Nati negli anni ’90: la generazione di mezzo senza una bussola

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8 Aprile 2019

Quando ero piccolo io, negli anni ’90, il mondo stava cambiando. Era un’epoca di grandi trasformazioni sociali. La Germania vinceva i mondiali in Italia e poco dopo sarebbe divenuta uno Stato unico, l’Unione Sovietica cadeva pezzo dopo pezzo, Nelson Mandela trasformava il Sud Africa nella prima democrazia del continente. In Italia Falcone e Borsellino morivano in due attentati, scoppiava lo scandalo ‘Mani Pulite’ e Berlusconi dava inizio alla Seconda Repubblica. In Europa arrivava la prima Play Station e il telefonino iniziava a diventare uno strumento di massa. Sarajevo veniva bombardata, mentre prendeva forma l’Unione Europea. Le icone del rap Notorius Big e Tupac morivano ammazzati e intanto nasceva Google. Nei campi di calcio c’era ancora Roberto Baggio e le “sette sorelle” vincevano trofei su trofei. Al cinema usciva “Titanic” e Max Pezzali cantava “Gli anni”. In televisione arrivavano i Simpson e il Festivalbar. E per le strade d’Italia c’era lo scooter a farla da padrone.

Il mondo stava cambiando ma eravamo troppo piccoli per capirlo. A sentire i racconti dei nostri genitori, che avevano vissuto il benessere degli anni ’70 e ’80, ci eravamo davvero convinti che bastasse studiare per stare bene. Che, come loro, saremmo stati meglio dei nostri genitori. In televisione vedevamo i film con Jerry Calà illudendoci che la vita sarebbe stata soldi e successo facile. Una famiglia, la macchina in garage, una casa di proprietà e un posto fisso. Avevamo sperato che i grandi cambiamenti sarebbero stati accompagnati da grandi benefici per tutti. Poi è arrivata la realtà a recidere ogni cosa.

Eppure l’Italia, oggi, appare diversa. Probabilmente non conosceremo mai il benessere e la giustizia sociale. Sicuramente siamo troppo disillusi (e un po’ rincoglioniti) per credere che saremo il nuovo che avanza. Ci hanno rubato i sogni e le opportunità. Ci hanno fatto capire che l’unico mondo possibile è quello peggiore. Ed eccezion fatta (quelle ci sono sempre) per “i figli di”, c’è una larga fetta della nostra generazione (tra i 24 e i 29 anni) che ancora guida l’auto dei genitori, che non ha una busta paga adeguata per accendere un mutuo, che è costretta a svolgere due o più lavori a nero (e peraltro orribili), che stipula polizze perché non avrà una pensione, che vorrebbe un figlio ma non può camparlo, che ai concorsi deve sperare che non ci siano raccomandati.

Forse sarebbe da codardi dare la colpa ai nostri genitori. Ci hanno sostenuti, aiutati, finanziati, oltre ogni aspettativa. E ancora oggi sarebbero disposti a tutto. Eppure, crescere sotto un’ala protettrice così forte, ha fatto di noi dei “mammoni” inconsapevoli. “Disinteressatamente avete lasciato carta bianca a un’oligarchia ruffiana e incompetente disboscando i valori di un’Italia che adesso frana, convinti che il benessere fosse eterno e dovuto, semplicemente scontato. Avete sbagliato, peccato” scrive Fabio Manenti sul Fatto Quotidiano. Come dargli torto.

Volevamo fare “il lavoro che ci piace”, però che fosse retribuito. Volevamo fare esperienza, ma puntualmente cercavano qualcuno che ne avesse già. Volevamo tante cose, e ora siamo la generazione di mezzo: quella a cavallo tra il vecchio e il nuovo mondo, dei nativi digitali, dei pochi ricchi e dei tanti poveri, del lavoro precario, della disoccupazione e della pensione come chimera, del disinteresse verso la politica, dell’odio verso il diverso e della fuga all’estero come unica salvezza.

Siamo ancora i ventenni di oggi. Ma tra poco saremo i trentenni e i quarantenni di domani. Ed è a quel punto che avremo bisogna di orientarci, perché fino ad ora abbiamo giocato ad armi impari. Abbiamo viaggiato senza una bussola.

 

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CAT: società

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