Ambiente

Crisi climatica: continua la battaglia tra le Ong ambientaliste ed Eni

31 Luglio 2023

Nel luglio più caldo mai registrato sulla Terra, prosegue la vicenda giudiziaria che vede coinvolte la società Eni e le associazioni ambientaliste Greenpeace Italia e ReCommon. Dopo l’atto di citazione del 9 maggio notificato al gruppo petrolifero dalle Ong, pochi giorni fa Eni ha deciso di rispondere chiamando in causa gli ambientalisti per “diffamazione” e “dichiarazioni insostenibili”. Secondo le associazioni, il colosso dell’oil&gas sarebbe da tempo responsabile di gravi violazioni degli Accordi di Parigi, mascherate da continue campagne di greenwashing

Che il mondo stia affrontando una grave emergenza ambientale non è una novità. E non è una novità, purtroppo, che nonostante i (pochi) sforzi finora compiuti per contrastare la crisi climatica la situazione, che non ha mai accennato a migliorare, stia ormai precipitando. “L’era del riscaldamento globale è finita, è iniziata quella dell’ebollizione globale”, ha dichiarato António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, commentando i dati forniti dall’Organizzazione metereologica mondiale, che ha mostrato come il luglio 2023 sia stato il mese più caldo mai registrato sulla Terra. Del resto, i disastri ambientali di questi giorni sono sotto gli occhi di tutti: gli incendi in sud Italia, i nubifragi al nord (si stima che a Milano servirà un mese per tornare alla normalità dopo la tempesta del 25 luglio), la pioggia torrenziale che continua a cadere nelle zone devastate da quella già caduta.

“Siamo in ritardo, e per superare la crisi climatica bisogna agire rapidamente”, ha dichiarato il presidente Mattarella nel comunicato congiunto con la presidente greca, Katerina Sakellaropoulou, e le “tante discussioni sulla fondatezza dei rischi” legati al cambiamento climatico “appaiono sorprendenti”.

E’ in questo clima che prosegue l’infuocata vicenda, giudiziaria e non solo, che dal 2020 vede protagonisti, da un lato, il Gruppo Eni, colosso dell’oil&gas partecipato con una quota decisiva dal Ministero dell’Economia e, dall’altro, le associazioni ambientaliste Greenpeace Italia e ReCommon. Il 26 luglio scorso, infatti, il gruppo petrolifero ha deciso di citare in giudizio le due Ong, ritenute dalla società responsabili di dichiarazioni insostenibili e “diffamazione”. In questo modo, Eni ha voluto rispondere alle pesanti accuse di crimini ambientali e greenwashing lanciate dalle associazioni con la campagna “Giusta Causa” che, il 9 maggio scorso, aveva portato Greenpeace e ReCommon a notificare ad Eni un atto di citazione davanti al tribunale di Roma, aprendo così una causa civile “per i danni subiti e futuri derivati dai cambiamenti climatici, a cui Eni ha contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, continuando ad investire in combustibili fossili”. Secondo Greenpeace e ReCommon, infatti, la gestione di Eni sarebbe da tempo in aperta violazione degli Accordi di Parigi (ratificati dall’Italia) che impegnano gli Stati a ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030. Inoltre, le associazioni accusano il gruppo petrolifero di continuare ad investire nell’espansione del suo business fossile “a danno del clima e delle comunità locali di tutto il mondo”, continuando a nascondere il suo vero business dietro una serie di ingannevoli iniziative “verdi”. Trattandosi del primo caso di climate litigation in Italia, la vicenda ha avuto forte impatto mediatico, anche a livello internazionale. Ed é proprio per evitare questa risonanza che, secondo le associazioni, il gruppo Eni avrebbe deciso di agire contro  Greenpeace e ReCommon: “Proprio nei giorni in cui migliaia di persone vivono sulla propria pelle gli effetti disastrosi della crisi climatica, con un tempismo davvero sconcertante Eni pensa di zittirci minacciando una causa di risarcimento danni per diffamazione”, ha dichiarato Chiara Campione, responsabile dell’Unità Clima di Greenpeace Italia. Stando a quanto si legge nell’atto notificato a Greenpeace Italia e ReCommon, ribadiscono le Ong, il colosso dell’oil&gas sarebbe infatti pronto a chiedere fino a 50 mila euro a ciascuna associazione, per aver messo sotto accusa la strategia climatica del Cane a sei zampe. Dal canto suo, Eni ha dichiarato di “non avere affatto avviato una causa di diffamazione”, ma di aver proposto solo un’istanza di mediazione. Tuttavia, la società ha precisato di voler comunque lamentare “i profili diffamatori dell’accusa formulata a danno dell’azienda”, definendo l’atteggiamento delle associazioni ambientaliste “assolutamente intollerabile”.

La vicenda, che dovrebbe vedere i prossimi sviluppi nella prima udienza che si terrà intorno al 30 novembre, è solo l’ultima battaglia di una guerra che, da anni, si combatte tra le associazioni ambientaliste e la principale società energetica del nostro paese.

Risale al 2020 la prima “maxi multa” per greenwashing emessa dall’Autorità garante per la concorrenza e del mercato a seguito di un esposto presentato da Legambiente e altre associazioni nei confronti del gruppo Eni, accusato di aver ingannato i consumatori con il “Green Diesel” che, stando al provvedimento delle autorità, in realtà di verde aveva poco. Poi, il caso Sanremo: è dal 2022 che le Ong ambientaliste accusano la società, che in quanto sponsor approfitterebbe della kermesse per fare pubblicità alla “svolta green” di Plenitude (nuova partecipata Eni a basse emissioni), di continuare in realtà a concentrarsi principalmente su fonti energetiche non rinnovabili, così come riportato nell’ “Assessment of ENI’s Climate Strategy” pubblicato da Reclaim Finance nel 2023 (per ogni euro speso per Plenitude, ce ne sarebbero 15 spesi in combustibili fossili). E poi ancora, la stagione dei concerti: si è concluso da poco il Primavera Sound Festival 2023 di Barcellona, uno dei festival musicali più popolari e d’avanguardia d’Europa, per il quale Eni Plenitude ha realizzato una serie di palchi alimentati dall’energia prodotta da pannelli fotovoltaici, a raccontare il “percorso di decarbonizzazione intrapreso dalla società e dal festival”. Percorso che, però, secondo Greenpeace e ReCommon, Eni avrebbe intrapreso soltanto a parole. Stando ai dati riportati dalle associazioni, infatti, nonostante l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi abbia ribadito l’intento di  “continuare a investire per assicurare la stabilità e regolarità delle forniture per soddisfare il fabbisogno energetico e per decarbonizzare le nostre attività e l’offerta ai clienti”, la strategia Eni risulterebbe, in realtà, ancora fortemente sbilanciata sul business fossile. Questo alla luce del fatto che, come si legge nel documento di 38 pagine pubblicato proprio da Eni lo scorso febbraio, nel 2022 il 79% degli investimenti tecnici (oltre 6,3 miliardi) dell’azienda hanno riguardato, esclusivamente, il comparto “Exploration & Production”, dedicato all’esplorazione e allo sviluppo di giacimenti petroliferi e che, al contrario, solo 481 milioni di euro sono stati effettivamente spesi per “lo sviluppo del business delle rinnovabili, acquisizione di nuovi clienti e attività di sviluppo di infrastrutture di rete per veicoli elettrici”. Allo stesso modo, le due organizzazioni sostengono che, nonostante i numerosi annunci a proposito di “svolte green”, Eni per i prossimi anni continuerà, di fatto, ad avere al centro del proprio business combustibili fossili e petrolio. Secondo quanto contenuto nell’analisi della strategia di decarbonizzazione di Eni al 2050  elaborata dalle due Ong insieme a Reclaim Finance, infatti, la società petrolifera continuerà, nel breve termine, ad aumentare la propria produzione di petrolio e gas fino a consumare entro 2030 il 71% del budget di carbonio stabilito dall’Agenzia Internazionale dell’Energia per limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5° Celsius. Per questo, a fronte delle accuse presentate da Eni il 26 luglio, le associazioni ambientaliste hanno ribadito la loro volontà di non fermarsi, ma, al contrario, di voler continuare la propria battaglia contro la strategia di business del colosso petrolifero “per dare un reale contributo alla transizione energetica di cui il nostro Paese e l’intero pianeta hanno urgente bisogno”.

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