecco sgorgare spontanei il senso di inadeguatezza, la frustrazione, i disturbi alimentari, fino al bullismo. Ma anche l’enorme spreco di risorse intellettuali e cognitive dei ragazzi costretti a sprecare il proprio tempo entro il quadro di una scuola SSID (spiego, studi, interrogo, dimentichi). Molta letteratura scientifica, infine, sostiene tesi ormai consolidate in merito alla valutazione degli apprendimenti che ancora oggi è barbaramente delegata alla violenza di un voto, mentre la valutazione formativa, perfettamente legittima nella nostra normativa, deve tendere all’incoraggiamento, al consolidamento degli apprendimenti, smettendo di stigmatizzare in continuazione quello che manca (perché mancherà sempre qualche cosa, santo cielo!). Le conseguenze di una scuola che terrorizza in continuazione le fasce deboli della nostra società, molto semplicemente, non funziona.

È tutto più complicato di quel che sembra, temo.

TAG: diseguaglianza sociale, finlandia, scuola, scuola media unica, valutazione formativa
CAT: scuola

Un commento

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  1. Caro Paolo, d’accordo sulla didattica (che va rovesciata) e sul voto (che va come minimo riscritto in lettere), ma ammeterai che il modello dell’High School uguale per tutti (con una declinazione delle materie facoltative all’interno dello stesso corso di studi) è adottato in paesi con il PIL ben diverso dal nostro?
    Il modello europeo, invece, privilegia da sempre la formazione professionale, perchè noi siamo ancora paesi manifatturieri (italiani cinesi d’Europa, ricordi) e la manifattura vuole braccia, non cervelli.
    Peccato che l’ultimo salto tecnologico lo abbiano fatto gli americani, sui cui server stiamo probabilmente scrivendoci e commentandoci a vicenda.
    Lasciamo che i ragazzi, fino a 17/18 anni si preoccupino di diventare degli adulti sicuri di sé, cittadini consapevoli e che poi imparino un mestiere DOPO la fine della scuola superiore.

    D’accordo invece sulla segregazione scolastica che deriva da quella abitativa: qui c’è poco da fare. Anzi, c’è molto da fare, soprattutto dentro la scuola. Una scuola che trattenga al suo interno gli studenti per otto ore al giorno, con la pretesa di educarli, oltre che istruirli, farebbe la differenza.
    Da noi, invece, la scuola promuove, rimanda, boccia. Punto.

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