I mostri danzano nella penombra della sera

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5 Dicembre 2022

A caccia dei nostri fantasmi. Il teatro può essere una via di fuga, una camera di compensazione delle piccole e grandi frustrazioni quotidiane? O meglio, specchio non deformante di verità nascoste. Quelle che ci teniamo dentro e vengono liberate solo di notte. Quando il corpo riposa e i pensieri, le angosce, i piccoli “mostri” danzano. Finalmente liberi di svolazzare dentro e fuori la testa di dormienti con il capo appoggiato sul cuscino, mentre guerre e conflitti lasciano per terra feriti e dispersi che il mattino cancellerà dalla memoria. Anzi, li sigillerà di nuovo nel luogo più oscuro del nostro profondo. Almeno parzialmente. Mariano Dammacco invece ha deciso di tirarli fuori e fermarli in un foglio bianco, affidandone le parole e le visioni a uno spettacolo teatrale che va oltre gli spazi convenzionali della Piccola Compagnia Dammacco-Balivo. Stavolta questa si apre infatti a un terzo ospite: Roberto Latini, ultimo eroe dell’attore romantico, che apporta di suo, oltre a una presenza e una vocalità da incorniciare, anche metà staff: dalle musiche di Gianluca Misiti alle sapienti luci di Max Mugnai, entrambi suoi collaboratori storici, per concorrere all’allestimento di “Danzando con il mostro” (la scenografia invece è di Francesca Tunno), andato in scena giorni fa nell’Arena del Sole di Bologna, produzione Ert, Emilia Romagna Teatro Nazionale, con Infinito e Compagnia Lombardi-Tiezzi.

Un momento dello spettacolo “Danzando con il mostro” di Mariano Dammacco con Serena Balivo e Roberto Latini in scena all’Arena del Sole di Bologna (Fotografia di Luca Del Pia)

Il risultato è un fulminante atto unico in cui si confrontano, e si scontrano pure, tensioni e visioni teatrali assai differenti. Un esercizio di stile soprattutto che apre anche un grande interrogativo sulla scena del presente, sempre più restia nel rischiare: e che raramente aguzza le armi per indagare criticamente il proprio tempo, illuminando i punti di frizione e rottura della società contemporanea. Accade in questo lavoro dove un Roberto Latini ovviamente strabordante di energia e amore per la recitazione ha come alter ego una Serena Balivo altera e quasi ieratica. Giusta e necessaria per individuare il punto di equilibrio tra diluvi di parole dette con bella enfasi oratoria da Latini, riportate invece secche e dolenti dall’attrice che cerca di uscire dal labirinto di vocaboli usati in un linguaggio sull’orlo della decadenza.
Una opposizione soft in definitiva perché è difficile combattere la materia di cui sono fatti i sogni.
La decrittazione è difficile sin dall’esordio, con l’avviso rivolto ai naviganti spettatori in una lingua inventata che sconcerta e spiazza. Ma utile nell’introdurre a una densità verbale magmatica e sfuggente. “Askarubia sgimeni askarubia motile bigi…” altro non è che un saluto ammiccante: “Care mostre e cari mostri presenti in sala…” Forse in realtà più di un saluto è un “benvenuti a bordo” per un viaggio dell’impossibile dentro le nostre esistenze parallele. Siamo tutti coinvolti in una escursione ardita: giocata nella penombra e nel chiaroscuro dell’anima. Dire l’indicibile per conoscere se stessi. Saggiare i propri limiti per capire se è possibile spostarsi dall’inconscio allo stato dell’esistere. Quello del cartesiano cogito ergo sum.

Una singolare immagine dall’allestimento scritto e messo in scena da Mariano Dammacco con gli attori Serena Balivo e Roberto Latini (foto di Luca Del Pia)

Sul limitare del proscenio c’è una linea invalicabile costruita da una lunga teoria di calici di cristallo. La danza avviene al di là. In uno spazio precario come quello della vita. Ci sono due gradinate, una opposta all’altra, una vetrata al fondo e una scala verso un balcone, al centro una sorta di torre dentro cui lo stesso autore del testo, Mariano Dammacco, in camicione bianco e maschera, osserva da voyeur i due attori che levatesi dagli occhi delle bende si rinviano costantemente la palla. Non solo la battuta ma anche le emozioni e i desideri più intricati e nascosti.
Cosa fanno nel concreto?
“Andiamo nel passato per modificare il nostro destino, cerchiamo di correggere un qualche evento della nostra vita”… C’è dell’arte naturalmente in tutto ciò è c’è pure del mestiere. Sono “mostri” che hanno appreso la lezione.
“Facciamo il metodo, come gli attori di Hollywood: restiamo nel personaggio, restiamo sul nostro scalino tutto il tempo. Anche mentre dormiamo”.
E così dallo scivoloso terreno psicologico la pièce entra nel più confortevole gioco del teatro nel teatro. E in effetti a ben pensarci i due attori, Latini e Balivo, paiono modellare i caratteri “mostruosi” sul proprio vissuto, sul deja vu della scena. “Mostri” che si sommano ad altri. Vecchi e teneri spettri, come abiti di gala indossati di nuovo nei corpi degli attori. Roberto Latini, con frac e cilindro si muove con ostentata eleganza di consumato viveur, accennando qua e là, mentre declama, leggeri passi di danza che creano un illusorio spostamento nel tempo. Serena Balivo in lungo abito da sera appare addirittura l’interprete illanguidita di un dramma ottocentesco, alternando espressioni corrucciate a sguardi distaccati con recitazione secca e precisa.
Dicono: “Noi non molliamo mai, non ci annoiamo mai. Noi viaggiamo nel tempo”.

Un primo piano dell’attrice Serena Balivo interprete con Roberto Latini di “Danzando con il mostro” nuovo testo di Mariano Dammacco (foto di Luca Del Pia)

Cioè forse come in Ibsen potrebbero essere le ombre di un passato che colpiscono il dramma esistenziale dei viventi. “I morti che tornano”, titolo con cui apparì in Italia il dramma che metteva a nudo i vizi e i segreti della società borghese norvegese generando scandalo e dove Claudio Magris nell’introduzione ai “Drammi” di Henrik Ibsen edito da Garzanti (1995) scrisse che “prevale una negatività completa, ignara di alternative positive. Donde l’irreparabile decadimento di ogni ideale e l’esaurimento di ogni forza vitale, la contemplazione cinica e amara di un vano gioco anch’esso cinico e amaro, la visione di una vita che consuma se stessa alla ricerca di un proprio senso il quale sussiste soltanto aldilà di essa, la consapevole assunzione – da parte dell’autore medesimo – di una prospettiva estraneità e perciò alla fine impotente, sconfinante col vuoto, con l’assenza e con la morte”.

Motivi che calzano anche in “Danzando con il mostro” partecipe di temi che sono segnati e ritornano nella letteratura borghese della crisi. A quella che Magris definisce, riferendosi ancora al drammaturgo norvegese “la precarietà del soggetto individuale e soprattutto della sua unità psicologica; l’antitesi fra etica pubblica ed etica privata, fra interiorità e oggettività sociale, l’ironica contraddizione fra l’esigenza kantiana dell’autonoma personalità individuale e la consapevolezza che quest’ultima si trova ad essere ferreamente determinata dai rapporti sociali”. In “Danzando con il mostro” c’è tutto il dilemma dell’essere alienato che nega se stesso. “Non raccontarla quella cosa che ormai l’unico obiettivo che ti resta nella vita è l’essere di buon umore nei cinque minuti prima di morire…”. Così scrive Dammacco doloroso ma ironico fino in fondo, in una scrittura esplosa e post borghese. E qui sta il cuore nero dell’allestimento che, nello svilupparsi successivo, racconta di uomini sull’orlo di una crisi di nervi, indecisi se lanciarsi o meno da una finestra.

Attore di forte presenza teatrale Roberto Latini con Serena Balivo ha proposto una interessante prova d’attore in “Danzando con il Mostro (Foto di Luca Del Pia)

Si accese una sigaretta e guardò ad occhi aperti una sua possibile fine: “…con la brace che scintilla di arancione sull’asfalto, la osservò cadere come il detenuto che resta guarda da lontano il detenuto che va nella scena dell’evasione dei film americani. E poi resto lì”.

Uomini in bilico salvati da donne: “Lo tirò giù dalla parte giusta della finestra, sul pavimento della loro camera da letto, dove uno dovrebbe stare”.

Uomini che vanno in frantumi, in mille pezzi. Da raccogliere nel grembo di una veste: “… li rovesciò sul tavolo, si sedette a quel tavolo e cominciò a muovere, a toccare tutti quei frantumi come si fa con i pezzi di un puzzle o forse ad accarezzarli”.

Ed è un film della vita trascorsa fino al momento della “finestra”. A venti, venticinque… L’avviso a “Non ammorbare le persone”. E come? Non telefonando le “persone quando sei agitato”, non chiamando vigili o forze dell’ordine per questioni condominiali. Smettere di ascoltare “quella musica lì, non è vero che ti fa bene, diventi triste”. Quindi “Basta con Lisa Gerard, basta con Max Richter….” e soprattutto “Basta con Arvo PartArvo Part ti ucciderà”. Restano pochi moduli di una partitura che volge alla fine. Dal flash di “Finchè la morte non ci separi”, una perversa e stralunata “Hit Parade” di “nomignoli, nomi d’arte gli alter ego e i se stessi”. E poi ancora il “Capitan Mestesso” “Il buio e la luce” fino al de profundis de “L’imperdonabile”: l’incontro con i genitori che non ci sono più.

I calici di cristallo allineati sul proscenio dello spettacolo “Danzando con il mostro” di Mariano Dammaccoandato in scena all’Arena del Sole di Bologna (Foto di Alessandro Sulis)

Tutto questo è presentato e rappresentato con eleganza e abilità da Roberto Latini e Serena Balivo che misurano lo spazio recitando e tenendo in una mano al rovescio un calice vuoto,perché non c’è niente da brindare. “Danzando con il mostro” è il segno del fallimento e dell’impotenza che stravolge l’uomo e l’attore. Mariano Dammacco esce dal suo rifugio e viene nella ribalta. Con il suo ampio camicione e la maschera di Pulcinella in mano pare evocare il grande Leo De Berardinis in “Avita murì” messo in scena nel lontano 1978 con la straordinaria Perla Peragallo. Certo, altri tempi e altro teatro e tempra, naturalmente. Ma il senso di desolazione, smarrimento e quelli di impotenza dell’attore possono essere comuni. Quaranta anni dopo difficile trovare motivi forti per esaltare la vita. Sul settimanale “Panorama” il critico Franco Quadri scrisse di Leo e Perla che erano “approdati forse in un’isola abbandonata, ai confini del mondo, sull’ultima spiaggia: scena nuda, un tragitto trasversale di neon tombali, due capestri lignei con delle lampadine lunari sospese. Questo luogo deserto non è che il vero territorio del teatro, dove due geniali portatori di illusioni sopravvissuti cercano delle parole che non trovano più, si confrontano con un discorso ormai inutile”.

Mariano Dammacco attore. fragile e amaro chiosa così in barese. “E po’ mi si fatt na carezz sop alla frond, mi si sistemat l capidd accom fe tu e semp ch chedda stessa man mi si fatt nalda carezz, m’bacc, sop alla guance, e chedd iev l ultma carezza. Po’ si fatt ma risat dolg dolg dolg è mi si ditt A QUESTO PUNTO RESTA SOLO UN MINUTO e mi si addmannat ALLORA? e ji t so acchiamndat come p disc c ccos je cha sta ddisc e tu mi si ditt ALLORA, SEI DI BUON UMORE?

I calici si riempiono di vino che gli attori, dopo aver bevuto, spruzzano all’aria e tra di loro. Le bollicine in controluce sono quasi un segno di liberazione.

Mariano Dammacco autore di “Danzando con il mostro” ripresonella scena dello spettacolo con il camiciole e la maschera di Pulcinella (Foto di Luca Del Pia)

 

“Danzando con il mostro” sarà di scena il 19 gennaio al Teatro Mario Spina di Castiglion Fiorentino. Il 21 e 22 gennaio al Teatro Area Nord di Napoli.

Attore, autore e regista, Premio della Critica Anct 2020 e vicedirettore e coordinatore della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino dal 2021, Leonardo Lidi si avvicina a uno scrittore a lui caro, Anton Čechov, insieme a un gruppo di tredici attori. Prodotto da Teatro Stabile dell’Umbria, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, in collaborazione con Spoleto Festival dei Due Mondi, “Il gabbiano”va in scena al Teatro Storchi di Modena dall’8 all’11 dicembre (giovedì e venerdì ore 20.30, sabato 19 e domenica 16), e segna la prima tappa di un progetto triennale composto da “Zio Vanja” e “Il giardino dei ciliegi”. In scena: Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Ilaria Falini, Christian La Rosa, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Orietta Notari, Tino Rossi, Massimiliano Speziani, Giuliana Vigogna.

TAG: Arvo Part, bologna, Claudio Magris, Franco Quadri, Henrik Ibsen, Leo de Berardinis, Lisa Gerard, Mariano Dammacco, Max Richter, Perla Peragallo, Roberto Latini, Serena Balivo
CAT: Teatro

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