USURA E INTERESSI: La Cassazione Sez. Unite ridefinisce le modalità di calcolo

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28 Settembre 2020

USURA E INTERESSI MORATORI: LA CASSAZIONE A SEZIONI UNITE N. 19597/2020, DEL 18 SETTEMBRE 2020 TRASFORMA INDAGINI CONOSCITIVE A FINI STATISTICI IN RILEVAZIONI TRIMESTRALI

Osservazioni critiche alla decisione a Sezioni Unite di Avv Monica Mandico – Founder di Mandico&Partners

Prima di affrontare nel merito i punti della recentissima sentenza della Cassazione, occorre fare un passo indietro e comprendere i motivi che spinsero a rimettere la questione degli interessi di mora alle Sezioni Unite.

A pochi giorni di distanza dal deposito della pronuncia con cui la III Sezione Civile della Cassazione aveva affermato che “nei rapporti bancari, anche gli interessi convenzionali di mora, al pari di quelli corrispettivi, sono soggetti all’applicazione della normativa antiusura” (Cass. Civ., sez. III, n. 26286 del 15.01.2019, dep. 17.10.2019, la I Sezione civile della Suprema Corte ritornava sulla questione con un’ordinanza interlocutoria (ord. n. 26946 del 27.06.2019, dep. 22.10.2019) con la quale – preso atto dei contrasti giurisprudenziali emersi nella giurisprudenza tanto di merito quanto di legittimità – rimetteva gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite civili.

Con la predetta ordinanza interlocutoria n. 26946 del 22 ottobre 2019, la Prima Sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, rimetteva al Primo Presidente, ai fini dell’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione relativa assoggettamento degli interessi di mora alla disciplina antiusura e, sopratutto,  l’applicazione dalla maggiorazione di  2,1 punti percentuali nel calcolo del TEGM in riferimento al tasso di mora. Più precisamente nella predetta ordinanza si legge: “se alla stregua del tenore letterale degli artt. 644 c.p. e 2 coma 1 della legge n. 108/1996, nonché dalle indicazioni emergenti dai lavori preparatori di quest’ultima legge,[…] il principio di simmetria consenta […] di escludere l’assoggettamento degli interessi di mora alla disciplina antiusura, in quanto non costituenti oggetto di rilevazione ai fini della determinazione del TEGM; e se, in caso contrario, ai fini della verifica in ordine al carattere usurario degli interessi, sia sufficiente la comparazione con il tasso soglia determinato in base alla rilevazione del TEGM di cui al comma primo citato art. 2 cit., o se, viceversa, la mera rilevazione del relativo tasso medio […] imponga di verificarne l’avvenuto superamento nel caso concreto e con quali modalità debba aver luogo tale riscontro”.

Sospendendo, in questa sede, l’approfondimento della prima questione posta al vaglio delle Sezioni Unite, anche perché sul punto i giudici di legittimità non hanno mai dubitato dell’applicabilità del “tasso soglia” anche agli interessi di mora (Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 15-01-2019) 17-10-2019, n. 26286; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5598 del 06/03/2017; Sez. 3, Sentenza n. 9532 del 22/04/2010; Sez. 3, Sentenza n. 5324 del 04/04/2003; Sez. 1, Sentenza n. 5286 del 22/04/2000;), ci si vuole soffermare sulla seconda ed in particolare sul contrasto giurisprudenziale riguardante l’aumento del TEGM al fini del calcolo dell’usurarietà degli interessi di mora.

Sul punto si sono succedute due diverse pronunce dal contenuto opposto.

Invero la Cass. Del 30/10/2018 n. 27422 ha enunciato il seguente principio di diritto: “il riscontro dell’usurarietà degli interessi convenzionali moratori va compiuto confrontando puramente e semplicemente il saggio degli interessi pattuito nel contratto col tasso soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento: è infatti impossibile, in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi dell’art. 2 I. 108/96, ma in base ad un fantomatico tasso talora definito nella prassi di “mora-soglia”, ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia ”.

Dunque, la Suprema Corte, per la citata decisione, ai fini del tasso soglia deve considerarsi esclusivamente il TEGM pubblicato nei Decreti Ministeriali pro tempore vigenti, incrementato degli ordinari coefficienti, senza fare luogo ad alcuna maggiorazione. Ciò ancorché un’indagine statistica a fini conoscitivi  condotta dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio Italiano Cambi, nel lontano 2002, abbia rilevato  che, con riferimento al complesso delle operazioni (non con riguardo ad  operazioni omogenee) facenti capo al campione di intermediari considerato (quali e quanti intermediari non è dato sapere), la maggiorazione stabilita  contrattualmente (quindi non la maggiorazione “praticata” come richiede l’art. 2 della L. 108/1996) per i casi di ritardato pagamento  è mediamente pari a 2,1 punti percentuali .

In data 17/10/2019 la stessa sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 26286, sul punto oggetto di approfondimento,  affermava il seguente principio di diritto “ Non è di ostacolo  (all’applicazione del  principio per cui  gli interessi convenzionali di mora, al pari di quelli corrispettivi, sono soggetti all’applicazione della normativa antiusura, con la conseguenza che, laddove la loro misura oltrepassi il c.d. “tasso soglia” previsto dall’art. 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, si configura la cosiddetta usura c. d. “oggettiva” che determina la nullità della clausola ai sensi dell’art. 1815, secondo comma, cod. civ.”) la circostanza che le istruzioni della Banca d’Italia non prevedano l’inclusione degli interessi di mora nella rilevazione del T.E.G.M. (tasso effettivo globale medio), che costituisce la base sulla quale determinare il “tasso soglia”. Infatti, poiché la Banca d’Italia provvede comunque alla rilevazione della media dei tassi convenzionali di mora (solitamente costituiti da alcuni punti percentuali da aggiungere al tasso corrispettivo), è possibile individuare il “tasso soglia di mora” del semestre di riferimento, applicando a tale valore la maggiorazione prevista dall’art. 2, comma 4, della legge n. 108 del 1996. Tuttavia, resta fermo che, dovendosi procedere ad una valutazione unitaria del saggio di interessi concretamente applicato – senza poter più distinguere, una volta che il cliente è stato costituito in mora, la “parte” corrispettiva da quella moratoria -, al fine di stabilire la misura oltre la quale si configura l’usura oggettiva, il “tasso soglia di mora” deve essere sommato al “tasso soglia” ordinario (analogamente a quanto previsto dalla sentenza delle Sezioni unite n. 16303 del 2018, in tema di commissione di massimo scoperto)”.

A dirimere, forse, tali contrasti delle sezioni semplici è intervenuta la recentissima decisione della Corte di Cassazione, SS. UU. Civ., Pres. Mammone – Rel. Cirillo, con la sentenza n. 19597 del 18 settembre 2020, che ha espresso i seguenti principi: “La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso. La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perché “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto”. Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista. Si applica l’art. 1815, comma 2, cod. civ., onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l’art. 1224, comma 1, cod. civ., con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti.”

Tale sentenza evidenzia manifesti punti opachi che di seguito si evidenziano.

In primis (i) il frutto primario dell’usura è rappresentato dagli interessi di mora, in quanto evidenziano la parte più rilevante della disparità tra la parte forte e quella debole nella intermediazione dei prestiti di denaro.

Secondo (ii), il legislatore del 1996 ha introdotto un metodo di rilevazione dell’usura, creando una sistema per la misurazione matematica dell’usura fondata sulla rilevazione trimestrale, fondato esclusivamente sulla media dei tassi applicati dagli intermediari bancari – nei testi dei decreti ministeriali è riportato: Vista la rilevazione dei valori medi dei tassi effettivi globali segnalati dalle banche e dagli intermediari finanziari con riferimento al periodo 1° ottobre 2002 – 31 dicembre 2002 e tenuto conto della variazione del valore medio del tasso la cui misura sostituisce quella della cessata ragione normale dello sconto (tasso ufficiale di sconto) nel periodo successivo al trimestre di riferimento..”

Terzo aspetto (iii), il tasso di mora non è mai stato rilevato in forma trimestrale.

Quarta considerazione . Solo a far data dal 25 marzo 2003 è apparsa nei decreti ministeriali l’indicazione di una indagine statistica effettuata dalla Banca d’Italia, mai più rilevata ed effettuata nel tempo: “4. I tassi effettivi globali medi di cui all’articolo 1, comma 1, del presente decreto non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento. L’indagine statistica condotta a fini conoscitivi dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio italiano dei cambi ha rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali”

Quinto punto . E’ evidente che il sistema prevedeva la rilevazione trimestrale degli interessi nelle varie forme concesse come perno fondante per l’applicazione del precetto normativo.

Punto sei.  Il giudice ordinario di fronte ad una norma amministrativa secondaria, ai sensi dell’art. 4 e 5 dell’art. E della RD n. 2248/1865, ha un potere limitato di sindacare la norma, potendola disapplicare se contraria al precetto primario.

Giammai il Giudice ordinario può compiere una interpretazione additiva al fine di integrare lacune della norma amministrativa, creando una norma giuridica in caso di deficit genetico della stessa.

Pertanto, sul punto della maggiorazione di mora, i punti critici della Corte di Cassazione possono essere individuati nel fatto che gli ermellini hanno impartito una doppia regola:

a. calcolo moratori fino al 31.03.2003 = come da tabella A) dei decreti ministeriali senza alcun maggiorazione di mora (+2,1%).

b. calcolo moratori dopo il 31.03.2003 = come da tabella A) dei decreti ministeriali con maggiorazione (+2,1%).

Segnatamente si rileva che la Corte di Cassazione ha operato una interpretazione additiva della norma amministrativa, creando una norma giuridica che non esiste in quanto è indubitabile che la disciplina dell’usura si fonda su rilevazioni trimestrali e non su indagini a fini conoscitivi.

Sono due cose differenti (rilevazioni/indagini) delle quali non si può fare commistioni al fine del principio della simmetria e della omogeneità.

Privo di fondamento sarebbe paragonare la decisione sulle CMS con quella dell’usura. Infatti non è possibile invocare il principio della simmetria relativamente alla commissione di massimo scoperto in quanto tale dato è stato sempre rilevato trimestralmente in forma separata per cui la precedente decisione della Corte di Cassazione è pienamente condivisibile a differenza di quella degli interessi moratori in quanto mai rilevati trimestralmente.

Pertanto ci si augura che una attenta avvocatura solleciti i magistrati a disapplicare i decreti ministeriali limitatamente al precetto amministrativo relativo all’art. 4 (INDAGINI A FINI CONOSCITIVI) in quanto la norma è incostituzionale per manifesta violazione degli 3, 24, 47 e palesemente contraria in toto alla disciplina della legge 108/96, integralmente fondata su RILEVAZIONI TRIMESTRALI.

Inoltre va detto che l’art. 2 comma 4 della legge 108/96 prevede che il limite “…oltre il quale gli interessi sono sempre usurari è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale …” non nel tasso riveniente dalla maggiorazione da rilevarsi, in termini campionari, sulla base di criteri che non si conoscono. Non vi sono altri tassi medi pubblicati in Gazzetta oltre ai valori del TEGM, non è pubblicato un tasso medio per la mora, non è stato mai esplicitato in Gazzetta o nei Decreti del MEF che per la mora dovesse essere considerata la maggiorazione di 2,1 punti, aggiungendola al tasso medio di rilevazione e maggiorando il tutto del 50%. Né tanto meno con il provvedimento legislativo del ’11, che ha sostanzialmente ampliato lo spread dal 50% al 25% più quattro punti, si è fatto menzione ad alcuna soglia per la mora. Ciò detto questa decisione delle Sezioni Unite, porta di certo reiterare sulla mora quanto accaduto per la CMS.

A parere di chi scrive, appare evidente che nel caso di specie la Corte di Cassazione si sia sostituita, nella sua composizione più autorevole, al legislatore andando a modificare nella sua applicazione la legge 108/1996.

Scarica la sentenza della Cassazione Sez Unite

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CAT: Banche e Assicurazioni, Giustizia

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