Ambiente
La corsa allo spazio: come si uccide il Pianeta
Eloise Marais è professore associato di geografia fisica allo University College di Londra. Nello scorso luglio scrisse un interessante articolo su The Conversation, un completo magazine curato dalle università del Regno Unito che si occupa di attualità coniugando ricerca accademica e giornalismo, nel quale pose l’accento su quanto dannosa sia la frontiera dello spazio per l’ambiente.
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Il pezzo è stato rilanciato in questi giorni, su Twitter, da Paul Dawson, giornalista del Guardian in prima linea nella lotta per il clima, per riportare enfasi su un argomento del quale, in effetti, si parlava moltissimo in estate e un pò meno nelle ultime settimane: la conquista dello spazio da parte dei miliardari.
Una nuova idea di vacanza
Nello scorso luglio ci sembrava di essere tornati alla fine degli anni ’60. La corsa allo spazio era tornata attualissima in seguito alle schermaglie tra Jeff Bezos, di Amazon, e Sir Richard Branson, di Virgin Group, i quali volevano assolutamente essere i primi Paperoni a farsi un volo nello spazio, fuori dall’atmosfera terrestre. Domenica 11 luglio Branson, a bordo della sua navicella Virgin Galactic VSS Unity, pilotata da remoto, ha raggiunto i confini dello spazio aperto dopo aver volato per 80 km in verticale. Alcuni giorni dopo, il 20 luglio scorso, il razzo autonomo Blue Origin di Jeff Bezos ha fatto lo stesso, issandosi però a un’altezza di circa 120 km.
L’ex ceo di Amazon è arrivato per secondo ma ha volato più in alto, nell’anniversario dell’allunaggio dell’Apollo 11. Di fatto, Bezos ha raggiunto lo spazio aperto, dimostrando di essere in grado di poter offrire una simile possibilità anche a – facoltosi – turisti. Tanto la proposta di Branson, quanto quella del suo concorrente sono piuttosto simili tra loro: i pacchetti prevedono la possibilità di volteggiare in ambienti privi di gravità e poter guardare – e fotografare – la Terra da lontano.
La corsa a due diverrà presto a tre, quando anche Elon Musk, ceo di Tesla e SpaceX, entrerà nel gruppo. La capsula Crew Dragon, la quale sarà lanciata entro fine anno, stando alle ultime notizie, offrirà la possibilità di viaggiare in orbita per un periodo di tempo variabile tra i 4 e i 5 giorni, aumentando dunque la durata dell’esperienza… fuori dal mondo.
Quanto inquinano i razzi
All’infuori delle considerazioni di opportunità ed etica legate a questi tour, che concediamo al lettore, è importante concentrarsi sull’aspetto ambientale di queste avventure. Le conseguenze dell’industria dello spazio sul clima terrestre, infatti, potrebbero rivelarsi tremende.
Bezos si è vantato del fatto che la sua Blue Origin sia molto più pulita della VSS Unity. Il motore utilizzato dal patron di Amazon, denominato Blue Engine 3 o BE-3, ha lanciato Jeff e Mark Bezos nello spazio assieme a due ospiti utilizzando propulsori a base di idrogeno e ossigeno liquidi. La navicella Unity della Virgin ha invece sfruttato un propulsore ibrido a base di carburante a base di carbone, polibutiadene con radicali ossidrilici terminali e un ossidante liquido a base nitrosa. I razzi SpaceX Falcon, che dovrebbero essere riutilizzabili, lanceranno in orbita la Crew Dragon sfruttando kerosene liquido e ossigeno liquido.
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La combustione di questi propulsori consente ai razzi di mettere in funzione l’energia necessaria alle navicelle per uscire dall’orbita terrestre. Nel farlo però, inevitabilmente, genera gas serra e inquina l’aria. Il BE-3 libera vapori mentre la combustione dei razzi delle altre due navicelle emette CO2 e nuovamente vapori acquei. L’azoto utilizzato nella Unity, inoltre, genera ossido, inquinante una volta che precipitando dagli strati più alti dell’atmosfera si riavvicina alla Terra.
Si stima che due terzi delle emissioni di questi moduli di vacanza per super-ricchi vengano rilasciate finché il mezzo si trova nella stratosfera, tra i 12 e i 50 km di distanza dalla Terra, o al massimo nella mesosfera, il livello immediatamente successivo, tra i 50 e gli 85 km di altezza. In questi strati le emissioni possono resistere e circolare, trasportate dall’aria, per un periodo minimo di 2 o 3 anni. Durante le fasi di allontanamento dalla superficie terrestre e di rientro nell’atmosfera – perché naturalmente le navicelle devono anche tornare indietro, al termine della spedizione – si generano temperature altissime e l’ossigeno stabilizzato a quelle altezze, nell’aria, si converte, per una reazione chimica, in ossido di azoto reattivo. Ciò si deve alla combustione degli scudi di calore protettivi delle navicelle, indispensabili perché il processo di rientro vada a buon fine.
Cambiamento climatico e turismo spaziale
Questi viaggi tra le stelle sono attori protagonisti nel cambiamento climatico. Anidride carbonica e fuliggine espulse dai propulsori intrappolano il calore nell’atmosfera, riscaldandola. I vapori acquei rilasciati dai motori ibridi o a idrogeno formano nuvole di provenienza non naturale riflettendo la luce del sole verso lo spazio e schermandone l’arrivo sul nostro Pianeta, togliendoci luce. Lo strato di ozono, già forato da tempo, è incapace di assorbire la luce solare come dovrebbe, inficiando il riscaldamento della Terra. In sostanza, un singolo viaggio spaziale come quelli di luglio è una potenziale mina vagante per il pianeta, immaginiamo cosa possa significare un’industria dello spazio.
Naturalmente nessuno è ancora in grado di fornire un modello attendibile di quanto nociva sarà questa attività nei prossimi anni, in quanto si parla di un’operazione che è all’inizio della sua storia e potrebbe evolversi in maniera inaspettata rispetto alle tecnologie e le abitudini odierne. I processi atmosferici non sono totalmente replicabili in laboratorio. Quel che però possiamo fare, per stimare in qualche maniera il potenziale dannoso di una simile industria, è comprendere in quale maniera essa si svilupperà nel prossimo futuro.
La Virgin Galactic vuole offrire 400 viaggi spaziali all’anno – oltre uno al giorno – a una clientela selezionata e, naturalmente, molto facoltosa. SpaceX e Blue Origin devono ancora svelare i loro piani ma è chiaro che, qualora si voglia rendere fruttuosa questa industria, non si potranno certo centellinare i tour o ci si ritroverebbe di fronte soltanto a un’enorme spesa. Qualunque finirà per essere il numero di razzi sparati nell’atmosfera ogni anno, dobbiamo tenere a mente che già una cifra intorno ai 100 potrebbe produrre effetti nocivi per il Pianeta a medio e lungo termine. Se consideriamo quanto inquinamento venga già prodotto dall’industria aerea, tra le principali produttrici di CO2 e clorofluorocarbonati dannosi per l’ozono (CFC), possiamo facilmente immaginare che cosa significherebbe affiancare a essa un altro carrozzone ancora più sporco.
Soltanto durante la fase di lancio un razzo è in grado di emettere il 1000% di ossido di azoto prodotto dalle maggiori centrali elettriche attive nel mondo. La comunità scientifica avrà bisogno di dati e rilevazioni più accurate per calcolare l’impatto di questi astronauti miliardari sul clima del nostro pianeta, intanto però la sola stima che quattro turisti su una navicella spaziale inquinino tra le 50 e le 100 volte di più di quanto facciano 4 passeggeri su un volo a lunga percorrenza è piuttosto significativo.
https://twitter.com/N_Tomassetti/status/1440636018546204672?s=20
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