Religione

Francesco: Dio è una ricerca continua

22 Aprile 2025

Di questo Papa ho un ricordo vivido, risalente a quando lessi l’intervista che rilasciò a Eugenio Scalfari, appena eletto al soglio pontificio (Repubblica, 1 ottobre 2013).
In quell’occasione disse che avrebbe voluto pensare a una Chiesa ove fosse dominante “il popolo di Dio”.
Utilizzò una parola presente nella filosofia di Platone: agape, che significa amore smisurato, che si dona liberamente, senza pensare a un ritorno.
Ed era quello del Santo di Assisi: caritas.

Questo ricordo è riaffiorato quando ho letto la sua ultima enciclica, Fratelli tutti, sulla fraternità e l’amicizia sociale.
Così è l’incipit: “Fratelli tutti, scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo. Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro «quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui». Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo”.

È stato un grande Papa, senza ieraticità, che ha messo al bando ogni liturgia, che si è immerso nel popolo di Dio, tra umili, forestieri, carcerati.

Ma c’è un altro ricordo che affiora nella mia mente: il libro che racconta del suo incontro con la scrittrice ebraica Edith Bruck: Sono Francesco (La Nave di Teseo).
Si legge tutto d’un fiato, perché è l’invocazione del perdono per i campi di concentramento.
Nasce da un’intervista che la Bruck aveva concesso all’Osservatore Romano, nel quale campeggiava la “lettera a Dio”, ove la scrittrice — che aveva vissuto la Shoah — spiegava l’orrore e l’Olocausto del popolo ebraico.

Francesco aveva letto il libro della Bruck (nel quale la lettera è contenuta), Il pane perduto, che racconta l’abisso di orrore in cui lei era piombata quando fu deportata ad Auschwitz.
Quella lettera ebbe una risposta: Francesco fece visita alla casa di Bruck e le chiese scusa.
Ne è scaturito il libro.

Lui, apparso con tutto il suo biancore e la sua dolcezza — un gigante zucchero filato parlante — mi dice: “Respiri, respiri profondamente […]”.
Dopo aver preso posto su una poltroncina, pronuncia la prima parola: “Perdono.”
La prima frase: “Vorrei dirle quello che ho detto a Yad Vashem, a Gerusalemme. Chiedere perdono a lei e al popolo ebraico, martire, vittima della Shoah […]”.

“Io sto pensando a come abbia fatto un Papa ad approvare la mia Lettera a Dio. Ma cosa approvava? I miei dubbi?”
Papa Francesco si avvicina, come intuendo le mie domande silenziose, quasi a sfiorare il mio viso, e sussurrando dice: “Dio è una ricerca continua.”

La Bruck gli donò un pane fragrante, il Papa una sciarpa, che fece balenare in lei il ricordo del suo papà.
Anche questo era Francesco.

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