Italicum e maggioritario all’inglese: gemelli (molto) diversi

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9 Maggio 2015

La nostra dipendenza dai Social Media sta generando alcuni effetti perversi. Uno dei più evidenti è che, per partecipare alle discussioni “del giorno”, occorre sintonizzarsi sui trending topic, sulle “tendenze” – come traduce Twitter –, in pratica sugli argomenti che tirano, in rete. Ma per partecipare sempre e a tutte le discussioni occorre, di fatto, essere tuttologi. Lo sappiamo bene, ci capita tutti i giorni. Ieri eravamo tutti elettoralisti ed esperti del modello Westminster, qualche giorno fa dell’Italicum, ancor prima di politiche di immigrazione e di asilo, e così via. I media decidono l’agenda e noi “consumatori” dobbiamo partecipare all’arena quotidiana. Inevitabilmente. Chi non lo fa è fuori, non è percepito. Dunque, non esiste.

Ieri dunque eravamo tutti “sul pezzo”. Con gli occhi puntati sulla General Election nel Regno Unito, con tanto di hashtag #GE2015. Ma siccome avevamo in testa ancora il frame fresco fresco dell’Italicum, non abbiamo resistito e abbiamo commentato i risultati comparando il sistema maggioritario britannico alla nostra creatura da laboratorio appena approvata in Parlamento, per finire, come sempre, a fare il tifo (“all’italiana”) per o contro la nuova legge elettorale. E, oggi, in qualche modo c’è cascato anche Roberto D’Alimonte, che competente in materia lo è eccome, con un suo editoriale sul Sole 24 Ore.

Così abbiamo “scoperto” che il sistema del Regno Unito è disrappresentativo, cioè premia in termini di seggi i partiti più grandi e punisce i partiti minori, ad eccezione di quelli che hanno un elettorato concentrato su un determinato territorio (e pensare che è così da oltre un secolo… eppure ieri abbiamo avuto questa illuminazione!). E di conseguenza abbiamo anche stabilito che se si sovrarappresentano i partiti maggiori nel Regno Unito, allora perché non dovremmo farlo noi? W l’Italicum è stata la prevedibile conclusione degli ultras “italici”, appunto.

Ora, io non ho particolari pregiudiziali relative all’Italicum, se non che è, appunto, una riforma fatta in laboratorio, con il bilancino. Nata per tappare le falle aperte dalla sentenza della Consulta sul Porcellum e ritagliata su misura per le esigenze momentanee di Renzi (premio al primo partito), di Berlusconi (capilista bloccati e candidature multiple), di Alfano (soglia di sbarramento al 3% e candidature multiple) e così via. Ho una riserva soprattutto di metodo, insomma. Tuttavia pesante.

Ciò premesso, il problema è considerare l’Italicum come un fratello gemello – anche più virtuoso per alcuni – del Plurality system britannico. Ecco, questo proprio non mi convince. Vediamo perché.

In primo luogo, si dice: entrambi puntano al bipartitismo. Uno grazie ai collegi uninominali, l’altro grazie al premio di maggioranza al primo partito. Questo è il primo grande errore, a mio avviso. Se infatti il maggioritario a turno unico premia spesso in termini di seggi i primi due partiti (cioè attribuisce loro una percentuale di seggi superiore alla percentuale di voti nazionale), l’Italicum premierà solo il partito che vince. Cioè, il secondo partito prenderà una quota di seggi sempre e comunque inferiore alla quota di voti ottenuta.

Se a ciò aggiungiamo che la soglia di sbarramento molto bassa (del 3% dei voti nazionali) non aiuterà l’aggregazione tra forze politiche, il risultato è che probabilmente avremo un solo grande partito della nazione (cit.) e tanti partiti medio-piccoli non incentivati ad aggregarsi. E se anche lo facessero, sarebbe probabilmente in linea con quanto accadde negli anni del Mattarellum, ossia sotto forma di listoni unici, fittizi e pre-elettorali. Ricordate l’Unione di Prodi? Un simbolo, ma 14 partiti al suo interno… Al momento in ogni caso sembra poco verosimile anche questa ipotesi. Sempre in ottica di comparazione, comunque, questa esperienza non si verifica nel Regno Unito, dove tutti corrono da soli, senza “inventarsi” finti partiti unici prima delle elezioni.

Inoltre, si sostiene che la soglia del 40% per ottenere il premio, prevista dall’Italicum, sia una garanzia in più rispetto al sistema britannico che premia il primo partito anche con percentuali inferiori: nel 2005, ad esempio, i Laburisti hanno ottenuto il 55% dei seggi col 35% dei voti nazionali. Tuttavia questo scenario potrebbe replicarsi benissimo anche con l’Italicum, stando ai sondaggi attuali, sebbene grazie al premio ottenuto al ballottaggio. E potrebbe anche riverificarsi quanto accaduto nel 2013 (col Porcellum), ossia che il primo partito prenda anche meno del 30% al primo turno e poi vinca al ballottaggio, ottenendo il 55% dei seggi. O addirittura, che vinca il secondo partito, magari avendo ottenuto una percentuale ancora più bassa al primo turno. Tradotto: non ci facciamo ingannare dalle percentuali del ballottaggio. Quando la competizione è ridotta a due contendenti, uno dei due prende per forza più del 50%. È matematica, non consenso popolare. Il consenso reale per i partiti lo misuriamo al primo turno. Il secondo è un escamotage anti-Consulta.

C’è poi un problema a monte, metodologico. Quando si analizza una competizione maggioritaria in collegi uninominali occorre considerare che quella è una competizione a livello di collegio, non di voti nazionali. Cioè, la disproporzionalità è insita nel sistema e accettata dal sistema: io so che se vinco 100 a 99 in 10 collegi e perdo 100 a 110 in un altro, alla fine avrò vinto per 10 seggi a 1, con gli stessi voti del mio contendente (1100 pari). O, se preferite, so che se vinco 100 a 0 in un collegio e perdo 100 a 90 in 9 collegi, avrò perso per 9 seggi a 1, pur avendo preso complessivamente più voti del mio avversario. Dunque, ripeto, è una competizione a livello locale: nel Regno Unito il voto aggregato nazionale non conta per l’attribuzione di seggi e per stabilire “chi ha vinto”. Non a caso, Farage ieri si è dimesso dopo aver preso oltre il 12% dei voti a livello nazionale, ma 1 solo seggio. A fronte degli oltre 80 seggi che avrebbe preso con un sistema proporzionale con collegio unico nazionale.

Viceversa, la nostra è una competizione nazionale, cioè conta solo il voto nazionale per l’attribuzione dei seggi. Ed è esattamente quel voto che alteriamo sensibilmente col premio al partito.

Dunque, sono logiche diverse. In sistemi molto diversi. Se l’Italicum è il miglior compromesso sul tavolo – e tale probabilmente è – teniamocelo stretto, per carità. Ma non ci avventiamo in comparazioni ardite, cercando testimonial e brand ambassador in giro per il mondo al fine di legittimare la nostra preferenza.

Anche perché, se domani si votasse in Germania (con sistema misto ed esiti proporzionali), l’agenda dei media ci “costringerebbe”, da buoni tuttologi, a dire: “Eh, però in Germania non hanno il premio, vedi come sono democratici. Altro che l’Italicum…”. Oppure “Eh, ma in Germania la soglia di sbarramento è del 5%, ovvio che fanno fuori i partiti minori, non come l’Italicum”, e così via fino alla prossima prova di tuttologia applicata.

 

 

TAG: angelino alfano, cameron, elezioni, governo, Gran Bretagna, italia, italicum, Matteo Renzi, politica, porcellum, Regno Unito, silvio berlusconi, sistema elettorale
CAT: Legislazione, Partiti e politici

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