Noir e dintorni. Quando (quanto!) è bello potersi fidare

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23 Maggio 2017

Sono il classico lettore che ama spaziare fra la saggistica e la narrativa, fra i classici della letteratura e i romanzi di genere, fra Zachar Prilepin e il noir italiano. Sono il classico lettore che di ricerca, di lettura e scrittura ci vive, dunque ha molto da leggere – e pure da scrivere – e tendenzialmente preferisce non sprecare il suo tempo. Lettori come me hanno naturalmente in mente alcuni scrittori, alcuni editori ed alcune collane cui sanno di potersi affidare, e tendenzialmente vi concentrano i propri sforzi nella consapevolezza che comunque, come si usa dire, cadranno in piedi anche quando la sorte farà loro incrociare un libro di cui magari, alla fine, non potranno dire di essersi innamorati.
Credo mi sia successo qualcosa del genere – anche se non sono ancora nemmeno in grado di dire con esattezza quel che penso, nel complesso, di questo volume – con il libro Storia nera di un naso rosso di Alessandro Morbidelli. Questo “noir corale”, com’è stato definito, è uscito appunto nella bellissima collana Impronte di Todaro Editore, curata dalla compianta Tecla Dozio. Storia nera di un naso rosso – ammesso che a qualcuno interessi il mio parere, e certamente non ammesso che il mio giudizio conti qualcosa – è un libro di qualità che però mi ha fatto a tratti “annoiare”, o forse “arrabbiare”. Certamente è un libro claustrofobico, e non mi è riuscito di capire se la claustrofobia che la scrittura di Morbidelli mi ha provocato derivi dalla sua padronanza dei ferri del mestiere, cosa che ovviamente Morbidelli sa fare, o piuttosto da una stesura che forse avrebbe tratto beneficio da una densità minore, da una scrittura più ariosa e distesa, o ancora da un intreccio più articolato e meno schiacciato, appunto, su questa narrazione corale che però, a tratti, mi è suonata eccessiva; “sembra accadere tutto e fin troppo”, questo è quanto ho pensato leggendo Storia nera di un naso rosso.
“Le prime pagine non mi sono piaciute”, ho inoltre pensato mentre ancora leggevo, poi però ne ho divorate altre trenta e ho cambiato idea in modo brusco e deciso. Continuando la lettura, di nuovo, la narrazione mi ha restituito – direi troppo a lungo – la precedente e medesima sensazione di eccesso (eccesso di fatti, eccesso di coincidenze, eccesso di sovrapposizioni) che mi ha fatto percepire fin troppo la presenza degli schemi narrativi e degli obiettivi stilistici dello scrittore, impedendomi di cedere alla storia, all’intreccio, ché insomma il noir è anche questo e deve riuscire a distrarci e a farsi gustare. Non è solo questo, ci mancherebbe, ma è certo pure questo, e questo questo – scusate se mi diverto anch’io con le parole – non è né un male né un peccato mortale.
Morbidelli mi pare si allontani decisamente da tutti i più classici stereotipi del noir italiano, ciò che è positivo, per certi versi; solo che per strada si perde al contempo quella complessità di tematiche cui spesso i nostri noir migliori ci hanno abituati, con la presenza di temi e questioni più ampiamente sociali, o politiche, o anche almeno generazionali che qui invece restano sottotraccia, oppure del tutto assenti. Quelle che invece emergono con più forza sono appunto queste individualità complesse, complessate e ferocemente combattute dei personaggi, e non la caratterizzazione profonda dell’eroe – o dell’antieroe – che ritroviamo tradizionalmente nel noir (in questo senso si tratta appunto e sicuramente di un “noir corale”). Vite dilaniate dalle quali Morbidelli non ci risparmia, anzi l’autore sembra godere di questo suo abbandonarci nelle fauci di questi personaggi che paiono tutti esseri spregevoli, per un motivo o per l’altro: non c’è salvezza, nella Storia nera di un naso rosso. Non ci sono personaggi soltanto positivi e dunque stereotipati, ma certo è che questi di Morbidelli appaiono però stereotipati al contrario: il migliore ha la scabbia, direbbero forse alcuni dei ragazzini protagonisti di questo volume. Questo giudizio sui personaggi, me ne rendo conto, è discutibile. Gli abissi che essi ci mostrano interrogano in profondità i valori di ognuno, le nostre più intime convinzioni. Solo un bravo autore sa raggiungere questo obiettivo. Morbidelli – mi ripeto – ci riesce. Si allontana dunque dal noir anche nel senso che sembra porsi un obiettivo più personale, forse addirittura in primo luogo civile (mentre il noir, più spesso, lo fa in modo meno aspro e visibile). Torno a dire: qui non si discute l’autore, al contrario. Ci si sofferma sul noir e su una personalissima – la mia – questione di gusto.
Insomma, io proprio non lo so, che cosa pensare di Storia nera di un naso rosso. Non so restituirvi un giudizio univoco su questo volume, e come vedete nemmeno un giudizio personale preciso. Quello che so dirvi, però, è quanto suggerivo all’inizio: avendo dei riferimenti precisi, delle case editrici di cui potersi fidare, delle collane riconosciute come di qualità, e di conseguenza appunto degli autori che autori realmente lo sono, si può stare tranquilli di pescare magari in libreria un libro di cui non ci innamoreremo (o forse sì ma a distanza di tempo) ma mai un libro che poi ci faccia pensare “ma cosa ho comprato?”, oppure “ma come si fa a pubblicare un libro così?”. Ecco: questi punti di riferimento e queste certezze sono indispensabili, e tutti noi lo sappiamo. Per me, lettore e (quasi) scrittore di noir, uno di questi punti di riferimento è la collana Impronte di Todaro Editore, che in questa occasione mi ha regalato un libro di qualità di cui però non mi sono innamorato (oppure forse, oppure non ancora).

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CAT: Letteratura

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