Ambiente

Termovalorizzatori e truffe semantiche

I termovalorizzatori sono inceneritori con recupero energetico. Una diffusa narrazione li individua come “ecologici” mentre i rischi ambientali a lungo termine derivanti dal loro uso sono enormi. A Santa Palomba lo sanno bene.

1 Luglio 2025

È il 2021: lo staff elettorale di Roberto Gualtieri, candidato a Sindaco di Roma, porta avanti un programma in tema rifiuti molto ambizioso: i punti prevedono l’aumento della raccolta differenziata sopra al 50% entro due anni fino al 70% a fine consiliatura, la riduzione della TARI, tre impianti di tritovagliatura, due di compostaggio, ulteriori impianti di selezione e valorizzazione, una bioraffineria, l’adeguamento del separatore plastica e metalli a moderne tecnologie. Il potenziamento dei centri di raccolta, un TMB a Maccarese, nuove discariche di servizio, stazioni di trasferenza, centri per la riparazione e il riuso, un piano di prevenzione dei rifiuti per promuovere comportamenti virtuosi.

Spingere sul tema rifiuti per la nuova Giunta che dovrà insediarsi è un obbligo: Roma è da anni intrappolata in un ciclo di emergenza continua, caratterizzato dalla dipendenza da impianti esterni, una flotta inadeguata, una bassa differenziata e una gestione in affanno, che porta a frequenti scene di degrado urbano a causa dei rifiuti non raccolti. Non si parla d’altro: nelle strade imperversano cumuli di immondizia. C’è una carenza cronica di impianti di trattamento e smaltimento: Malagrotta chiude nel 2013 lasciando praticamente orfane 1,7 milioni di tonnellate di immondizia prodotte annualmente, Roma è costretta ad inviare gran parte dei rifiuti in altre regioni o addirittura all’estero, tra polemiche, costi lunari e impatto ambientale incalcolabile[1].

Nel 20 aprile 2022 – appena sei mesi dopo il suo insediamento -, nell’Assemblea Capitolina straordinaria sui rifiuti il Neosindaco Gualtieri annuncia formalmente la decisione di realizzare un termovalorizzatore, tra lo sbigottimento e le polemiche di molti elettori, delle opposizioni ma anche di parte della sua stessa maggioranza, in special modo dei Verdi e Sinistra Civica Ecologista. Nel programma non ve n’era traccia e quest’annuncio viene vissuto come un odioso sgambetto.

In quell’occasione, Gualtieri spiega che, dopo un’attenta valutazione delle tecnologie disponibili, la realizzazione di un nuovo impianto per la valorizzazione energetica dei rifiuti (ovvero un termovalorizzatore da 600.000 tonnellate annue) è l’unica soluzione per risolvere l’emergenza rifiuti cronica della Capitale, per chiudere il TMB di Rocca Cencia e per ridurre drasticamente la dipendenza dalle discariche.

Successivamente, nel 1° dicembre 2022, lo stesso Sindaco, in qualità di Commissario Straordinario di Governo per il Giubileo 2025, firma le ordinanze per l’approvazione definitiva del Piano Rifiuti della Capitale, stabilendo l’apertura della manifestazione d’interesse per la realizzazione del termovalorizzatore, individuando anche l’area di Santa Palomba come luogo prescelto.

La sorpresa che il Sindaco riserva in quell’occasione ai cittadini romani solleva un vespaio di proteste e dibattiti. Termovalorizzazione ed incenerimento diventano così temi ricorrenti tra i cittadini, ma mai come in questo caso verranno sdoganate tante sciocchezze.

Sì, perché, se il diavolo si annida nei dettagli, l’argomento rifiuti è di una complessità enorme e, quindi, caratterizzato da un mare di dettagli dove il diavolo trova comodamente casa.

Un Oceano di disinformazione

Passaggio delle consegne tra il Sindaco uscente Virginia Raggi e il Neosindaco Roberto Gualtieri

Uno dei primi orrori proferiti dalla campagna di disinformazione è tutto di natura semantica: martella sempre più il mantra “un termovalorizzatore non è un inceneritore, ma uno strumento moderno che non inquina”.

Durante una Festa dell’Unità del 2022 a cui ho assistito personalmente, mi capitò di ascoltare esattamente questa tesi da qualcuno che, su quel palco, si spacciava per esperto. Nella mia testa fu chiaro: era appena partita la propaganda “Termovalorizzatore è bello”.

Questa cosa mi riportò ai tempi del berlusconismo quando, operando vere e proprie truffe semantiche, si era soliti cambiare il nome delle cose per farle apparire diverse, come il “prelievo fiscale” che divenne “mettere le mani nelle tasche degli italiani”, o il programma elettorale che si trasformò magicamente in un “contratto con gli italiani”. Le manipolazioni linguistiche sono efficacissime nella propaganda, distorcono la percezione pubblica. Lo stesso Orwell, nei suoi saggi sulla lingua e la politica, denuncia come l’uso corrotto della lingua annebbia il pensiero critico. Chiamare un inceneritore “termovalorizzatore” è un classico esempio di eufemismo ideologico: una parola più “pulita”, neutra o positiva per coprire un concetto impopolare.

E allora occorre chiarire come stanno in realtà le cose.

Inceneritore o termovalorizzatore?

Schema di un impianto di termovalorizzazione[2]
Cos’è un inceneritore? È impianto che brucia rifiuti per ridurne il volume e la pericolosità. E un termovalorizzatore? È un inceneritore che recupera energia (calore ed elettricità) dal processo di combustione. In pratica, tutti i termovalorizzatori sono inceneritori, ma non tutti gli inceneritori sono termovalorizzatori, perché alcuni (più vecchi) non recuperano energia. Alla luce di questo, chiedersi se un termovalorizzatore inquini meno di un inceneritore non ha alcun senso.

Sia inceneritori che termovalorizzatori emettono ossidi di azoto (NOx), diossine, furani, particolato ultrafine (PM1, PM2.5), metalli pesanti (mercurio, piombo, cadmio) e CO₂. Ovviamente, per limitare il più possibile tali emissioni, vengono equipaggiati con specifici filtri e sono soggetti a controlli normati a livello UE (Direttiva 2010/75/UE, cosiddetta IED).

I moderni termovalorizzatori hanno filtri avanzati (cicloni, scrubber, filtri a maniche, torri di lavaggio acido/base, catalizzatori DeNOx), che ridimensionano le emissioni rispetto agli inceneritori vecchio stile. Ma non le annullano. L’esistenza di termovalorizzatori modernissimi che non emettono sostanze inquinanti (eh, li hanno anche in Svezia!) è solo una grande bugia.

Il recupero energetico non rende la combustione “green”: bruciare plastica (che è petrolio solido) o rifiuti organici produce CO₂, spesso più di una centrale a gas. Anche se si recupera energia, il bilancio climatico resta negativo.

C’è poi una questione, la più insidiosa: le nanoparticelle (inferiori a PM2.5) passano anche i migliori filtri e possono entrare nel circolo sanguigno umano. Non esistono soglie “sicure” universalmente riconosciute per queste particelle.

Le stesse diossine possono essere emesse in quantità piccolissime ma altamente tossiche (si misurano in nanogrammi). C’è poi un aspetto che quasi mai viene considerato quando si parla di emissioni di diossine: l’accumulo. E questo merita un capitolo a sé.

Le diossine e il loro accumulo, un pericolo ampiamente sottovalutato

La cartina che mostra l’ampiezza dell’area inquinata da diossine a Losanna[3]
Le diossine (soprattutto la TCDD, la più tossica) sono un gruppo di composti organici clorurati che si formano principalmente durante la combustione di materiali contenenti cloro, soprattutto a temperature instabili o durante i picchi termici. Non vengono prodotte intenzionalmente, ma sono sottoprodotti tossici di vari processi industriali (come incenerimento, produzione di pesticidi, metalli, carta sbiancata).

Le diossine vengono emesse nell’atmosfera in forma di particolato o gas e si depositano su terreni agricoli o incolti, su foglie e colture (che poi finiscono nel foraggio o nella dieta umana) o in corpi idrici vicini (fiumi, falde, laghi). Le diossine hanno una particolarità, quella di essere estremamente stabili e ad avere quindi un’emivita importante. L’emivita è il tempo necessario affinché la sua concentrazione nel corpo o nell’ambiente si riduca della metà. In altre parole, è il tempo che impiega l’organismo a eliminare il 50% della quantità di diossine assunta. Questa sul suolo va dai 25 ai 100 anni, mentre nel corpo umano va da circa 7 a 11 anni. Le diossine sono poi idrorepellenti, ma si legano alla materia organica del suolo. Non degradano facilmente, né per ossidazione né per idrolisi. Possono penetrare nelle falde acquifere, o entrare nella catena alimentare facilmente attraverso le piante, il foraggio, gli stessi animali da pascolo e la pesca. Inoltre, le diossine sono “lipofile”, ovvero si accumulano nei grassi concentrandosi via via nella catena alimentare, un processo chiamato biomagnificazione.

Le diossine sono altamente nocive: anche in dosi infinitesimali possono provocare gravi alterazioni ormonali (fertilità ridotta), tumori (epatici e linfatici), malformazioni fetali e disturbi neurologici, immunitari e metabolici, soprattutto nei bambini, categoria altamente ricettiva e vulnerabile[4].

La loro particolarità fisico/chimica, soprattutto la loro lunghissima emivita, le rende particolarmente rischiose nella loro deposizione al suolo e nel bioaccumulo, più che nell’aria. Rappresentano quindi una minaccia a lungo termine per le falde acquifere, i terreni agricoli e l’intera catena alimentare. Anche emissioni regolamentate entro i limiti di legge alla lunga producono contaminazioni locali, la cui pericolosità è direttamente proporzionale all’esposizione che ne provoca l’accumulo.

Ci sono enti, come l’Arpa Umbria, che conducono regolari campagne per la misurazione delle diossine che si depositano sul suolo e sulla vegetazione. Il problema è che, paradossalmente, non esistono soglie normative specifiche per le deposizioni[5].

Zero Waste Europe, tramite ToxicoWatch, ha analizzato muschi, aghi di pino e uova di galline da cortile attorno a termovalorizzatori in Spagna (Madrid), Repubblica Ceca e Lituania. In tutti e tre i siti sono stati riscontrati superamenti dei limiti UE per diossine nei muschi e nei terreni. Le uova risultavano contaminate oltre i limiti stabiliti[6]. In particolare, attorno all’inceneritore di Ivry Paris (Francia), i muschi e i terreni di diverse aree attorno alla struttura (inclusa una scuola a 780 m) manifestavano livelli pericolosamente elevati di diossine[7].

Questa la sintesi di Janek Vähk, coordinatore del programma per il clima, l’energia e l’inquinamento atmosferico di ZWE: “Gli impianti di combustione dei rifiuti emettono sostanze tossiche che persistono nell’ambiente, si bioaccumulano negli ecosistemi e hanno effetti negativi significativi sulla salute umana e sui mezzi di sussistenza”[8]

Sostenere quindi che i termovalorizzatori non inquinino o siano “ecologici”, cosa che si sente ripetere troppo spesso, è una semplificazione fuorviante, spesso usata per dare una vernice tecnologica a un sistema fondato sulla combustione. È vero che sono più efficienti e meglio filtrati degli inceneritori tradizionali, ma non per questo possono essere considerati “ecologici” e innocui.

Per una gestione davvero sostenibile, il recupero di materia (riciclo) e la riduzione a monte dei rifiuti restano i processi di gran lunga più virtuosi della combustione.

Una visione illuminata dovrebbe perseguire il ciclo virtuoso dei rifiuti urbani, ciclo ben consolidato e conosciuto, tra l’altro stabilito dalla Direttiva 2008/98/CE (e recepita in Italia dal D.Lgs. 152/2006) che individua le corrette gerarchie utili per classificare le strategie di gestione in base alla loro sostenibilità ambientale e sociale. La Comunità Europea ha stabilito che gli inceneritori (o termovalorizzatori) sono esclusi dalla Tassonomia dell’UE per le attività economiche sostenibili e c’è il rischio concreto che tali impianti possano essere inseriti nel sistema EU ETS, il mercato delle emissioni: se ciò dovesse accadere, l’impianto potrebbe costare alla collettività circa 40 milioni l’anno per trent’anni.

Un ciclo virtuoso parte dalla prevenzione: limitare la produzione del rifiuto, limitare gli imballaggi, l’usa e getta, lo spreco alimentare e promuovere design ecocompatibili e filiere del riuso; il riciclo (trasformazione in materie prime, raccolta differenziata, compostaggio), il recupero energetico (biogas, metalli, ceneri), fino allo smaltimento.

Santa Palomba, territorio di scontro

Veduta virtuale del progetto del Termovalorizzatore di Roma, sito in Santa Palomba, a circa 25 Km dalla città[9]
La realizzazione del termovalorizzatore di Santa Palomba si trova in una fase di avanzata preparazione per l’avvio dei cantieri. Il progetto è stato aggiudicato in via definitiva a fine aprile/inizio maggio 2025 al raggruppamento di imprese guidato da Acea Ambiente con Suez Italy, Kanadevia Inova, Vianini Lavori e Rmb. Questo è il passaggio cruciale che ne ha sbloccato l’iter. Inoltre, è stato firmato il contratto di concessione tra Roma Capitale e RenewRome, la società che gestirà l’impianto per i prossimi trentatrè anni[10].

Si preannuncia imminente anche la fase del Procedimento Autorizzatorio Unico Regionale (PAUR), un iter complesso che coinvolge tutti gli enti competenti e che sarà gestito dalla struttura commissariale. Questo procedimento include la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). La conclusione di questa fase è prevista in questi giorni.

Quindi, l’avvio dei cantieri è prossimo: l’obiettivo dichiarato e confermato è entro l’estate del 2025 e si prevede che il termovalorizzatore sarà operativo e in grado di ricevere i primi rifiuti entro l’estate del 2027. L’impianto sarà composto da due linee, ciascuna con una capacità di trattamento pari a 300.000 tonnellate all’anno di rifiuto indifferenziato, quindi brucerà ben 600.000 tonnellate di rifiuti l’anno.

È legittimo a questo punto chiedersi: che trasformazione subirà nel tempo il territorio limitrofo, un territorio tra l’altro caratterizzato da vaste aree agricole, zone archeologiche, parchi e riserve naturali? La domanda se la pongono in molti, soprattutto i comitati di quartiere sorti spontanei tra Santa Palomba, Pomezia e i vicini Comuni che non smettono un solo minuto nel cercare di contrastare la realizzazione dell’impianto. Tra le loro azioni c’è stato anche il ricorso al Consiglio di Stato  ma che ha avuto esito negativo. Il 18 marzo 2025, il portavoce del comitato “No Inceneritori”, Alessandro Lepidini, è stato ascoltato dalla Commissione Petizioni del Parlamento Europeo. Ex assessore all’Ambiente del Municipio IX, si è dimesso nel 2022 proprio in opposizione al progetto e la sua petizione n° 1263/2024 è stata sottoscritta da oltre 13.000 cittadini, tra cui anche gli eurodeputati Ignazio Marino (Europa Verde) e Dario Tamburrano (Movimento 5 Stelle). La grana per la Giunta romana è, se possibile, ancora più estesa, visto le eccellenti spaccature che la realizzazione dell’impianto sta creando all’interno dello stesso PD[11].

Ciò che appare evidente, a chi vuol vedere, è che il termovalorizzatore è una scelta comoda, utile per risolvere l’accumulo endemico frutto dell’atavica cattiva gestione: digerisce tutto e rapidamente, compresi i comportamenti virtuosi. È semplice da gestire ed è in grado di far scomparire egregiamente filiere inceppate da decenni, contratti irrisolti, inefficienze logistiche incancrenite. È poi in grado di far scomparire anche l’esigenza di impianti di compostaggio e di riciclo efficienti. Anzi, è utile proprio laddove il riciclo trova maggiori difficoltà. In sintesi: non soltanto è in grado di cancellare il tema dell’emergenza rifiuti, ma anche di evitare di parlarne in futuro. Rappresenta quindi un meraviglioso, ghiotto, ambìto colpo di vernice elettorale.

Ma un termovalorizzatore non è affatto una soluzione ecosostenibile. È paragonabile a nascondere la polvere (tossica) spazzata sotto al tappeto, soprattutto per il loro potenziale inquinante (diossine, metalli pesanti, polveri ultrafini, ceneri tossiche). E c’è dell’altro: l’impianto deve funzionare sempre a pieno regime, richiede un afflusso costante di rifiuti finendo per digerire anche ciò che potrebbe rientrare in filiere più virtuose, distruggendo materiali riciclabili.

In sintesi, con la scusa dell’emergenza, il termovalorizzatore finisce per divenire un formidabile freno per la realizzazione del ciclo virtuoso dei rifiuti. Il rischio concreto è che, una volta realizzato, ci si dimentichi della giusta direzione. E saranno come al solito i cittadini e, in questo caso anche se non soprattutto l’ambiente, a pagarne il prezzo più amaro. La sorveglianza, per quel che vale, dovrà rimanere alta.

 

 

[1] https://www.agi.it/cronaca/news/2021-11-14/rifiuti-roma-emergenza-ragioni-crisi-14547513/

[2] https://www.fabbricaambiente.com/termovalorizzatori/

[3] https://it.euronews.com/green/2021/10/17/incubo-diossina-a-losanna-la-maggior-parte-del-terreno-e-inquinata?utm_source=chatgpt.com

[4] https://www.efsa.europa.eu/it/press/news/dioxins-and-related-pcbs-tolerable-intake-level-updated?utm_source=chatgpt.com

[5] https://www.arpa.umbria.it/monitoraggi/aria/diossinedeposizioni.aspx?utm_source=chatgpt.com

[6] https://www.ecodallecitta.it/biomonitoraggio-zwe-alto-livello-di-diossine-intorno-a-3-inceneritori-europei/?utm_source=chatgpt.com#google_vignette

[7] https://economiacircolare.com/zwe-biomonitoraggi-ambienti-contaminati-inceneritori-spagna-francia-paesi-bassi/?utm_source=chatgpt.com

[8] https://www.ecodallecitta.it/biomonitoraggio-zwe-alto-livello-di-diossine-intorno-a-3-inceneritori-europei/?utm_source=chatgpt.com

[9] https://www.comune.roma.it/web/it/notizia/termovalorizzatore-presentato-progetto-ottobre-2024.page

[10] https://mobilita.org/2025/06/03/termovalorizzatore-roma-si-avvicinano-i-lavori/

[11] https://www.fanpage.it/roma/termovalorizzatore-e-stadio-la-protesta-fa-litigare-il-pd-la-provincia-si-ribella-a-gualtieri/

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