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Basket

Il ‘sogno’ di Giannis

di Gianluca Angelini
22 Luglio 2021

Non ci avevano messo molto i Milwaukee Bucks a vincere il loro primo titolo Nba. Anzi. Al debutto nel 1968 con una stagione chiusa a sole 26 vittorie i cerbiatti, si erano ‘guadagnati’ il diritto a scegliere in testa al draft del 1969 portando nel Wisconsin, Lew Alcindor, che poi cambiò il suo nome in Kareem Abdul-Jabbar: l’arma più letale uscita dai college americani e che aveva costretto l’Ncaa a vietare la schiacciata per limitarne lo strapotere. Giusto il tempo di oliare i meccanismi di gioco con Oscar Robertson – altro fenomeno da tempo immemore nella Hall of Fame del basket americano – e nel 1969, ‘mister Gancio Cielo’, issò Milwaukee sul tetto della Nba – con un bel 4-0 in finale assestato ai Baltimore Bullets – facendone i campioni più precoci della storia.

Ci avevano messo davvero poco a vincere, i Bucks, lasciando presagire un futuro più che brillante. Invece, mancato il bis nel 1974 quando persero in finale per 4 a 3 contro i Boston Celtics, per la franchigia in verde ci sono voluti 50 anni tondi tondi per riassaporare il gusto del successo. Mezzo secolo e un altro fenomeno, che più fenomeno non si può, proprio come era Kareem. C’è voluta una ‘divinità’ greca, di origine nigeriana, dal nome impronunciabile, Giannis Antetokounmpo e dalla storia personale degna d’un film strappalacrime, per cancellare decenni di sostanziale irrilevanza – a parte alcuni sprazzi negli anni Ottanta con le giocate di Sidney Moncrief e Jack Sikma e all’alba degli anni Duemila con i ‘Big Three’ Ray Allen, Glenn Robinson, Sam Cassell a inchinarsi in gara 7 di finale di conference ai Philadelphia Sixers di Allen Iverson – e scalzare Fonzie di ‘Happy Days’ dal ruolo di cittadino più illustre di Milwaukee. C’è voluto un ragazzo che incarna, più di qualsiasi altro l’iconografia del ‘sogno americano’. Del riscatto e della rivincita di fronte a un destino che sembrava scritto nei bassifondi di Atene e che, invece, lo ha catapultato nell’Olimpo del Basket mondiale. Nell’Empireo, suggellato da un titolo Nba dopo avere strappato quello di Mvp, ossia di giocatore più dominante, nelle stagioni 2018-2019 e 2019-2020 e di difensore dell’anno nella stagione 2019-2020.

Titoli che si fondono nei 50 punti segnati da Giannis nella decisiva Gara 6 contro i Suns che ha riportato l’anello a Milwaukee: 50, uno per ogni anno trascorso da quella prima storica e fino ad ora unica vittoria. Titoli che si fondono nelle le giocate di Kris Middleton e Jrue Holiday, ‘scudieri’ di talento ad attorniare Giannis così come Scottie Pippen e Dennis Rodman attorniavano sua maestà Michael Jordan. Così simile a Antetokounmpo nel dominare gli avversari, così diverso per storia personale e di vita. Perchè nessuno, ma proprio nessuno, avrà mai un ‘Happy End’ come quello disegnato per Antetokounmpo, nato il 6 dicembre del 1994 a Sepolia, quartiere popolare di Atene, in cui erano arrivati clandestinamente dalla Nigeria, due anni prima, i suoi genitori. Quartiere ruvido in cui aiuta mamma e babbo che sbarcano il lunario – quando si riesce – facendo gli ambulanti e lo svago racchiuso solo in un campetto da basket in cui sfidarsi con il fratello Thanasis e un paia di scarpe in due. Prima di iniziare a giocare più seriamente, a 14 anni, nel Filathilikos – squadra in cui è rimasto fino all’A2 con il fratello – ottenere la cittadinanza greca per meriti sportivi nel 2013, non senza difficoltà, e poi volare negli Stati Uniti scelto, il 27 giugno di quell’anno, dai Bucks con la chiamata numero 15 del Draft. Un sogno che si realizza. Anche economicamente. Leggenda narra che la prima cena dei fratelli Antetokounmpo appena milwaukee divenuti entrambi giocatori Nba sia stata in un ristorante di Philadelphia in cui, potendo scegliere quello che vogliono dal menu e frastornati dall’opportunità si siano limitati a ordinare due insalate. E leggenda narra, ancora, che nell’imminenza di una delle sue prime gare in Nba, Giannis sia andato a spedire denaro alla sua famiglia, inviando una intera busta paga e rimanendo senza un dollaro in tasca, non potendo nemmeno prendere un taxi per recarsi al palazzo dello sport. Adesso dopo anni di stenti, di sacrifici, di ore e ore passate in palestra che lo hanno portato ad essere uno dei giocatori più dominanti del basket mondiale, Antetokounmpo ha vinto la sua sfida. Ha riportato Milwaukee sulla mappa del basket che conta. E relegato ‘Fonzie’, con il suo giubbottino di pelle, a fargli da spalla in questi nuovi ‘Happy Days’.

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