“Il Terzo Tempio” di Sarid, un viaggio senza ritorno verso la fine di Israele

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22 Maggio 2018

Dirompentemente visionario, un poco folle, se si vuole catastrofista, pur se la morale de “Il terzo Tempio” è dal baratro che credo ci voglia/vorrebbe salvare. Il libro di Ishai Sarid (Giuntina) è fantascienza, fantapolitica, fantaesegesibiblica. Esercizio a dir poco bizzarro per un serissimo ex pm telavivino, nel senso di pubblico ministero, passato poi alla professione privata, nonché figlio di un leader storico della sinistra, Yossi Sarid.

Qualcuno lo ha violentemente criticato, qualcuno osannato. Senza dubbio il suo è un romanzo distopico, spaventoso nel senso letterale del termine. Risultato? In poche settimane (nel 2015), in Israele, è balzato ai primi posti delle vendite e ha innescato polemiche furibonde. Anche perché usciva in libreria nel periodo in cui l’ultraortodosso oltranzista, ma soprattutto assassino, Yishai Schlissel pugnalò a morte la sedicenne Shira Banki che partecipava al Gay Pride; giorni in cui un padre e un bambino palestinese persero la vita in un rogo attribuito a ultrà del movimento dei coloni e i servizi segreti individuarono la cellula eversiva ebraica legata all’incendio doloso della Chiesa della Moltiplicazione a Tabgha (Tiberiade).

Così, vincitore nel 2016 del Premio Bernstein, “Il terzo Tempio” è una critica feroce delle frange minoritarie che propongono la ricostruzione del culto del Tempio di Gerusalemme. Quello di Ishai Sarid è un appello ai connazionali affinché isolino l’oltranzismo religioso. Un richiamo scritto con stile letterario che colpisce e affascina, una sorta di forma moderna dell’antico linguaggio alla Yosef Ben Mattityahu, ai più noto come Giuseppe Flavio. La trama è – si fa per dire – presto detta. In un futuro non troppo lontano la società israeliana viene ricostruita dopo un attacco atomico degli amaleciti, nemici sia mediorientali sia, par di capire, “mondiali”, che polverizza le metropoli della fascia costiera. Ovviamente Gerusalemme reagisce, ma non solo. La vicenda infatti si dipana tra i mesi ebraici di Av e di Tishri del 23esimo anno del Regno di Giudea. Il 23esimo anno del Regno di Giudea? Esatto. Poiché dopo la disfatta e la distruzione della fascia costiera prevalentemente laica, Yehoaz, ufficiale dell’esercito carismatico e coraggioso, si sente unto dal Signore, chiamato a una missione storica: marciare su Yerushalaim, proclamarsi Re di Giudea, radere al suolo la Spianata delle Moschee e – scavando nelle viscere della terra – scoprire l’Arca Santa con le Tavole della Legge. Così accade, e immediatamente inizia l’avverarsi della profezia, la ricostruzione del Tempio, il terzo dopo quelli distrutti nella notte dei tempi prima dai persiani e poi dai romani. Yehoaz diviene quindi Re e Sommo Sacerdote.

Nel Paese delle startup, tecnologicamente avanzatissimo e potenza nucleare, rivivono i fasti sacerdotali dell’epoca bibilica e i sacrifici rituali, sotto la meticolosa supervisione dei principi Yoel e Yeonathan. (Anni fa, conobbi un gruppetto di haredìm che lavorava al progetto, raccoglieva fondi, preparava gli utensili, in particolare le trombe d’oro, si addestrava al sacrificio degli animali. NdR).

A narrare questa storia è il giovane Yehonatan. Scrive degli ultimi giorni del regno di Giuda, angosciato non tanto per la propria prigionia quanto per l’urgenza di dovere testimoniare perché unico sopravvissuto alla distruzione. Yehonatan, personaggio emblematico di una vita dolorosa plasmata da una complessità passiva e sofferente, è ora in attesa della esecuzione di condanna a morte. Molti i co-protagonisti. C’è il rabbino Zruyà che odia gli arabi e i non ebrei in quanto tali. C’è la Regina, ripudiata per una giovane bellissima che darà un nuovo erede al Re. Regina che ricorda con nostalgia la Tel Aviv della gioventù: «Un tempo avevamo Tel Aviv a contrastare la sacralità di Gerusalemme. Tuo padre la odiava, ne disprezzava l’arroganza, la dissolutezza, la cupidigia. Io, invece, ero contenta che esistesse – sudata, convulsa, una città di essere umani. Dopo che è stata distrutta ci sono rimaste solo le colline. Brulle coriacee. Sulle colline c’è bisogno di un Dio, e di un Re». C’è Lakish, capo dei Guardiani della Fede. «“Mi dica, signor Lakish, c’è qualcuno in questa città a cui lei vuole bene?”. Lui indietreggiò, come colpito da un proiettile, la sua espressione sarcastica sparì in un momento. “Io servo Dio”, disse riprendendosi, “non gli esseri umani”. “E chi è il suo Dio?”, lo incalzai, pensando subito: ecco, gli ho dato nuovo materiale per il mio dossier. Lakish non rispose ma nelle sue pupille vidi riflesso il suo Dio, ed era lugubre, terrificante e brutto». Ci sono gli altri Principi, il popolo, i sacerdoti. C’è l’ologramma di Yitzchak Rabin che una sera appare in cielo, proprio sopra il Tempio. E poi c’è un Angelo – l’Angelo – buono? cattivo?, chi lo sa, forse entrambe le cose. L’Angelo che, fattosi uomo, viene interrogato e torturato in cella con Yehoaz. «“Questa sera Yitzchak Rabin, il traditore, è apparso sopra il Tempio” disse Lakish ad alta voce rivolgendosi all’angelo, controllando i cavetti collegati al suo corpo e stringendogli dolorosamente i lacci ai polsi e alle caviglie. “Com’è successo? Chi è il responsabile?”. L’angelo schiuse le labbra gonfie, scoprì denti rotti e macchiati di sangue e mormorò: “Non lo so, cercate nelle vostre anime… Quell’uomo, Rabin, non lo conosco, non interessava a Dio”».

Se è impossibile imprigionare Dio tra le mura di pietra di un Tempio, Ishai Sarid si e ci chiede come distinguere la voce di Dio da quella di un demone.

TAG: Ishai Sarid
CAT: Letteratura

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