Lo scandaloso Caprotti e la vulnerabilità della formula Esselunga

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5 Novembre 2014

A Bernardo Caprotti, fondatore e proprietario di Esselunga, piace scandalizzare.

All’inaugurazione del nuovo negozio Esselunga a Firenze, ha affermato che nel 2014 Esselunga potrebbe perdere il 30% del fatturato. Naturalmente è improbabile che Esselunga perda tanto. E’ una della catene che meglio attraversa la crisi generalizzata dei consumi alimentari. Da diversi anni i volumi di questo comparto sono in contrazione e da poco meno lo sono anche i fatturati, tenuti per un po’ a galla dall’inflazione e ormai asfissiati dalla deflazione che colpisce proprio i prodotti alimentari.

Il -30% perciò è una boutade di Bernardo Caprotti. Nel mondo degli affari dove anche i peggiori risultati sono comunicati tra mille distinguo, Bernardo Caprotti afferma la sua individualità, che si può permettere perché non ha più alcun ruolo operativo, perché la sua azienda costituisce un unicum nel panorama distributivo italiano e poi non ha azionisti a cui rendere conto.

Non ridurrei tutto ad una battuta, perché Bernardo Caprotti non è nuovo nel manifestare perplessità sulla tenuta di un certo modo di intendere la distribuzione alimentare. Diversi anni fa, quando lo tsunami prima finanziario e poi dei consumi era all’orizzonte ma intravisto da pochi, aveva detto che il primato di Esselunga, da tutti osannato, era meno saldo di quanto si pensasse.

Esselunga è l’unica azienda commerciale, fra le dieci più grandi, ad avere sostanzialmente un solo formato di vendita: il superstore, uno dei pochi canali a crescere anche in questa congiuntura. Una strategia che ha perseguito con rara pervicacia per la scena italiana.

I negozi che non rientrano nella categoria sono pochissimi, di quelli storici rimangono quelli che raggiungono risultati eccellenti. Il primo Esselunga nonché primo supermercato d’Italia, quello di Viale Regina Giovanna a Milano, è stato ceduto a Billa, nel cinquantenario della sua apertura. Per dire che l’attaccamento al passato non fa parte della cultura di Esselunga.

Tra le nuove aperture non è un superstore quello di Milano – Garibaldi, ma la location era troppo appetibile in termini di fatturato potenziale e immagine, per non fare uno strappo alla regola. Basta però visitarlo per notare che, a parte le dimensioni, è lo stesso format che trovate ovunque, indipendentemente dal quartiere o dalla città.

L’aver puntato sui superstore è una scelta che finora ne ha determinato il successo e le ha permesso di affrontare la crisi con ottime performance. Infatti è stata imitata da molti, sia da chi non ha mai creduto nell’integrazione del Non Alimentare sia da chi ha dovuto affrontare la crisi dell’ipermercato e ha ridotto la superficie, tagliando soprattutto l’Abbigliamento e l’Elettronica di consumo.

Rimane il fatto che questa strategia, proprio perché eseguita con estremo rigore, rende Esselunga estremamente fragile a cambi profondi dei comportamenti di acquisto che si stanno già delineando.

Finché le altre Aziende competevano sullo stesso terreno (formule commerciali pronte a soddisfare la stessa gamma di bisogni) e con armi simili (assortimento e prezzi), il successo non era né scontato né prevedibile ma possibile. Anzi la dimensione intermedia ha permesso ad Esselunga di essere percepita come un negozio relativamente accessibile, in termini di vicinanza e tempi di acquisto, che offriva sia marche in promozione sia una conveniente marca commerciale sia primi prezzi in tutte le categorie.

Oggi la nascita di formule trasversali rappresenta una minaccia a cui non è facile controbattere se si è scommesso tutto su una sola formula commerciale di grandi dimensioni e che difficilmente può essere riconvertita.

Una di queste formule sono i drugstore, specializzati nella profumeria e nei prodotti per la pulizia per la casa, categorie che hanno una frequenza d’acquisto diversa da quelle propriamente alimentari e che costituiscono un’importante fonte di margine per i negozi della GDO.

Un’altra formula è quella delle catene specializzate nei prodotti biologici, anche in questo caso, la vera minaccia non è data dal fatturato complessivo, ma dal fatto che tolgono quote di mercato di categorie ad alto margine.

E’ arduo prevedere che cosa farà Esselunga, tuttavia Bernardo Caprotti sa che per affrontare il futuro non bisogna perdere il gusto di scandalizzare.

 

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CAT: Grande distribuzione

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