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I giochi asiatici invernali del 2029 forse non si svolgeranno in Arabia Saudita
La notizia, rivelata dal Financial Times, è clamorosa: l’Arabia Saudita sta valutando di rinunciare ai Giochi asiatici invernali del 2029, assegnati nel 2022, e di chiedere uno spostamento in altro paese asiatico. Secondo indiscrezioni, Riad avrebbe aperto colloqui informali con Corea del Sud e Cina per capire se esistano margini per un rinvio o addirittura per una sostituzione temporanea, ospitando i Giochi solo nell’edizione successiva, nel 2033.
Il cuore del problema è Trojena, il futuristico comprensorio sciistico che dovrebbe nascere a 2.600 metri di quota sulle montagne del nord-ovest saudita. Trojena fa parte di Neom, la città da 500 miliardi di dollari voluta dal principe ereditario Mohammed bin Salman: un laboratorio urbanistico e tecnologico destinato a simboleggiare la transizione del Regno verso un futuro post-petrolifero. Il progetto, però, procede con grandi difficoltà. Oltre alla complessità ingegneristica – un lago artificiale profondo 140 metri da riempire pompando acqua dal Mar Rosso, impianti di desalinizzazione ancora da avviare, infrastrutture viarie insufficienti – pesa un cronoprogramma giudicato da molti osservatori semplicemente irrealistico.
I Giochi asiatici invernali sono la versione continentale delle Olimpiadi dedicate agli sport sulla neve e sul ghiaccio, organizzati dal Consiglio olimpico d’Asia. Negli ultimi decenni sono stati ospitati da paesi con solide tradizioni sportive e impianti già collaudati, dalla Cina al Giappone al Kazakistan. L’assegnazione all’Arabia Saudita aveva suscitato sorpresa e scetticismo: un regno desertico, privo di cultura sciistica e con precipitazioni nevose quasi inesistenti. La scommessa saudita era di costruire dal nulla, in pochi anni, una stazione sciistica di livello internazionale alimentata unicamente da neve artificiale.
È qui che si annida l’intoppo principale. La produzione di neve richiede quantità enormi di acqua ed energia: a Trojena l’acqua dovrebbe arrivare con una condotta lunga 200 chilometri e sollevata di 2.600 metri di dislivello, un’opera titanica dal costo miliardario. I lavori, però, accumulano ritardi e lo stesso consorzio costruttore, l’italiana Webuild, non ha ancora avviato alcuni cantieri cruciali. Persino all’interno del management di Neom si discute di piani di ridimensionamento, secondo quanto riportato dal Financial Times.
Il fallimento della scadenza del 2029 non significherebbe la cancellazione del progetto, ma certo rappresenterebbe un duro colpo all’immagine internazionale di bin Salman, che ha investito nello sport centinaia di miliardi di dollari, dalla Formula 1 al calcio fino alla candidatura vittoriosa per i Mondiali del 2034. Le accuse di sportswashing, cioè l’uso delle grandi competizioni per ripulire la reputazione di un regime autoritario, restano sullo sfondo e rischiano di rafforzarsi.
C’è poi un tema più ampio, che va oltre i ritardi di cantiere. La sostenibilità ambientale di Giochi invernali nel deserto appare paradossale: miliardi di litri d’acqua da desalinizzare e pompare, consumo energetico altissimo, temperature che sfiorano i 30 gradi per gran parte dell’anno. In un pianeta già segnato dall’emergenza climatica, l’idea di una località sciistica artificiale nel cuore della penisola arabica sembra una contraddizione in termini. Anche se Trojena dovesse essere completata, resta la domanda di fondo: ha senso inseguire la neve dove la neve non cade?
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