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Scuola

Noi docenti non ci lasciamo intimidire

di Antonio Vigilante
17 Maggio 2019

A Palermo una docente viene sospesa dall’insegnamento perché in un video i suoi studenti hanno accostato il decreto sicurezza alle leggi razziali.
Ragioniamo un attimo. L’accostamento tra il decreto sicurezza e le leggi razziali è stato fatto in modo plateale dal settimanale l’Espresso, che ha aperto il numero del 30 settembre 2018 con in copertina La difesa della razza e il titolo: “1938-2018. Un decreto che discrimina. Ottant’anni dopo le leggi razziali“. Dal suo profilo Twitter – che è l’ufficio virtuale dal quale svolge per lo più il suo lavoro di ministro (in quello reale s’è fatto vedere pochissimo) – Matteo Salvini ha commentato: “Questi non sono normali!!!”. Non gli è stato possibile andare oltre i tre punti esclamativi: perché l’Italia è un paese democratico, e la libertà della stampa è uno dei fondamenti di una democrazia. Non è una libertà assoluta, ovviamente: esiste un Ordine dei giornalisti che interviene in caso di palesi violazioni. Ma non è stato, non poteva essere questo il caso, perché l’accostamento tra i due dati storici può essere discutibile, ma non è né arbitrario né viola alcuna legge.
Ora, per una democrazia la libertà dell’insegnamento (e dell’apprendimento) è un principio non meno importante della libertà della stampa. Se non sono censurabili i giornalisti per aver paragonato il decreto sicurezza alle leggi razziali, non lo sono nemmeno gli studenti e la loro docente. La libertà di riflessione e di analisi degli studenti, la libertà di insegnamento dei docenti, la libertà di informazione, di critica, di denuncia sociale dei giornalisti sono tre aspetti di una stessa libertà: la libertà democratica. Quella libertà che è stata conquistata con il sangue dei partigiani.
D’altra parte, cosa si contesta di concreto alla docente? Cosa avrebbe dovuto fare? Considerata la gravità della cosa – non è stata ammonita, ma sospesa dal lavoro -, avrebbe dovuto non solo censurare gli studenti, ma prendere contro di loro un provvedimento disciplinare. Per non essere sospesa lei, avrebbe dovuto chiedere la convocazione del consiglio di classe per discutere la sospensione dei suoi studenti. Ma se un consiglio di classe sospendesse degli studenti per una cosa simile, si tratterebbe di una palese, gravissima violazione dei diritti garantiti dalla legge. Lo Statuto delle studentesse e degli studenti ( DPR 24 giugno 1998, n. 249 , modificato dal DPR 21 novembre 2007, n.235) al comma 4 dell’articolo 4 afferma in modo chiarissimo che “In nessun caso può essere sanzionata, né direttamente né indirettamente, la libera espressione di opinioni correttamente manifestata e non lesiva dell’altrui personalità”. E’ la conclusione sul piano disciplinare di quanto affermato al comma 4 dell’articolo 1: “La vita della comunità scolastica si basa sulla libertà di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione, sul rispetto reciproco di tutte le persone che la compongono, quale che sia la loro età e condizione, nel ripudio di ogni barriera ideologica, sociale e culturale”. E’ evidente che il video incriminato è una libera espressione di opinioni. Ed è ugualmente evidente che a qualcuno quella interpretazione può non piacere – così come può non piacere la copertina dell’Espresso -, ma si tratta di una cosa che non lede la personalità di nessuno.
Ogni docente ha l’obbligo professionale di rispettare rigorosamente la libertà di espressione dei suoi studenti. Naturalmente si tratta di una libertà che, come qualsiasi libertà, non è illimitata. Valgono anche per gli studenti le leggi che valgono per tutti. I miei studenti possono esprimere sull’immigrazione le opinioni più diverse. Se lo fanno partendo da dati sbagliati, da docente di sociologia li invito a documentarsi meglio ed a ragionare partendo da dati statistici. Liberi poi di essere pro o contro. Non sono liberi, però, di dire che bisognerebbe mettere i Rom nei forni crematori o che Hitler ha fatto bene a sterminare gli Ebrei. Così come non sono liberi di esaltare il Duce o di fare il saluto romano. E non perché a me non piaccia, ma perché queste affermazioni e questo atteggiamenti costituiscono reato secondo la legge.

In sostanza, dunque, la docente di Palermo è stato punita per non aver fatto una cosa illegale. Per aver rispettato lo Statuto degli studenti.
Mi piacerebbe considerare la questione come una piccola ingiustizia causata dalla fantasiosa interpretazione del suo ruolo di qualche burocrate locale. Ma non credo che sia possibile. E’ invece, con ogni evidenza, il tassello di un puzzle, che insieme ad altri compone un quadro preoccupante. “Buon lavoro al presidente Bolsonaro, l’amicizia tra i nostri popoli e i nostri governi sarà ancora più forte”, ha scritto Salvini dopo l’elezione di Bolsonaro in Brasile, ovviamente dal suo ufficio su Twitter. Tra i principali bersagli della politica del neopresidente brasiliano c’è proprio la scuola, con l’appoggio al movimento Escola sem partido (Scuola senza partito), che si propone di riscrivere i libri di storia e impedire l’espressione di opinioni di sinistra da parte dei docenti. Questo è il secondo pezzo del puzzle. Il terzo è la presenza, nella scuola di Palermo, della Digos. E’ l’aspetto più inquietante di tutta la faccenda. Il fatto che uno studente esprima una opinione che non piace al governo diventa un affare di Stato? Una questione per la quale bisogna che intervenga il reparto di polizia che si occupa dei reati politici o del terrorismo?

No, non è una questione locale. E’ una intimidazione. Un attacco alla libertà di studenti e docenti. Un attacco alla scuola libera e democratica. Ed è un attacco che non può trovare i docenti divisi o distratti. Bisogna esprimere la più assoluta solidarietà alla docente di Palermo, ma bisogna soprattutto dire nel modo più forte e chiaro che no, non ci lasciamo intimidire da nessuno. Perché la nostra libertà è la libertà di tutti

scuola
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