chiesa e stato: le dimensioni che coesistono

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7 Dicembre 2015

Gli scandali registrati nella storia dell’Italia postrisorgimentale prima e moderna poi sono forse da considerarsi -anche- come conseguenza di una netta separazione tra morale e politica.

Come si sono sviluppati i rapporti post-unitari tra Stato e Chiesa?

Dalla nascita dell’Italia unita, il Vaticano si è opposto al nuovo ordinamento per ragioni legate alla Questione Romana (annessione di Roma all’Italia) e non volendo farne parte, organizzò una vera e propria sovversione non solo giurando fedeltà ai Borboni, ma anche e soprattutto ponendo il Basso Clero contro i liberali.

Nel 1861 Cavour proclamò la separazione tra Stato e Chiesa pronunciando la formula “Libera Chiesa in Libero Stato”, dove la preposizione in chiarisce una subordinazione della prima al secondo, poiché essa <<è una società che vive dentro lo Stato ed è soggetta alla legge comune>>.

Lo Stato Pontificio sancì quindi nel 1868 il non expedit -letteralmente “non conviene”- che vietava ai cattolici di andare a votare, ma di cui vennero date interpretazioni moderate per giustificare una partecipazione non solo di matrice elettiva, ma anche di natura amministrativa nel caso dei dipendenti pubblici.

Dopo l’annessione di Roma decretata nel 1870 con il d.5903, i rapporti si inasprirono ulteriormente durante il terzo decennio unitario guidato da Crispi, secondo cui l’extraterritorialità non legittimava il potere del Papa (il Re, quindi esercitava la sua sovranità anche in Vaticano). Da ciò derivò l’esclusione del clero dalla gestione della beneficenza, il cui dissenso ruotò intorno a tre leggi:

  • Codice penale Zanardelli e la legge n.5801 del 1888 sugli abusi dei ministri del culto
  • L. 4727 del 1887 sull’abolizione di decime ed altre prestazioni
  • L. 6972 del 1890 che escludeva gli ecclesiastici dalla gestione delle opere pie

Le acque si calmarono nel 1904, quando Giolitti paragonò Stato e Chiesa a due parallele che non si sarebbero mai incontrate, un concetto che stabiliva la parità tra le due. Per questa sua apertura, Giolitti ottenne la sospensione del non expedit in occasione delle elezioni del 1904. A seguire vi fu il Patto Gentiloni nel 1913  per la difesa della libertà di coscienza-associazione e soprattutto per l’insegnamento privato e della religione cattolica nelle scuole pubbliche.

Entrerà in scena sei anni dopo Luigi Sturzo, motivato all’inserimento dei cattolici nello Stato per far sì che non fossero più <<cittadini di second’ordine>>, che lo Stato non fosse più accentratore ma popolare, che riconoscesse i limiti della sua attività e la personalità individuale. Per farla breve, nel 1919 cento deputati del Partito Popolare entrano in Parlamento: il primo passo verso un’ambigua osmosi.

Tra il 1921 e ’26 Mussolini chiede al Vaticano di lasciarsi alle spalle la questione romana in cambio del riconoscimento della Sovranità della Chiesa. Ed è proprio nel ’26 che il Partito Popolare decade perché -a detta di Sturzo- aveva raggiunto la missione cattolica dello Stato Italiano. Tre anni dopo la L.810, meglio conosciuta come Patti Lateranensi, dichiarerà:

  • Il riconoscimento della sovranità della Santa Sede
  • La religione cattolica come religione ufficiale
  • Giorni festivi, benefici ecclesiastici, agevolazioni tributarie.

Si registrano tuttavia alcuni scontri: nel 1931 sull’Azione cattolica e nel ’38 sulle leggi razziali. In occasione del Natale 1948 -che fu proclamato Anno Santo- Papa Pio XII recitò infatti le famose parole:

« Dà, o Signore, la pace ai nostri giorni », pace alle anime, pace alle famiglie, pace alla patria, pace fra le nazioni.

Nel secondo dopoguerra la Chiesa puntò a difendere quanto conquistato con i Patti Lateranensi: venne così stabilito che Stato e Vaticano erano indipendenti e che i loro sarebbero stati rapporti regolati dalla legge del 1929, che si rivelò determinante durante la scrittura della Costituzione.

La Santa Sede dava suggerimenti, raccomandazioni e direttive, stabilendo ciò era desiderabile, accettabile, non accettabile ma tollerabile e ciò su cui <<non si può transigere>>.

La Democrazia cristiana si differenziò dal Partito Popolare  poiché quest’ultimo aveva ritenuto che il partito dovesse essere indipendente dalla Gerarchia. La DC, invece, si definì come un partito sì di cattolici, ma in stretto rapporto con le cariche ecclesiastiche, che molto la influenzò. La sua presenza in Parlamento per oltre 50 anni ha fatto parlare di occupazione dello Stato da parte della Chiesa, che con l’Italia  si è in gran parte finanziata.

Dopo oltre centocinquantamila anni, giudizi morali e politici talvolta ancora si scontrano. Ma la storia ci insegna che “Palazzo” fa rima con “andazzo”: ogni strumentalizzazione è inutile.

Il progresso agisce su società e dottrina in modi diversi. Le critiche sulla non accettazione della laicità-indifferenza sono state accantonate in favore di un ordinamento democratico basato sul rispetto dei diritti umani e del bene comune ispirato a verità e giustizia. Cattolico, ebreo, musulmano, induista sono solo aggettivi che seguono la parola cittadini.

E d’altronde <<i cittadini non possono disinteressarsi della politica>>.

 

 

 

Fonti:

S. Cassese, Governare gli Italiani. Storia dello Stato, Bologna, Il Mulino, 2014.

G.Sale, Il Vaticano e la Costituzione, Milano, Jaca Book, 2008.

TAG: Chiesa, democrazia, giubileo, italia, Papa Francesco, Stato
CAT: Storia

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