12 Gennaio 2015
«Insomma, io non sono il mio tumore. E neppure voi siete la vostra malattia». Sono le parole conclusive di Emma Bonino, accarezzate dalle lacrime, per raccontare il suo tumore al polmone su Radio Radicale. «A tutti coloro che affrontano in Italia o all’estero questa o altre situazioni, voglio dire che dobbiamo sforzarci di essere persone, di voler vivere liberi fino alla fine».
Ci si può dissociare dal proprio male, che non gradito e neppure invitato si presenta alla nostra porta, ci si può separare da lui, dal suo abbraccio, che nelle peggiori intenzioni vorrebbe essere definitivo? E non è invece illusoriamente salvifico quel nostro sentimento di identificazione con un compagno di strada così invadente, come se solo una battaglia universale, la piena sovrapposizione dei nostri bisogni con i suoi, il vivere al cento per cento delle nostre potenzialità intellettuali e fisiche quella nuova situazione, potessero rappresentare la soluzione a tutti i problemi? Dimenticando il resto, ponendo tutta l’attenzione di quelli che ci circondano solo sul centro della questione “nuova”, esaltandoci in quel testa a testa elettrizzante, spostando l’asticella sempre più in alto perché solo quella tensione ci farà vivere «bene e meglio» una condizione del tutto eccezionale. Insomma, dimenticando la vita.
È più di una tentazione, è un trascinamento inevitabile a cui crediamo di avere diritto solo perché siamo stati colpiti noi e non gli altri, lo consideriamo un risarcimento inevitabile e doveroso, sentendoci in credito col mondo intero e dal mondo intero ricevere, con pieni diritti, la massima considerazione. È un gorgo così affascinante e perverso che sfuggirne è operazione obiettivamente complicata e chissà quanto giusta. In quel momento, niente è più importante di noi stessi e farne virtù, di quell’egoismo sbocciato così clamorosamente, è operazione che ci sembra non solo lecita ma persino umanitaria, perché farebbe crescere di intensità tutti quelli che potranno godere di noi.
Emma va da un’altra parte. Ancora una volta la parte liberale. «Io non sono il mio tumore, e voi non siete la vostra malattia. Dobbiamo sforzarci di voler vivere liberi fino alla fine». È una dissociazione che ha qualcosa di scientifico, di potentemente scientifico, che separa i destini, sapendoli tremendamente uniti almeno per un tratto di strada. Per restare alla politica, così cara a Emma Bonino («non ci si dimette da una passione politica»), si potrebbero ricordare le “convergenze parallele”, questioni assolutamente legate ma che – questo è l’augurio più profondo e sincero – non si incontreranno mai. La vita e la malattia, perché una, la seconda, non debba sopraffare la prima, consentendoci di godere delle cose piccole e ugualmente di quelle grandi, del sorriso di una vecchia signora, di un film di Clint Eastwood, degli spaghetti al pomodoro quando sono buoni (e quanto sono buoni), di un amico che sa di te ma al quale sembra perfettamente normale parlarti per mezz’ora di quel gran genio di Totti.
Neanche noi siamo la nostra malattia, Emma.
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