Com’è vivere con il disturbo ossessivo compulsivo, spiegato da chi l’ha avuto

10 Dicembre 2021

In questo articolo, dopo una breve introduzione in cui spiegheremo in cosa consiste il disturbo ossessivo compulsivo, riporteremo il testo della lettera che ci ha inviato x, un ragazzo che ha sofferto per tre anni e mezzo di DOC e ora è guarito, a proposito della sua esperienza.

COS’È IL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO

Il DOC, disturbo ossessivo compulsivo, si caratterizza per la ricorrenza nel soggetto di pensieri ossessivi, vere e proprie manie. Questi producono ansia e disgusto che la persona cerca di neutralizzare adottando azioni rituali e ripetitive, come lavarsi, contare, controllare. L’ottanta per cento dei pazienti ha sia ossessioni sia compulsioni, mentre il restante venti per cento ha solo ossessioni o compulsioni. Il DOC colpisce il due, tre per cento della popolazione nell’arco della vita, spesso in giovane età. La maggior parte dei pazienti ha infatti meno di venticinque anni. L’oggetto delle ossessioni può variare: dalla perdita di controllo alla ruminazione ossessiva con e senza compulsioni, passando per la paura dei germi.

L’ESPERIENZA DI X

Riportiamo ora il testo della lettera che ci ha inviato x.

Mi chiamo x. In seguito a un evento traumatico dovuto all’accumularsi di un carico enorme di stress, ho sviluppato il DOC. In verità prima ho sperimentato altri disturbi di contorno, avvisaglie di ciò che sarebbe avvenuto: leggera depressione, depersonalizzazione e dismorfia. I DOC di cui ho sofferto sono classificabili come ossessioni pure, senza particolari compulsioni, se non raramente. Prima di parlarne nel dettaglio, vorrei precisare che chi è affetto da DOC non crede mai alle proprie ossessioni, sa che sono false, ciò che gli fa paura è il pensiero di poterci credere prima o poi. Il primo DOC a manifestarsi è stato quello di poter fare male ai miei genitori. Vedevo un coltello e pensavo di conficcarlo nella schiena di mia madre. Immaginavo maniacalmente gole sgozzate, omicidi, corpi fatti a pezzi. A questo punto si innescava il classico meccanismo del DOC: i pensieri ossessivi e intrusivi mi facevano pensare di essere un potenziale serial killer e ciò produceva ansia. In quel periodo ho iniziato a soffrire di frequenti attacchi di panico (la sensazione è quella di morire a causa di un infarto) durante la notte.

Dopo alcuni mesi il DOC ha preso corpo è si è evoluto in quello che potrei definire DOC filosofico. Dopo aver letto un fumetto intitolato Neurocomicon, in cui il protagonista riflette sulla natura della coscienza e sulla nozione del sé, ho sviluppato il seguente pensiero ossessivo: «io non posso pensare prima di pensare, quindi chi pensa prima di pensare?». Ciò mi ha portato alla conclusione che non siamo altro che marionette dirette da una parte del nostro cervello che ci “pensa” e controlla a nostra insaputa. Come la volontà di potenza di Schopenhauer. È stato sconcertante e terribile. Pensavo di aver scoperto una verità ultima. Non potevo scappare, perché nessuno può scappare dal proprio cervello. «Non siamo niente», pensavo, «non saremo mai liberi». Mi sono sentito come Bender in quella puntata di Futurama in cui capisce di non avere libero arbitrio. Questo pensiero mi ha causato una quantità d’ansia incalcolabile, come quella che si prova prima dell’esame di maturità moltiplicata migliaia di volte ogni secondo della mia giornata per un anno intero. Tutte le volte che mi veniva un’idea, pensavo: «non è venuta a me, è venuta al mio cervello». A un certo punto ho persino ipotizzato (e questo è un DOC classico) che i miei pensieri non fossero miei, ma di un’altra entità, malevola e oscura, uscita da un racconto di Lovecraft, che sogna le nostre vite in attesa del risveglio giù in profondità infinite.

Il terzo DOC è stato un DOC molto comune, quello pedofilo. Improvvisamente, mentre guardavo un bambino ho sentito una pulsione sessuale (che non è una vera pulsione sessuale, ma a te sembra, in una qualche maniera, di sì) e ho immaginato immagini confuse di un rapporto sessuale. La prima sensazione che si avverte è quella del disgusto, del ribrezzo. Si prova ripugnanza e si soffre immensamente. Ho pensato di essere diventato un mostro e di essere malato. Il quarto DOC è anch’esso molto diffuso, quello omosessuale, in tutto e per tutto sovrapponibile a quello pedofilo, cambiava solo l’oggetto dell’ossessione. Improvvisamente mi sono sentito attratto dal genere maschile e mi sono domandato se non fossi diventato gay. Pian piano la disperazione mi ha assalito. «Sono gay» pensavo, «è finita». Per sincerarmene allora cominciavo a cercare porno gay per vedere se mi eccitavo. Controllavo se avevo un’erezione colmo di terrore.

Il quinto e ultimo DOC è il più subdolo e peggiore di tutti: l’ossessione di essere controllato dal governo. Con questo DOC ho vissuto i momenti peggiori, perché si tratta di un timore non verificabile, ma nemmeno smentibile razionalmente. Si entra nel complottismo puro. Pur sapendo che si trattava solo di un’ossessione senza fondamento, guardavo fuori dalle finestre per vedere se qualcuno mi sorvegliava e diffidavo di tutti (a parte amici e familiari). La notte era il momento peggiore, perché le spie avrebbero potuto occultarsi ovunque. Dopo poco tempo, questo DOC si è evoluto in un altro ancora più atroce: il dubbio di essere controllato o addirittura rapito dagli alieni. Qui l’ansia e la paura hanno raggiunto picchi non esprimibili a parole. Si tratta di un panico puro, totale, assoluto, indescrivibile e opprimente, che ti bracca senza scampo in ogni istante della giornata. Siccome il doccato tenta sempre di capire se la sua ossessione ha un fondamento, scavavo nella mia memoria per cercare minuscoli episodi che potessero confermare i miei pensieri, e dato che la memoria è capricciosa e modellabile a nostro piacimento, immaginavo di trovarli.

A ogni piccolo oggetto fuori posto pensavo, o almeno, pensavo di pensare, fossero stati “loro”. Era come vivere nell’albo Terrore dall’infinito della serie Dylan Dog, o in Futuregasm dei Dsa Commando. Cercavo di razionalizzare, ma era inutile, perché il terrore primordiale è più forte della ragione (ma, fortunatamente, non della ragionevolezza, benché questo appaia chiaro solo dopo). Anche se riuscivo a conservare un barlume di sensatezza, vivevo in un mondo allucinato, in cui la mia mente vacillava sull’orlo della dissoluzione psichica. Pian piano, sprofondavo nell’abisso. I pensieri ossessivi si facevano liquidi e disorganizzati, pur conservando una loro intrinseca e solidissima coerenza delirante e teleologica che purtroppo è efficacissima nell’organizzare la realtà, a cui quindi ero tentato di credere (sebbene, e questa è la caratteristica dei doccati, non ci credessi mai). La realtà appariva minacciosa ed emanava increspature schizoidi e vibrazioni spaventevoli.

Sebbene materialmente apparisse sempre uguale, in un qualche modo indefinibile, la percepivo in maniera distorta, come attraverso un perverso filtro deformante. Un albero poteva sembrare mostruoso. Fortunatamente, non sono mai arrivato a soffrire di allucinazioni, ma il solo pensiero di poterle avere bastava per provocarmi spasmi psicotici di tenebra. Tutto diventava inquietante. Avevo paura dei lampioni perché mi ricordavano ufo fluttuanti e ascoltare Shock in my town di Battiato poteva essere pericoloso. In quel periodo, sperimentando quotidianamente il martirio della diffidenza di me stesso, ho pensato seriamente di uccidermi per porre fine al carico insopportabile di strazio che dovevo sopportare. In quelle condizioni, la prospettiva di pace che offriva la morte sembrava l’unica via di fuga.

Ovviamente, ho avuto anche problemi emotivi e fisici: non sentivo più nessuna emozione, la mia capacità sentimentale era mutilata e percepivo solo un enorme senso di mancanza. Ero nulla più che un involucro vuoto. Volevo piangere, ma non ci riuscivo. Il mio corpo non era più in grado di esprimere un qualunque moto interiore, nemmeno le lacrime. Per quel che riguarda la sfera fisica, il primo anno ho sofferto di lancinanti mal di testa e problemi intestinali. Nei momenti più intensi di ruminazione la vista cambiava, il campo visivo si restringeva ed era come se qualcuno premesse dietro i bulbi oculari. Per effetto dei farmaci, ero ingrassato di quasi venti chili, da ottantacinque a centotre (oggi, dopo otto mesi, peso ottantadue chili). Per un considerevole lasso di tempo la mia libido è stata scarsa e faticavo ad avere erezioni. Per un breve periodo, a causa di un effetto collaterale dei farmaci, la notte serravo automaticamente la bocca e digrignavo i denti a causa di spasmi involontari. Per dormire dovevo mordere il cuscino per bloccare la mandibola. Ero anche colto da episodi di agitazione motoria, che mi impedivano di fissarmi su un’azione per più di due minuti. La sera non riuscivo più a leggere o guardare film, andavo a letto alle ventuno perché non sapevo cosa altro fare, se non dormire.

 

COME RISOLVERE I DOC

Alcuni DOC, come quello di far male alle persone care, quello pedofilo, quello di essere controllato dal governo e quello degli alieni sono svaniti da soli. Quello omosessuale è sparito quando ho capito che diventare omosessuale all’improvviso capita solo nei film, non può accadere nella realtà. Non ci si risveglia di colpo una mattina e ci si ritrova gay. Se lo si è, lo si è fin dall’infanzia, e non era il mio caso. Quello filosofico invece ho dovuto risolverlo, smontarlo, trascenderlo. Ho capito che il DOC cercava di dirmi qualcosa e a un certo punto ho capito che cosa. C’è effettivamente una parte di noi che ci “dirige” e su cui non possiamo avere controllo (non che ci comanda, ma ci guida). Questa è l’anima del mondo. O meglio la parte di noi connessa a quel movimento sfuggente e universale, concreto e immateriale che potremmo intendere come “anima del mondo”. Chiamatela Dio, Manitù, Grande Spirito, Amore. Come vi pare. Come dice la fisica quantistica, le cose non sono, ma accadono. Siamo una ragnatela di relazioni interconnesse. Per essere felici, basta allinearsi a questa armonia di legami, cioè vivere nel momento, con la mente svuotata. Questa specie di zen fatto in casa mi ha aiutato a comprendere che la serenità consiste nell’abbandonarsi alla componente di noi congiunta col tutto, perché, anche se non ce lo ricordiamo più, ne siamo sempre stati parte. Esperita fisicamente questa intuizione, ho iniziato a provare una grande calma, un intenso benessere. Potevo finalmente sentirmi erba, fiore, cielo di nuovo.

Quella porzione di te che non puoi controllare è lì per dimostrarti che il controllo è solo un’illusione pericolosa. “Così nel piccolo, così nel grande; così dentro, così fuori; così in cielo, così in terra” dicevano gli alchimisti, avevano ragione. Come non possiamo dominare noi stessi nel piccolo, così non possiamo dominare il mondo nel grande. Non prenderne atto significa andare incontro alla rovina. Alla fine sono sopravvissuto e, sebbene al prezzo di estreme sofferenze, sono riuscito a trovare un equilibrio interiore che ha disinnescato i DOC . Certo, non ho fatto tutto da solo, molti piccoli gesti e molte persone mi hanno aiutato: cucinare, ascoltare musica, fumare un sigaro, bere vino, uscire per una birra con gli amici. Soprattutto è stato fondamentale scrivere poesie e la terapia, le uniche vere ancore di salvezza nei momenti più bui.

Quindi, al di là di tutte le teorizzazioni e i farmaci, come si risolvono i DOC? In parole povere, ma questa è solo la mia opinione personale, bisogna rimuovere (o meglio sciogliere) l’originaria fonte d’ansia e riallinearsi a sé stessi. Non bisogna rigettarla, bensì riassorbirla e diluirla in noi. Il DOC nasce dalle distonie del sé, da un evento traumatico scatenante che ci ha distolto da quello che siamo veramente o ha negato una parte di noi (almeno per me è stato così). Il DOC è quella parte profonda del nostro essere a cui abbiamo fatto un torto, che si è persa dissociandosi dal nostro “io” e tenta di ritrovarci andando a tentoni, imboccando strade terrificanti e sbagliate, che sono altrettante versioni distorte di noi stessi, finché non trova quella giusta di nuovo. All’inizio non la riconosciamo perché questa assume la forma delle nostre paure, la proiezione mentale esterna di ciò che è opposto alla nostra natura, che ci sequestra e tiene in ostaggio.

È molto difficile, ma occorre familiarizzarci a essa e riaccoglierla in noi, perché la dissociazione è la causa primaria del disagio. A quel punto, di nuovo ricongiunta, scomparirà. Dopo la malattia ho capito che normalità e sofferenza psichica non sono separate e opposte, ma parti di uno stesso spettro continuo, di cui sono gli estremi, che si condensa e si rarefà. Si tratta sempre della stessa cosa in perenne divenire, che ricade perpetuamente in sé stessa. È un unico flusso mutevole e oscillante in cui siamo immersi, che dobbiamo imparare a navigare. Quando l’acqua stagna e non scorre più per periodi prolungati, quando cioè, non riusciamo più a esprimere le nostre pulsioni interiori, che in quanto tali sono sempre legati al movimento tensivo, e ci ritroviamo prigionieri di un congelamento del flusso, allora è tempo di allarmarsi.

Per chi si sta accorgendo di stare male; ponete immediatamente fine alla situazione tossica in cui vi trovate prima che questa degeneri e non abbiate paura di cominciare ad andare da uno psicologo. Prima lo fate, meglio è. Se non avete soldi, rivolgetevi ai CSM tramite il vostro medico di base. Sono gratuiti ed efficienti. Non smettete mai di svolgere quelle attività che vi fanno stare bene, anche se non ne traete più alcuna gioia. Non disabituate il vostro corpo al piacere. Uscite di casa e praticate sport, meglio se di squadra. Mi raccomando, non cercate mai (mai) informazioni su internet, a meno che non siano siti certificati gestiti da psicologi. Vi imbatterete solo in ulteriori deliri che possono essere estremamente dannosi. Per chi si trova a convivere con una persona che soffre di DOC, non chiedetegli come sta o perché sta male, non cercate di comprendere razionalmente la malattia, non potete. Stategli vicino e fategli capire che la amate e supportate. Svolgete piccole attività quotidiane insieme, costruite una ruotine materiale degli affetti che gli dia sicurezza. Usate le mani, cucinate e ascoltate tanta musica, che ha un taumaturgico potere rigenerante. Trattate quella persona come se stesse bene, non deresponsabilizzatela. Per chi soffre di DOC e sta leggendo, ricordate sempre, non diventerete pazzi, non siete pazzi, comunque non più dei suprematisti bianchi o di chi crede in Qanon. Siete solo malati, può succedere a tutti. Quindi continuate a vivere la vostra vita, riflettete, divertitevi, aspettate. Dovrete patire molto, ma presto a tardi guarirete.

Le nuvole non possono annientare il sole.

Qui si conclude la lettera di x.

TAG: DOC, manie, Musica, ossessioni, panico, pensieri, razionalità
CAT: Psicologia

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