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Teatro

Chi crea e fa dell’umorismo il suo mestiere continua a vivere

di Titti Ferrante
2 Novembre 2021

“Ringraziamo Iddio, noi attori, che abbiamo il privilegio di poter continuare i nostri giochi d’infanzia fino alla morte, che nel teatro si replica tutte le sere.”

Moriva un anno fa Gigi Proietti. Geniale, istrionico, poliedrico. Doppiaggio, teatro sperimentale e cinema, Proietti mosse i primi passi a quattordici anni quando fu scritturato come comparsa nel film “Il nostro campione”, diretto nel 1955 da Vittorio Duse, per poi interpretare un altro piccolo gioiellino “Se permettete Parliamo di donne” di Ettore Scola.
La grande occasione arriva nel 1970 quando sostituisce Domenico Modugno a fianco di Renato Rascel nel musical “Alleluja brava gente”, nella commedia musicale di Garinei e Giovannini. Negli anni 70 arrivano i ruoli da protagonisti al cinema in “Conviene far bene l’amore”, “Languidi baci, perfide carezze”, “Chi dice donna dice donna”, film di Tonino Cervi. Passa dalla commedia, al ruolo impegnato, dal dramma erotico al film grottesco, partecipò a film di Monicelli e Magni. Nel 1976 lo spettacolo “A me gli occhi, please”, in cui affronta il problema della traduzione di Amleto, lo consacra a grande mattatore del palcoscenico.
Nello stesso anno è Mandrake in “Febbre da cavallo” con Enrico Montesano, di Stefano Vanzina, film che all’inizio non ha il successo sperato ma che diventa un vero e proprio kult movie, basti pensare che termine “mandrakata” è ormai divenuto d’uso comune e designa da allora una “trovata ingegnosa che permette di risolvere una situazione difficile”, “una furbata”, “un imbroglio”.
Tra gli anni 70 e 80 si misura anche con la televisione, poi arriva la direzione del teatro Brancaccio di Roma, laboratorio che aprirà la strada a giovani talenti tra cui Giorgio Tirabassi, Enrico Brignano, Flavio Insinna.
Nel 1982, in”Attore Amore Mio” con gli allievi del suo laboratorio teatrale, Proietti mette in scena la sua arte recitativa, diretto da Antonello Falqui. Si cimenta, inoltre, in interpretazioni di serie televisive, raggiungendo con “Il maresciallo Rocca” un enorme successo di pubblico.
A lui si deve anche la presenza, a Roma, di uno dei luoghi d’arte più particolari e suggestivi d’Italia: il Globe Theatre, un teatro che ricostruisce filologicamente il Globe Theatre di Londra, il più famoso teatro del periodo elisabettiano. Costruito in poco più di tre mesi nel 2003- di cui fu direttore fino al giorno della sua morte – all’interno dei giardini di Villa Borghese grazie ai finanziamenti della Fondazione Silvano Toti, associazione creata dalla famiglia Toti per onorare la memoria di Silvano Toti (imprenditore e mecenate).
Il teatro, di forma circolare, rispetta la forma dell’originale teatro elisabettiano costruito a Londra nel 1599 e in seguito distrutto in due occasioni. Il materiale utilizzato è legno massello di rovere francese, di provenienza prevalente delle Ardenne. I tre ordini di balconate si affacciano in modo concentrico sul palcoscenico: la struttura, infatti, è stata concepita e realizzata considerando come punto centrale dell’attenzione del pubblico il proscenio.
Al Globe, sono state proposte tante tragedie e commedie elisabettiane, come per esempio “Romeo e Giulietta”, “Pene d’amor perdute”, “Riccardo III”, “Molto rumore per nulla”, “Sogno di una notte di mezza estate”, “Re Lear”, “Il mercante di Venezia”, “La tempesta”.
In più di mezzo secolo di carriera, Gigi Proietti è stato in grado di passare dal teatro alla musica, da Brecht a Petrolini, da Shakespeare alle barzellette con naturalezza e con un talento immenso.
In proiezione, non esiste un altro Gigi Proietti perché era sconfinatamente talentuoso, ed il talento è sempre un incontro felicissimo tra una passione, un fuoco, e una grande tecnica, una combinazione di testa e inventiva. Era un one man show, connubio meraviglioso di una straordinaria cultura, competenza e sapienza che solo lui poteva permettersi su un palcoscenico che diventa un bar, dove si svolgono trame di film, barzellette vanziniane, miracoli verbali in cui il connubio tra il colto e il popolare si fonde a tal punto da essere indistinguibile.
Tra i cavalli di battaglia ricordiamo “Er Castagna”, “La telefonata”, “L’addetto culturale”, la barzelletta del “Colonnello Lagaffe”.
Nel riguardarli, ripenso a come è fatto il cervello di un comico.
In realtà c’è un coinvolgimento delle aree cerebrali associate al “Default Mode Network”, circuito cerebrale che coinvolge diverse aree cerebrali, che è tradizionalmente associato all’attività del sognare o vagare con la mente, ed è noto per attivarsi nelle attività creative. In alcune di queste aree si osserva un “effetto dose”, cioè maggiore è la professionalità e l’esperienza del comico, più estesa è l’area.
In effetti se è vero che siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, il sogno, la creatività sono ciò di cui l’uomo non può fare a meno, siamo piacevolmente dipendenti dalla periodica dose di umorismo e di viaggi mentali.
Ed è per questo che Gigi sarà sempre presente nei nostri giorni a venire.

cinema teatro televisione
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