L’export agroalimentare cresce del 9,3% ma il “dopo Covid” preoccupa
L’Organizzazione interprofessionale della carne bovina (Oicb) a cui aderiscono Assalzoo, Assograssi, Cia-Agricoltori italiani, Confagricoltura, Copagri, Fiesa Confesercenti e Uniceb ha chiesto nei giorni scorsi al governo italiano un piano di sostegno strutturale per rilanciare il settore delle carni bovine duramente colpito dall’emergenza coronavirus.
La chiusura del canale Horeca (quello che include l’industria alberghiera e tutte quelle attività che gravitano intorno a food, beverage e hospitality), nei mesi scorsi, con lo stop di tutte le attività di hotel, ristoranti, caffè, bar e mense, unita alle forti restrizioni imposte alla circolazione in ambito comunitario e al rallentamento delle attività di macellazione durante il lockdown, secondo l’Oicb hanno comportato pesanti ripercussioni nel settore del bovino da carne, determinando un crollo delle vendite di oltre il 30%. Il comparto più penalizzato è stato quello del vitello a carne bianca, destinato in prevalenza ai settori ristorazione e alberghiero.
Per questi motivi, le sette organizzazioni riunite in Oicb hanno accolto con favore le misure di sostegno al settore messe in campo dal Governo che ha riservato al settore 35 milioni di euro, anche se sottolineano la necessità di interventi di lungo periodo per uscire dall’emergenza. Secondo Oicb è necessario rimuovere il massimale di aiuto previsto dal Quadro temporaneo di aiuti della Commissione UE, pari a 100.000 euro per singola impresa agricola, al fine di non depotenziare l’efficacia della misura del premio alla macellazione.
Gli operatori riuniti in Oicb, come riporta Giorgio dell’Orefice sul Sole 24 ore oggi, chiedono di puntare sull’export, sulla promozione, e di favorire il dialogo con la grade distribuzione organizzata ma esprimono anche la necessità di un piano a lungo termine per rilanciare e valorizzare il settore carni bovine italiane. Il problema principale in questo momento, peraltro, sembra essere quello di gestire l’eccesso di offerta, come per altri competitor europei che sono alle prese con le giacenze da smaltire e la conseguente flessione dei prezzi.
Il fermo produttivo dovuto al lockdown di alcuni settori identificati come “non essenziali”, sebbene non abbia riguardato direttamente l’industria agro-alimentare, ha avuto comunque importanti ripercussioni sulla mobilità delle persone, che hanno trasferito parte dei loro consumi in ambito domestico, determinando una forte domanda da parte della grande distribuzione, (con un vero e proprio “effetto accaparramento”) mentre il canale della ristorazione, dell’hotellerie e del catering ha praticamente azzerato la propria operatività. Queste modifiche hanno riguardato non solo il mercato interno, ma anche gli altri paesi nostri partner commerciali, con impatti sul commercio globale.
Guardando ai distretti agroalimentari analizzati dal Centro Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo scopriamo che le filiere della carne e dei salumi hanno realizzato una crescita del 10,1 percento beneficiando perlomeno dell’incremento dei consumi domestici. Se la filiera dei vini mantiene il primato delle esportazioni nei primi tre mesi del 2020, con oltre 1,3 miliardi di euro (+6,1% tendenziale), è la filiera della pasta e dei dolci quella che realizza il maggior contributo alla crescita del trimestre, arrivando a superare il miliardo di euro, con un incremento del 27,6% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Anche la filiera del riso (+12,3%) vanta però risultati lusinghieri. Se la cava bene la filiera delle conserve (+5%) e del lattiero-caseario (+4,6%); in positivo il bilancio anche per le filiere dell’olio (+3,6%) e per i distretti agricoli (+1,8%), che avevano entrambe chiuso in negativo il 2019. L’unica filiera in regresso è quella dei prodotti ittici, per le probabili minori richieste pervenute dal canale Horeca.
L’agro-alimentare italiano nel 2019 ha realizzato esportazioni per oltre 43 miliardi di euro, in incremento del 3,7% rispetto all’anno precedente. In questo quadro generale, i distretti agro-alimentari hanno fatto ancora meglio: con oltre 19 miliardi di euro di vendite all’estero nel 2019, il risultato tendenziale è del +4,4%.
Soltanto nel primo trimestre del 2020 i distretti agro-alimentari hanno realizzato in totale 5,1 miliardi di esportazioni, miglior trimestre invernale di sempre, corrispondente a un +9,3% rispetto allo stesso periodo del 2019 (+8,1% la crescita complessivo dell’agro-alimentare italiano), mentre i distretti non agro-alimentari arretrano di circa 10 punti percentuali.
I risultati vanno letti anche alla luce delle profonde modifiche intervenute nelle abitudini di consumo adottate nel mese di marzo, che ha rappresentato l’inizio delle misure di lockdown in Italia, poi progressivamente estese nel resto d’Europa, necessarie per limitare il diffondersi dell’epidemia di Covid-19.
Tutte le principali aree di destinazione delle esportazioni agro-alimentari distrettuali italiane mostrano tassi di crescita significativi nel primo trimestre 2020. La Germania, primo partner commerciale, è cresciuta dell’11,5%, soprattutto nel comparto dei prodotti agricoli, che pesano un terzo del totale. Anche gli Stati Uniti si fermano poco sotto la doppia cifra (+9%). Gli acquisti da parte degli Stati Uniti si concentrano soprattutto verso i vini (oltre il 50%), che crescono dell’8,1% come probabile effetto combinato di due fattori esogeni, rappresentati dal rischio di adozione di nuovi dazi (poi rientrato a febbraio) e dalla pandemia, fattori che hanno prima favorito e poi penalizzato la crescita delle nostre esportazioni di vino. In progresso di oltre il 20% le esportazioni verso la Francia; unica eccezione in questo panorama il Regno Unito, che cala del 3,8% tendenziale nel primo trimestre a seguito anche di un rischio “no deal” in tema Brexit. La questione interessa non solo le imprese italiane, per la rilevanza che il paese rappresenta per il nostro export, ma il Regno Unito stesso, lontano dall’auto-sufficienza alimentare.
Nel complesso, le esportazioni italiane dei distretti agro-alimentari si rivolgono ancora prevalentemente a paesi in economie mature (per oltre l’80%). Negli ultimi trimestri le economie emergenti avevano mostrato tassi di crescita superiori a quelle avanzate, ma la tendenza si è invertita nel primo trimestre del 2020, anche a causa delle maggiori richieste da parte del mercato europeo e per i problemi di trasporti sul lungo raggio causati dall’emergenza sanitaria.
Gli impatti maggiori che derivano dalla pandemia e dalla conseguente crisi economica anche sui distretti agro-alimentari si vedranno probabilmente analizzando i dati del trimestre successivo di quest’anno, e non in questo primo. Anche se le aspettative sul settore sono moderatamente positive, il report ci ricorda giustamente che l’agro-alimentare è tra i settori che ha dato maggior prova di resilienza nel periodo di emergenza, ma se da un lato ha visto le imprese lavorare anche nel periodo più duro del lockdown, dall’altro, non ha per questo evitato danni. Le ripercussioni che le imprese agro-alimentari hanno subito per la chiusura della ristorazione nazionale e internazionale sono state pesantissime. La fase di ripartenza presenta ancora parecchie incognite sulla piena ripresa dei flussi turistici (di cui l’enogastronomia rappresenta una motivazione di viaggio importante) anche per le ripercussioni derivanti dalle minori disponibilità reddituali degli individui. Inoltre, alcuni distretti maggiormente vocati al canale Horeca hanno risentito molto del calo degli ordini esteri e non tutte le aziende, soprattutto quelle di più piccole dimensioni o in ritardo sul fronte della digitalizzazione, hanno potuto adattarsi rapidamente a canali alternativi come l’e-commerce.
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