Il falso mito romantico dell’indipendentismo catalano

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27 Marzo 2018

Da più parti in Italia la questione catalana si sta vivendo con certo romanticismo. Sono diverse le pubblicazioni sui social network (anche da parte di scrittori e giornalisti della televisione o della carta stampata) che solidarizzano, o mostrano empatia, nei confronti Carles Puigdemont, oggi incarcerato in Germania in attesa di essere estradato, e che parlano di prigionieri politici. Vi è una sorta di fascinazione: il separatismo è considerato da alcuni come una ribellione contro lo status quo e contro il potere pre-costituito. Si pensa a Puigdemont come a un rivoluzionario del XXI secolo; un uomo che ha osato tentare di scardinare il sistema e per di più l’ha fatto pacificamente, portando la gente a votare.

Senza entrare nel merito della questione sul referendum del primo ottobre e rimandando a quanto già scritto in merito agli afflati autoritari dell’iter parlamentare che ha portato all’approvazione della Legge sul Referendum e alla Legge di Transitorietà Giuridica, vorrei soffermarmi su alcuni dettagli che, finora, in pochi hanno considerato (almeno per quello che ho potuto leggere in prima persona), ma che ridimensionano parecchio l’alone romantico che circonda Puigdemont e il separatismo catalano.

Il partito al quale appartiene l’ex President e principale propulsore dell’indipendenza ha funzionato da stampella per tutti i governi di Madrid tra il 1981 e il 2003. In particolare, i deputati della vecchia Convergencia Democratica de Catalunya (CDC) hanno prestato i loro voti ai governi ultra conservatori di José María Aznar (1997-2004). Con il tempo CDC si è evoluta fino a diventare l’attuale PDeCAT, ovvero un partito neo-liberista e conservatore, la cui agenda economica e sociale non è poi tanto diversa da quella del PP, solo che la applica su scala locale.

Il progetto di Nazione che hanno in mente i separatisti, e che è contenuto nella Legge di Transitorietà Giuridica, è anti-storico. La Repubblica Catalana sarebbe uno Stato-Nazione centralista e indivisibile sulla scorta degli Stati-Nazione dell’epoca moderna, ovvero una istituzione che è in crisi da un secolo a questa parte e che cerca in tutti i modi di sopravvivere alla sua inevitabile sparizione. Inoltre, non è tanto velato il sogno di trasformare la Catalogna in un paradiso fiscale tipo Andorra nel caso non entrasse nella UE. Questo progetto di Stato-Nazione, peraltro, assume le fattezze non tanto di una scelta democratica, quanto dell’imposizione di una parte della Catalogna sull’altra, giacché alla maggioranza parlamentare non corrisponde una maggioranza sociale: il blocco separatista ha infatti il 47% del consenso elettorale e il 51% dei seggi. Il consenso elettorale è interamente nelle mani di due associazioni della cosiddetta società civile, ANC e Omnium Cultural, che hanno un potere di mobilitazione sorprendente, come si è potuto vedere domenica scorsa: una volta circolata la notizia dell’arresto in Germania di Puigdemont, ANC e Omnium hanno radunato in pochissimo tempo, basandosi unicamente sul tam-tam sui social network, oltre 50 mila persone nelle strade di Barcellona. Il legame tra queste due realtà e la politica separatista, poi, è molto forte. L’ex presidentessa del Parlament, Carme Forcadell, è stata anche presidentessa di ANC. Il suo successore in questo incarico, Jordi Sánchez, è oggi in carcere e il suo nome è stato e sarà proposto come possibile President della Generalitat. Infine, le costose cauzioni per far uscire dal carcere a novembre alcuni ex assessori e la stessa Carme Forcadell le ha pagate proprio ANC e si parla di cifre di alcune centinaia di migliaia di Euro. Visto che il finanziamento di ANC, al contrario di quello di Omnium, non è affatto chiaro, come non è chiaro chi e come si sia pagato il referendum incostituzionale del primo ottobre, alcuni dei politici separatisti, tra cui Puigdemont e tutti gli ex assessori implicati, sono accusati anche di malversazione di denaro pubblico. E forse questo sarebbe il reato più facile da provare, con le prove più tangibili, un po’ come lo fu l’evasione fiscale per Al Capone. Il paragone non è tanto campato in aria: un giornalista della testata spagnola CTXT, Guillerm Martínez, ha coniato il neologismo peronismo.cat per descrivere un sistema di potere che istituzionalizza associazioni di privati cittadini e crea un universo ideologico, politico e d’affari chiuso. Il giudice che sta istruendo la causa, poi, ha ricevuto serie minacce da parte della frangia estremista del separatismo in pieno stile mafioso (finora silente ma che da domenica scorsa sembra iniziare a farsi sentire con i Comitati di Difesa della Repubblica, associazioni che non fanno parte di ANC e Omnium), tanto che si sta valutando se affidargli una scorta.

Andiamo oltre. Il Codice Penale spagnolo si vende in tutte le librerie di Barcellona ed è consultabile on-line in diverse versioni ridotte. I leader separatisti ora in prigione o latitanti (usare la parola “esilio” è un’offesa nei confronti di chi l’esilio lo ha patito sul serio), o per lo meno i loro avvocati, conoscevano perfettamente le conseguenze penali delle loro azioni, giacché i reati dei quali sono accusati (ribellione, sedizione, malversazione di denaro pubblico) sono scritti nero su bianco nel Codice Penale. Delle due, quindi, una deve essere vera: o non conoscono le leggi del Paese in cui vivono o le hanno scientemente ignorate. In entrambi i casi dimostrano la loro totale inadeguatezza a ricoprire qualsiasi ruolo politico.

Inadeguatezza che, peraltro, è emersa tutta dopo le elezioni del 21 dicembre 2017. L’autogoverno catalano è commissariato da Madrid dal 27 ottobre scorso. Sono 5 mesi. Di questi, ben 3 sono quelli passati da quando si è votato e durante i quali la maggioranza indipendentista ha intrapreso un percorso labirintico nel quale sembra tutto volere, meno recuperare il controllo delle istituzioni catalane. Di fatto prova a far eleggere President senza riuscirci prima chi è latitante (Puigdemont), poi chi è in carcere (Jordi Sánchez) e, infine, chi sta per entrarci (Jordi Turull). La maggioranza indipendentista può contare su 70 diputati. Di questi, fino a pochi giorni fa, 6 non potevano andare in Parlamento perché latitanti o in prigione. Ne restavano 64. Una classe politica adeguata, ansiosa di recuperare il controllo delle proprie istituzioni, avrebbe scelto tra questi 64 il candidato facendolo eleggere. A quel punto, però, si sarebbe presentato un problema: governare. Sì, perché rotto il tabù dell’articolo 155 della Costituzione Spagnola, visti i processi in corso, visto il costo economico e sociale del processo indipendentista (riassunto molto bene in Italia da Milena Gabanelli), è necessario che chi governi, chiunque sia, lo faccia senza perdere tempo dietro a un chimera irrealizzabile. Perché politica significa fare, come diceva De Gasperi.

Non solo in Italia Puigdemont riscuote simpatie. Anche in Spagna, fuori dalla Catalogna, c’è chi, pur non condividendo l’idea dell’indipendentismo, strizza l’occhio all’ex Presidente. Affascina l’idea di qualcuno che stia tenendo in scacco Madrid e che riesca a vendere una narrazione per la quale lo Stato Spagnolo appaia pseudo-franchista. Che sia chiaro: coloro che sono indagati, non lo sono per quello che pensano, ma per quello che hanno fatto, per di più in flagranza di reato e mondovisione. Di fatto, Esquerra Republicana (il secondo partito indipendentista per numero di seggi nel Parlament) ha 21 parlamentari tra deputati e senatori alle Cortes di Madrid, dove difendono apertamente l’indipendenza della Catalogna, ma nessuno si sogna di metterli sotto processo.

Non sappiamo come andrà a finire. Probabilmente la ferita che si è creata continuerà a sanguinare per secoli e si andrà ad aggiungere alle molte ferite che la Penisola Iberica si è inflitta da sola nel corso della sua storia. Ciò che dovrebbe essere evidente, però, è l’inadeguatezza e l’incompetenza di una classe politica che ha portato una Regione tra le più ricche d’Europa alla paralisi istituzionale con il solo obiettivo di conservare il potere costi quel costi. Non vi è nulla di romantico, niente di mazziniano o rivoluzionario. È solo di una insensatezza senza precedenti.

 

Immagine di copertina: Palau de la Generalitat. Fonte: wikipedia.org

TAG: barcellona, Carles Puigdemont, indipendentismo, indipendenza catalogna
CAT: Spagna

2 Commenti

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  1. dionysos41 6 anni fa

    Tutto vero. Ma andava anche messa in rilievo l’inadeguatezza dell risposta del Governo Centrale. Soprattutto un dato, che è forse quello che ha fatto scattare la rivolta: perché Rajoy ha bloccato una legge che decretava un’ampia autonomia della Catalogna, maggiore di quella di cui adesso gode, una legge, si badi, approvata dal Parlamento spagnolo, allora in maggioranza socialista? E perché ha arrestato la trasformazione della Spagna in Stato Federale (come la Germania)? Gli spagnoli, storicamente, si sono sempre fatti male da sé (gli italiani, non ne parliamo), ma questa volta il diritto non sta tutto da una parte e il torto tutto dall’altra.

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  2. alessio-piras 6 anni fa

    La ringrazio del commento.
    Le responsabilità sono condivise, ne ho scritto nei mesi passati. Tuttavia, per lo meno dal 21 dicembre 2017 in poi, quelle della classe politica catalana sono oggettivamente enormi. Bisogna uscire dalla logica: nel 2010 il TC ha decurtato lo Statuto quindi oggi siamo autorizzati a fare questo. Le cause che hanno portato all’1-O le abbiamo viste, studiate, interpretate e scritte. Ora la Catalogna ha bisogno di un Governo e di pace.

    PS: lo Statuto di cui si parla tanto, in cui la Catalogna si definisce come una Nazione, fu approvato dal Parlament e dalle Cortes. Nel mezzo fu suffragato per referendum, con affluenza del 48%. Non pare che allora importasse più di tanto ai Catalani.

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