Ambiente
“Ho smesso di salvare il mondo. Ora faccio cappuccini”
Un monologo ironico e disperato dell’Ambiente, ex star dei convegni, oggi barista dimenticato. Per chi ha ancora il coraggio di ascoltare.
Mi chiamo Ambiente. Fino a qualche anno fa, ero ovunque. Figo, cool, invitato a tutti i tavoli: istituzioni, eventi, talk show, campagne pubblicitarie. Ero il passe-partout perfetto. Bastava pronunciare il mio nome e si aprivano i finanziamenti, le tesi di laurea, le tavole rotonde con catering biologico. Poi non so cos’è successo. Forse ho parlato troppo. Forse ho chiesto troppo. O magari è solo che, a forza di essere ovunque, ho iniziato a non essere più da nessuna parte. Oggi mi guardano un po’ di traverso. Come quelli che hanno avuto successo troppo in fretta. Mi trattano come un nome di nicchia. Una parola d’altri tempi. Una di quelle cose che fanno sentire in colpa se le pronunci, ma ipocrita se le pratichi.
La verità? Faccio il barista. Sì, lavoro in un bar. Perché parlare di me non basta. E intanto devo pur campare. Mi avevano promesso una carriera da protagonista. Mi avevano detto che ero la priorità. La vera emergenza. Il futuro dei figli. Poi ho scoperto che ero uno slogan. Una campagna. Un hashtag da firmare e dimenticare. Le grandi aziende hanno scritto il mio nome sui muri. I partiti l’hanno stampato sulle magliette. I giornalisti ci hanno fatto titoli, e le agenzie seminari da 450 euro. Nessuno, però, è venuto a chiedermi come stavo.
Non ho mai preteso molto. Solo che non si distruggessero le sorgenti. Che si ascoltassero i boschi. Che le parole “natura” e “crescita” non fossero messe nella stessa frase senza prima litigare un po’. Che quando si diceva “transizione ecologica”, si sapesse a cosa si rinunciava davvero. Invece è tutto fluido, tutto digitale, tutto neutro. Persino il mio dolore è diventato carbon neutral. E così, alla fine, mi sono messo a fare cappuccini. Uso cialde compostabili, eh. Sennò qualcuno mi scrive una recensione negativa.
Mi chiamo Ambiente. Ma potrei chiamarmi anche Cura, oppure Onestà. Parole che fanno curriculum, ma che nessuno porta a cena. Parole che esistono solo finché non disturbano. Ecco, se vi capita, passate dal mio bar. Non troverete un manifesto. Né un cartello con su scritto “Qui si salva il mondo”. Solo un caffè vero, due parole sincere. E la speranza, forse ingenua, che qualcuno un giorno si ricordi di me non per come suono, ma per ciò che respiro.
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