Quei 3 miliardi di Btp che Mps dichiara in bilancio ma non ci sono

30 Aprile 2015

Tre miliardi di euro investiti in Btp non sono un bazzecola. Nemmeno per una grande banca. Figurarsi se la banca è Monte dei Paschi di Siena, che di miliardi nell’ultimo bilancio ne ha persi 5,3. E proprio nel bilancio approvato dall’assemblea degli azionisti lo scorso 16 aprile, vengono dichiarati 3,05 miliardi di euro nominali di Buoni del Tesoro trentennali. Sono i Btp 14 agosto 2034 attorno ai quali nel 2009 è stata costruita l’operazione Alexandria/Nomura: un complesso di transazioni che dissimulava la vendita sottocosto alla banca d’affari Nomura di un’assicurazione contro il fallimento dell’Italia, presentandolo come una serie di investimenti strategici, mentre in cambio Nomura si si accollava le perdite che Mps aveva accumulato su un altro impiego finito male (le notes Alexandria). Ma i risultati delle indagini della Procura di Milano vanno molto più in là (v. Avviso di conclusione indagini ITA/ENG).

Semplicemente, dicono, nel portafoglio titoli di Banca Montepaschi quei 3,05 miliardi di Btp non ci sono. Né ci sono mai stati. Lo scambio del Btp trentennale «sarebbe invece avvenuto solo fittiziamente, senza determinare giacenze nel portafoglio di titoli di Mps», hanno scritto i tre pm Giordano Baggio, Stefano Civardi e Mauro Clerici, che la scorsa settimana hanno chiesto il rinvio a giudizio per Giuseppe Mussari (ex presidente di Mps), Antonio Vigni (ex direttore generale) e Gianluca Baldassarri (ex capo area finanza),  per Sayeed Sadeq e Raffaele Ricci, due dirigenti della banca d’affari Nomura di Londra – tutti accusati di aggiotaggio e falso in bilancio – e per le stesse banche, responsabili delle condotte dei propri esponenti dal punto di vista amministrativo.

 

La struttura dell’operazione Alexandria/Nomura

Sottoscritta il 29 luglio 2009, l’operazione Alexandria/Nomura prevedeva, da un lato, che Nomura avrebbe ristrutturato i titoli Alexandria, detenuti da Mps, accollandosene le perdite (220 milioni) e, dall’altro, che questa perdita sarebbe stata poi ribaltata su Mps più 88 milioni di commissioni (per un totale di 308 milioni, che è l’ammontare delle perdita occultate secondo i pm). Composta da una serie di contratti a pronti e a termine, l’operazione bilaterale era strutturata così: acquisto da parte di Mps di 3,05 miliardi nominali di Btp 2034 con cedola del 5%; derivato su tassi per lo stesso importo nazionale, con cui Mps paga la cedola del Btp a Nomura e riceve un tasso variabile (Euribor 3 mesi più 98,3 punti base); un pronti contro termine a lunga scadenza (14 agosto 2034, la stessa del Btp), il cosiddetto Long term Repo, sullo stesso ammontare di titoli: Mps vende cioè gli stessi Btp alla controparte e si impegna a riacquistarli alla data di rimborso del Btp (14 agosto 2034), incassando la cedola del 5% riconoscendo a Nomura un tasso variabile (Euribor 3 mesi più 59,15 punti base); una linea di credito di 3,05 miliardi concessa a Nomura, in cambio di una commissione pari a Euribor + 0,05% annuo, indipendente dall’utilizzo; l’impegno di Mps a comprare da Nomura  Btp 2034 o titoli equivalenti in caso di default dell’Italia; il versamento di garanzie collaterali. Le transazioni sulla carta si elidono l’un l’altra, con l’esclusione del premio annuale (0,44%) pagato da Nomura a Mps per l’assicurazione anti-default (Cds), e che secondo gli ispettori Bankitalia era inferiore a quelli di mercato.

 

I magistrati parlano di «fatto materiale non rispondente al vero» in relazione all’acquisto di Btp 2034 da Nomura per 3,05 miliardi nominali. Anche il finanziamento ricevuto in Repo e indicato nel passivo dello stato patrimoniale alla voce debiti verso banche sarebbe un altro «fatto materiale non rispondente al vero in quanto l’operazione di pronti contro termine sul Btp 2034 era del pari solo figurativa, e non esistevano debiti verso Nomura». Un primo indizio, del resto, lo si poteva già trovare negli atti del processo senese, concluso lo scorso ottobre. Nella nota tecnica depositata dai consulenti di Nomura, e firmata dal prof. Paolo Gualtieri, docente Economia degli intermediari finanziari all’Università Cattolica di Milano, si legge che «la sostanza economica dell’operazione è senza possibilità di contraddizione, la vendita di un derivato creditizio da Mps a Nomura. (…) Di conseguenza, come sa bene Mps, i Btp 2034 non sono mai stati effettivamente comprati e il loro regolamento è avvenuto per compensazione e quindi senza bisogno dei titoli e la relativa rilevazione contabile è solo la conseguenza della scelta di registrare l’operazione a saldi aperti (…)». Ovvero registrando separatamente le singole componenti virtuali del contratto.

È tuttavia curioso che la questione dell’esistenza dei titoli si ponga solo oggi. Dal 2010 in avanti, infatti, la Consob ha fatto accertamenti e Banca d’Italia due ispezioni. Il 9 marzo 2012 – due mesi dopo l’arrivo del nuovo direttore generale Fabrizio Viola, e poco prima dell’insediamento del presidente Alessandro Profumo – si chiudeva per esempio l’ispezione della Banca d’Italia: un momento a cui segue di norma la consegna del verbale con lettura di fronte a tutto il cda. Nel verbale ispettivo consegnato al nuovo cda guidato dalla coppia Profumo-Viola viene detto a chiare lettere che l’operazione sui Btp con Nomura «si sostanzia in un derivato sintetico» e che «lo schema dei flussi di cassa della complessiva struttura (acquisto Btp+Asw + Repo + Repo facility), replica quello di una posizione short in un “Cds sintetico”, in cui Mps vende protezione sul rischio Italia a Nomura su un nozionale di 3,05 miliardi, dietro corresponsione di un premio annuale pari a 44 punti base». Nello stesso verbale viene rilevato, ancora, che le errate valutazioni contabili (in particolare la mancata rilevazione del valore di mercato delle componenti del derivato sintetico) nascondono un vantaggio per Nomura, mentre la contestuale ristrutturazione dei titoli Alexandria ha comportato un vantaggio per Mps. Prima che succeda qualcosa, però, passano diversi mesi: bisognerà aspettare il 10 ottobre per arrivare all’incredibile ritrovamento di un contratto quadro (il mandate agreement) che collega esplicitamente le due operazioni, e fine gennaio 2013 prima che il mercato ne venga informato. Ce lo avevano nascosto, fu la spiegazione: dentro la cassaforte dell’ex direttore generale Vigni. La tesi dell’occultamento del contratto quadro, comunque, è stata accolta nel processo di primo grado che si è tenuto a Siena contro Mussari, Vigni e Baldassarri e Vigni, tutti condannati 3 anni e sei mesi di reclusione per stacolo alle funzioni delle autorità di vigilanza. Eppure nei 40 ordini di acquisto del Btp trasmessi da Mps a Nomura nel 2009 si faceva riferimento al mandate agreement: usando l’ordinaria diligenza, tanto la Consob e gli ispettori Bankitalia, che di quegli ordini fanno esplicita menzione nel loro verbale, quanto i nuovi vertici della banca senese avrebbero potuto chiederne copia a Nomura.

Ancora più sorprendente, comunque, è il dubbio sull’esistenza dei Btp nei conti di Montepaschi: se la Procura ha visto giusto, non si tratta più di capire se le singole operazioni nel loro insieme facciano un derivato, ma se le operazioni contabilizzate siano effettivamente state realizzate. Una questione di fatto, dunque, facilmente risolvibile verificando le giacenze presso la Monte Titoli, ossia il deposito centrale nazionale di tutti gli strumenti finanziari di diritto italiano: ci sono o no i 3,05 miliardi di Btp nominali? Possibile che a nessuno – fra cda e autorità di vigilanza – sia venuto in mente di fare le opportune verifiche? A suo tempo, era il gennaio 2013,  la Banca d’Italia si è chiamata fuori richiamando la competenza della Consob sulle questioni di bilancio. In compenso, con un provvedimento congiunto dell’8 marzo 2013, i due regolatori più l’Ivass (l’autorità di controllo delle assicurazioni), affrontavano la questione applicativa dei principi contabili internazionali (Ias) all’operazione Alexandria/Nomura, disciplinandola come caso generale, dando per scontato che nel caso specifico i Btp esistessero.

Le verifiche le ha fatte dunque la Procura milanese con le conclusioni che sappiamo, mentre Banca Montepaschi mostra tranquillità. A Siena sono convinti che la movimentazione dei titoli non sposti il baricentro economico della vicenda, visto che, da un lato, nella nota integrativa del bilancio viene data adeguata rappresentazione degli effetti dell’operazione, in linea con quanto chiesto nel documento congiunto delle tre autorità di vigilanza, e dall’altro i documenti sulla movimentazione dei titoli sono da molto tempo in mano alla Consob. Del resto, anche dopo che la Procura di Milano ha messo per iscritto che i 3,05 miliardi di Buoni del Tesoro 2034 non ci sono, nulla è accaduto sul fronte Consob, e anzi l’ultimo, come i precedenti bilanci approvati sotto la nuova gestione, continua a indicarli fra le attività. La questione, forse, andrebbe chiarita prima possibile, visto che da un lato la Bce ha chiesto che Mps ridimensioni l’esposizione verso Nomura e dall’altro la banca guidata da Profumo e Viola sta andando sul mercato a chiedere altri 3 miliardi di euro, dopo che – era solo un anno fa – ne sono stati raccolti 5.  Tanti quanti quelli persi nell’ultimo esercizio.

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DOCUMENTI:

Procura di Milano – Avviso conclusioni indagini Mps Alexandria/Nomura (ITA/ENG)

 

Nell’immagine di copertina, un attore di Circomare Teatro davanti alla storica sede di Mps,
 foto tratta dal profilo Flickr di Elena Gatti

TAG: Alessandro Profumo, Alexandria, Antonio Vigni, banca d'italia, consob, Fabrizio Viola, Gianluca Baldassari, giuseppe mussari, mandate agreement, mps, Nomura, Procura di Milano
CAT: Banche e Assicurazioni

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