«La crisi economica da Covid-19 è un debole pensiero per chi ce l’ha solo nell’orecchio» [*]
Con l’impennata dei contagi e il ripristino delle misure restrittive con i DPCM del 24 ottobre e del 3 novembre 2020, si è tornati a discutere delle possibili soluzioni per fare in modo che il peso delle conseguenze della pandemia sia ripartito in modo equilibrato tra le persone che lavorano nelle aziende private, che subiscono in pieno l’impatto economico del Covid-19, e quelle che lavorano nel variegato mondo delle attività statali e delle pubbliche amministrazioni, che hanno tutele e sicurezze più che sufficienti per attutire il colpo della pandemia fino a non sentirlo proprio.
Come uscirne?
C’è chi auspica che siano il Governo e il legislatore a farsi carico di questo compito.
Il filosofo Massimo Cacciari, nella puntata di Piazzapulita di giovedì 5 novembre 2020 è andato in questa direzione.
«Voglio dire ai miei colleghi dello stato e del parastato, prima o dopo arriveranno a voi, per forza. E io spero che ci arrivino presto, perché è intollerabile che questa crisi la paghi metà della popolazione italiana. Chiedo al governo cosa intende fare. Governo, vuoi dirmi se farai questi interventi e dove andrai a cercare le risorse?»
L’esortazione di Cacciari è condivisibile nei contenuti (un po’ meno nei toni quasi minacciosi, a dire il vero) e ha il pregio di porre chi lavora alle dipendenze pubbliche di fronte a un evidente privilegio: posto sicuro e stipendio certo a fine mese (a prescindere dal livello).
È probabile che non se ne faccia niente e che il Governo non segua la strada indicata da Cacciari, per elementari ragioni di praticabilità in termini sia sociali (scoppierebbe il finimondo e si bloccherebbe il Paese) sia temporali (insomma, non basterebbe un DPCM).
L’economista Riccardo Puglisi, subito dopo il DPCM del 24 ottobre 2020, ha lanciato l’hashtag #LockdownSolidale, proponendo una via per ripartire in modo più equo i costi di un eventuale secondo lockdown per l’autunno-inverno 2020.
L’approccio di Puglisi è più ampio e distingue chi ha un reddito stabile (dipendenti pubblici, pensionati, chi lavora nelle imprese private che mantengono fatturati e redditività pre-Covid) e chi invece rischia veramente di non farcela se ci sarà un secondo lockdown (lavoratori autonomi, lavoratori precari e dipendenti di aziende private che sono già finiti in cassa integrazione).
La soluzione è appunto il #LockdownSolidale, ovvero un lockdown per cui anche i dipendenti pubblici, nella misura in cui lavorano di meno durante il lockdown stesso, accettino di pagare un contributo di solidarietà per finanziare i costi pubblici della pandemia stessa.
La proposta di Puglisi è condivisibile nei contenuti e ha il pregio di essere segmentata e correlare il contributo alle variazioni della quantità di lavoro svolto per effetto di un eventuale lockdown.
È probabile che non se ne faccia niente, per varie ragioni: la scelta del parametro per misurare le variazioni del lavoro prestato è tutt’altro che semplice (ore di lavoro, risultati ottenuti, altro?); per alcuni comparti, l’adozione di questo principio porta a far schizzare gli stipendi verso l’alto; i tempi per convocare i tavoli e decidere sono incompatibili con l’urgenza del momento.
Qualche mese fa, erano i primi giorni di aprile 2020 e l’Italia si trovava nel pieno del lockdown di primavera, anch’io ho fatto una proposta per distribuire in modo più equilibrato l’impatto conseguente alla pandemia da Covid-19 che ha trovato spazio sul Corriere del Veneto e su queste colonne.
Un prelievo alla fonte, volontario e temporaneo pari al 10% dello stipendio di chi ha un impiego pubblico con la paga e il posto di lavoro garantiti e tutelati dalla mano sicura dello Stato
I contenuti della mia proposta sono sostanzialmente simili a quelle indicate sopra, ma è diversa in termini di processo. In più:
Pur essendo diversa nel processo, la mia proposta e la petizione che ho lanciato (che ad oggi ha avuto 477 adesioni) non hanno generato un movimento di massa: insomma, è stato un fallimento senza se e senza ma.
Ma non ho dubbi che la strada che ho provato a indicare sia quella giusta. In questa direzione, a dire il vero, sono in buona compagnia.
C’è già qualcuno che, da tempi non sospetti (ben prima della pandemia, per intenderci) si sta muovendo con metodo e con un progetto veramente promettente.
Sono i visionari di Civica:
Civica è la prima piattaforma collaborativa distribuita progettata per valorizzare e ricompensare la capacità di cittadini, associazioni, imprese e istituzioni di organizzare e curare il bene comune.
Negli ultimi mesi, insieme ad alcuni amici illuminati (artisti e imprenditori) ho avuto modo di conoscerli e capire come funziona Civica.
L’idea che mi sono fatto è che Civica possa per davvero essere la moneta che si potrà aiutare a rendere i sacrifici più equilibrati.
[*] Mi sono ispirato a Leggenda antica, una canzone di Pierangelo Bertoli, uscita nel 1983 in Frammenti, che in un passaggio dice «Ma credo che la fame sia un debole pensiero per chi l’ha avuta solo nell’orecchio»
Devi fare per commentare, è semplice e veloce.
l’unica moneta seria è la moneta elettronica. ogni scambio è accompagnato dal nome e dal cognome di entrambe la parti del rapporto. Semplifica il rapporto tra la finanza pubblica e la finanza privata e tutti, am proprio tutti i percettori di reddito da lavora saranno saranno tassati alla fonte destino ora slo dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. ci sarà anche qualche risultato a costo zero come la totale pobblicità degli scambi per droga, per transazioni con i caporali e si chiuderanno le attività “compro oro e pago in contanti” . Credete a un vecchio lavoratore nel settore informatico.