Teatro, a “Trasparenze” Ulisse abita l’Utopia
Il Teatro dei Venti ha issato in queste ore le vele, sciolto gli ormeggi prendendo il largo sul battello di Trasparenze, rassegna unica nel suo genere che si svolgerà tra le carceri e il borgo di Gombola sull’appennino modenese con una edizione giunta al suo nono appuntamento. Edizione particolarmente combattuta dove i teatranti modenesi sono arrivati in modo sofferto dopo lo stop imposto dalla pandemia che ha reso tutto più difficile. A cominciare dal lavoro dentro le carceri, una priorità per questa compagnia, una delle più attive sul terreno nazionale. Ma anche un doloroso arresto per le tournèe programmate dello spettacolo “Moby Dick” potente allestimento en plein air, la cui realizzazione ha costato sacrifici e tantissime ore di lavoro. Ultimo ostacolo l’incertezza. Quella di non sapere come comportarsi con i tempi dettati dall’avanzata del virus che ha fatto archiviare iniziative e, soprattuto, saltare il periodo abituale di Trasparenze , che da festival capofila alla fine di maggio si è ora trovato ad occupare questo segmento tra ultima settimana di luglio e prima di agosto. Un’edizione che comunque sarà importante sia per la qualità dei progetti in cantiere _ a cominciare dalla nuova fatica produttiva dell’”Odissea” _ alle caratteristiche degli artisti che fanno parte del palinsesto. In tutto saranno dodici giornate di eventi, una trentina tra artisti e compagnie accanto ad altre iniziative collaterali alla rassegna, Così Stefano Tè, regista del Teatro dei Venti e direttore artistico del festival presenta il nuovo appuntamento.
“L’edizione di quest’anno, la nona _ racconta Tè _ ha per titolo “Abitare Utopie”, che rimanda alla cura quotidiana dei luoghi e delle relazioni, al mantenimento di un presidio, che in quest’ultimo anno è stata la nostra pratica necessaria. Trasparenze è l’evento Manifesto di questa pratica, il momento in cui la comunità si allarga e accoglie, mettendo in connessione luoghi diversi e diverse sensibilità. È un Festival costruito insieme ad Ater Fondazione, che ha sposato il nostro progetto a Gombola, consentendoci di invitare artisti della scena nazionale – tra questi Ascanio Celestini, Oscar De Summa, Andrea Cosentino, Silvia Gribaudi, Cristina Donà, Silvio Castiglioni, Balletto Civile, Teatro Akropolis, Leviedelfool, Accademia Minima e tanti altri. Un festival costruito insieme al Coordinamento Teatro Carcere Emilia Romagna, che ha scelto Modena per una retrospettiva sull’attività negli istituti di pena della regione. Ma soprattutto è un festival immaginato insieme agli Abitanti Utopici, i cittadini che ci affiancano e cooperano nella cura dei luoghi e dei progetti. Dal 29 luglio avremo anche due finestre quotidiane con Cosmic Fringe Radio a cura di Francesco Chiantese, puntate speciali di “Pionieri dell’Invisibile”, la trasmissione che abbiamo curato a partire dallo scorso inverno. Insieme alla nostra comunità ci prendiamo il rischio di sperimentare accostamenti inediti, il contatto con il diverso, la cooperazione creativa. Perché il Teatro ha la funzione di creare un rituale con la comunità, di preparare un’attitudine alla trasformazione dei luoghi, un’attitudine a superare le soglie che ci separano dal diverso. Le Carceri così diventano parte del racconto e parte della Città, come nello spettacolo “Odissea”, che debutta nell’ambito del progetto europeo Freeway dopo due anni di lavorazione, Gombola diventa un teatro a cielo aperto per “Passione”, lo spettacolo collettivo creato insieme ai cittadini del luogo, e per tutti gli altri eventi che abiteranno quotidianamente il borgo. È un Festival che invitiamo a vivere da spettatori Residenti, con una presenza quotidiana, con un ritmo fuori dalla routine. Per sperimentare un teatro come luogo aperto, capace di lavorare sull’immaginario e di ricucire relazioni interrotte”.
Prerogativa del Teatro dei Venti sembra quello di navigare sempre in mare aperto. Dopo aver sondato nello spettacolo precedente, “Moby Dick”, i sentimenti e i tormenti di Achab, mettendone a nudo il suo cuore, il Teatro dei Venti si appresta a mettere in pista un’altra impresa. Momento centrale di “Trasparenze” sarà infatti l’allestimento di “Odissea” o dell’eterno ritorno: destinazione Itaca. O l’ignoto. Dove porta questo nuovo viaggio?
“Conduce sempre nello stesso luogo: l’”Odissea” è il racconto dell’umanità che si interroga sulla vita, sulle sue traversie e potrebbe esser letta anche come una perenne ricerca della felicità.Ognuno dei protagonisti del poema cerca di soddisfare la propria felicità solo che non sempre è possibile”.
Un viaggio, come è normale che sia, partito in mezzo a mille difficoltà a cominciare da quelle create dalla pandemia. Per voi che siete tra i più sensibili teatranti italiani impegnati sul fronte delle carceri, il muro di ostacoli è stato doppio. Puoi raccontare come vi siete organizzati per lavorare a distanza con i reclusi nelle case di pena?
“Dopo la brusca interruzione del febbraio del 2020 e la tragica rivolta dell’8 marzo (nel carcere di Modena ndr), la necessità primaria è stata quella di mantenere un contatto, di tenere un filo con persone che fino a poco prima frequentavamo quasi quotidianamente. Persone che da un giorno all’altro si sono trovate senza più uno spiraglio verso l’esterno. Così abbiamo scritto a tutti per far pervenire la nostra vicinanza, soprattutto alle persone che dal carcere di Modena erano state trasferite altrove, azzerando in alcuni casi una relazione stabilita in anni di lavoro. Subito dopo è scattata la necessità di continuare il percorso creativo superando il limite della separazione, così abbiamo iniziato a pianificare le prove da remoto, iniziate poi alla fine del mese di aprile 2020. Due pomeriggi in collegamento con il carcere di Castelfranco Emilia e due con quello di Modena. Adesso sembra un fatto normale, ma all’epoca ci sembrò un miracolo. Tornare a parlarci, poter lavorare di nuovo sullo spettacolo, sperimentare altre soluzioni, insieme, con mezzi limitati, ma sufficienti per comporre uno studio dell’opera.
In quei mesi di lavoro è stato prodotto “Odissea Web”, il film che abbiamo realizzato con Raffaele Manco, in collaborazione con Massimo Don e Vittorio Continelli. Frammenti dei video registrati nel corso delle prove da remoto, riprese realizzate in esterna, per iniziare a immaginare quella che sarebbe diventata l’idea dello spettacolo finale, il collegamento tra il dentro e il fuori, tra i luoghi della peregrinazione di Ulisse e Itaca, quello dell’origine e del ritorno. Vogliamo segnalare che le attività sono state rese possibili dalle donazioni di computer e materiale informatico, da parte di diversi cittadini, che hanno risposto a un appello del Teatro dei Venti. Siamo grati a tutte le persone che hanno voluto contribuire per sostenere quell’iniziativa. Dal mese di agosto del 2020 siamo tornati in carcere in presenza, prima con due giornate a settimana, poi con quattro, infine, a gennaio del 2021 con cinque giornate a settimana, avendo iniziato anche il percorso alla Sezione Femminile. Siamo entrati nell’istituto anche nei mesi della seconda ondata del Covid. Questo grazie a un severo protocollo di monitoraggio, con tamponi periodici per consentire l’ingresso in sicurezza. La necessità di non sospendere il lavoro trovando soluzioni creative per continuare le prove e così alimentare la ricerca ci ha condotto al progetto “Odissea Radio”, il radiodramma in 12 episodi che è andato in onda su Cosmic Fringe Radio, la webradio di Artisti in Piazza – Pennabilli Festival. Anche questo, frutto di una rete, di una collaborazione concreta, attenta e disponibile ad accompagnare il processo creativo. Enrico Partisani, direttore del festival e della radio, ha accolto subito il nostro progetto. È stato un grande lavoro di squadra, con Massimo Don, co-autore e voce narrante, con Danilo Faiulo al montaggio e alla parte tecnica, le voci delle detenute, dei detenuti e degli internati delle carceri di Modena e Castelfranco Emilia, a comporre un racconto corale. Un’altra tappa sulla rotta per Itaca. E nel corso della lavorazione è stato anche scritto un brano rap, da un attore del carcere di Castelfranco Emilia, sigla finale del progetto”.
“Odissea” è anche ricordare nei 700 anni di Dante, il viaggio verso la libertà, quella di coscienza e pensiero, prima di tutto. Uniti a quelli della ricerca e della conoscenza. “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza…”
“Essendo un classico, il classico dei classici direi, l’Odissea è uno di quei libri che andrebbe riletto in continuazione perché pone domande e offre risposte sempre nuove. Risposte e domande cambiano continuamente a seconda del lettore, del tempo, del momento della vita in cui ci si dedica alla lettura. L’Ulisse di Dante pone questioni diverse da quelle dei “Odissea” di Omero ma, al fondo del viaggio per entrambi c’è una ricerca. Ricerca della felicità che, dopo esser divenuti del mondo esperti, può offrire solo il ritorno a casa per i personaggi omerici; all’opposto, smania di conoscenza – che allontana dal luogo natìo – per l’Ulisse dantesco. Un eterno dilemma a cui ognuno risponde sempre e soltanto con la propria vita”.
Ogni tappa del lungo viaggio è un ingresso in una stanza diversa dell’avventura umana. Lo spirito di conquista, il tradimento, la morte, la voglia di possesso, l’amore…. Come tradurre tutto questo nella nostra contemporaneità?
“In questo lavoro la bussola resta il confronto con l’opera di Omero, lo sforzo di arrivare al personale passando per l’universale, lasciando fuori dalla sala la curiosità morbosa per le biografie individuali delle persone che incontriamo dentro il carcere. Ci misuriamo con le emozioni veicolate dai brani e dalle situazioni scelte nel corso di questi due anni di lavoro all’interno dell’ “Odissea”. Il rapporto con i Padri, le Madri, i Figli, la separazione forzata, la perdita irrimediabile. Cerchiamo di creare le condizioni per una relazione di intimità con l’opera e i suoi temi, provando a non restare schiacciati dal continuo riferimento al contemporaneo. Questo emerge però in maniera potente quando la nostra nave di Ulisse, che parte da Itaca e lì farà ritorno, attraversa gli spazi urbani: un paesaggio scandito dalle parole di Omero/Ulisse, di Laerte. Tutto il tragitto è parte integrante dello spettacolo. I nostri luoghi diventano quelli dell’opera. Il carcere diventa parte della città, approdo, temporaneo, o definitivo”.
A proposito dell’amore, nel bel filmato girato su “Odissea” il rapporto tra Odisseo e Penelope sfugge alla retorica dei buoni sentimenti. Cioè quella del marito sfortunato lontano da casa. Penelope qui appare non come donna remissiva bensì dotata di forza e statura imponente. Un segno della fine dell’istituzione familiare classica?
“No. L’Odissea non è soltanto il poema di Ulisse, è anche di Penelope. Noi offriamo una variante del mito, ci diamo una ulteriore possibilità poetica. La retorica dei buoni sentimenti appiccicata addosso a Penelope non rende giustizia al personaggio, già dall’età classica, del mito, ci sono versioni diverse da quella a cui siamo abituati contemplare. In ognuna, alla fine dell’epopea, Ulisse e Penelope si incontrano. Da parte nostra ci siamo presi la possibilità di immaginarli come fossero un uomo e una donna dei nostri giorni rifacendoci a una tendenza poetica e letteraria cominciata nel secolo scorso e ancora molto indagata”.
E’ solo passata una manciata di mesi eppure, sarà forse la pandemia, la distanza tra il “Moby Dick” e questo “Odissea” sembra ora notevole. Come vede questo Odisseo del 2021 la nostra società?
“Non lo so. Ogni società si rivolge a questa storia guardandola con occhi diversi. Una cosa però non cambia mai: Ulisse e Penelope, Telemaco, Circe e Calypso, Polifemo e tutti gli altri continuano a esercitare un grande fascino su chi si imbatte in loro. Credo che ognuno possa ritrovare in quelle vicende un frammento della propria esperienza, ognuno potrà rispecchiarsi, ritrovarsi, e non necessariamente piacersi nei molti Odisseo che raccontiamo”.
Al vostro lavoro di costruzione paziente e quotidiana all’interno delle case di pena corrisponde sempre una attiva e significativa presenza all’esterno. E’ sicuramente un metodo per non essere troppo coinvolti in un caso o nell’altro: un fatto necessario come lo è lo straniamento brechtiano prima di andare in scena?
“Siamo entranti in carcere quindici anni fa per un laboratorio di dieci incontri e quei dieci incontri non sono mai finiti. Abbiamo trovato in quel luogo un metro per misurare il nostro mestiere, per rendere palese una funzione. Creare spazi di relazione laddove è più difficile. Questa è per noi la funzione del Teatro. Creare ponti, senza sfuggire lo sforzo nel costruirli. Nel progetto “Abitare Utopie”, che tesse insieme la vocazione multipla del Teatro dei Venti, mettiamo in relazione luoghi diversi e distanti, il nostro quartiere, con la sua pluralità di voci e realtà, il carcere e il borgo di Gombola. Troviamo indispensabile questa contaminazione, fa parte della poetica del Teatro dei Venti e con i prossimi progetti vogliamo renderla ancora più palese e proficua”.
In cerca così di nuove dimensioni, e forse spinti dalla necessità di coltivare nuove radici, siete approdati a Gombola, piccolo borgo dell’Appennino. Che questo sia un fatto importante nella storia del Teatro dei Venti lo testimonia la crescente presenza di eventi organizzati in loco. Cosa diventerà nel futuro questa residenza?
“Diventerà un luogo a disposizione della comunità che accompagna il Teatro dei Venti, un laboratorio nel quale costruire insieme un’idea di relazione, cooperazione, trasmissione del sapere teatrale e dell’eredità culturale. Per una comunità fatta di artisti di diversa formazione, di studiosi, di cittadini, di Abitanti Utopici. Sarà un luogo a disposizione delle realtà del territorio. Magari oltre la nostra presenza fissa. Il punto di partenza è un progetto che mette in relazione spazi diversi, quali l’Ostello, l’antica Chiesa Parrocchiale di San Michele, luogo disponibile per la fruizione di spettacoli, workshop e incontri, e tutta la rete di sentieri riscoperti, che stiamo ripristinando, nominando e tracciando sulle mappe. Abbiamo necessità di uno spazio dedicato al pensiero, all’azione, alla sperimentazione e all’analisi di nuove traiettorie culturali, in ascolto. Una spinta dettata dalla necessità di tornare a prendersi cura dell’arte attraverso un indugiare contemplativo, legami necessari e accostamenti inediti”.
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