Chi ha paura del bail-in bancario? Più di tutti, quelli che l’hanno firmato

24 Ottobre 2015

Chi legge il Sole 24 Ore avrà notato una strana storia affiorare tra le pagine di tanto in tanto, come un vecchio romanzo di appendice. Il feuilleton narra la storia triste di tre povere banche (Banca Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e Banca Popolare dell’Etruria) e di tre istituzioni eroiche (il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, il Ministero dell’Economia e la Banca d’Italia) votate al loro salvataggio. La storia è inquietante per il modo distaccato e asettico con cui gli autori del Sole 24 Ore descrivono la tragedia umana del tentativo di salvare le banche prima che entri in vigore la nuova regolamentazione del salvataggio, denominata “bail-in”. E’ per questa inquietudine che quando la mattina ti fai la barba, e i sogni non si sono ancora completamente separati dalla realtà, sgrani gli occhi di fronte allo specchio e intontito e attonito ti chiedi: “minchia, ma questa legge sul bail-in non l’avrò mica firmata io?!”.

Il bail-in è difficile da spiegare soprattutto a chi conosce la finanza. Infatti il principio è che in caso di crisi di una banca o di un’impresa di investimento prima pagano gli azionisti, poi i titolari di credito subordinato, poi i creditori, e così via. E uno si chiede: dov’è la novità? Non è sempre stato così? Abbiamo prima imparato, e poi insegnato da sempre che per prima pagano gli azionisti, e poi via via tutti gli altri. Ma la novità sta in un dettaglio: questo ordine di priorità, naturale in caso di liquidazione, si applica per legge anche al caso di “risoluzione” di una banca. La “risoluzione” è il salvataggio. Noi sappiamo da sempre che in caso di ristrutturazione di un’impresa in crisi questo ordine di priorità va a farsi friggere. Gli azionisti passano avanti in coda e incassano quote che sarebbero spettate ad altri, banche poco esposte riescono a recuperare tutti i loro soldi trasferendo le loro perdite alle altre. E’ l’eterno gioco di “absolute priority violation” come lo chiamiamo in termine tecnico. Ma con le banche è diverso. Qui tutti approfittano della generosità di un eroe dei nostri tempi, quello che paga per tutti: il contribuente, il tax-payer. Stasera pago io, canta il contribuente. E effettivamente ha pagato sempre lui: 250 miliardi il contribuente tedesco, 60 lo spagnolo, 50 l’irlandese e l’olandese, 40 il greco, 19 a testa il belga e l’austriaco, e 18 il portoghese. Il bail-in ha il fine di impedire a questa controfigura di accollarsi ancora il rischio dei banchieri e di immolarsi al posto loro.

Ora, il Sole 24 Ore almeno una volta a settimana ci aggiorna sui tentativi delle nostre autorità economiche, Fondo Interbancario, MEF e Bankitalia di intervenire sulle tre crisi bancarie prima che entri in vigore il bail-in. Perché? Cosa hanno da temere dal bail-in? Questo non è chiaro, e sarà chiaro, forse, quando si sapranno i dettagli del salvataggio, se il salvataggio andrà in porto. Dalla stampa pare di capire che la corsa a prevenire il bail-in sia per imporre un bail-out: il salvataggio da parte di istituzioni esterne. Ma stavolta l’istituzione esterna non è il contribuente (almeno direttamente), ma altre banche. Le ultime notizie sono di un fondo delle prime sette banche italiane per sottoscrivere aumenti di capitale delle tre banche in crisi. Altre notizie che sono comparse e scomparse più volte avrebbero riguardato la conversione dei titoli di debito subordinati in azioni, nello spirito del burden sharing. In realtà, se questa conversione non fosse una bufala, più che una ripartizione dell’onere sarebbe una vera e propria rapina a danno di questi creditori. Comunque sia, resta il mistero. Perché paura del bail-in?

La paura dei banchieri ha un motivo chiaro. Con il bail-in, il debito delle banche costerà di più perché non sarà più possibile (o sarà più difficile) addossare le perdite ai bilanci pubblici. Ma perché ne devono aver paura le istituzioni stesse? E perché queste istituzioni brigano perché un gruppo di banche ne salvi altre prima che arrivino le nuove regole? La logica suggerisce due soluzioni. La prima è che sia fantasia del romanzo di appendice. La corsa ad evitare il bail-in potrebbe essere una boutade inventata dai giornalisti per infiorare e rendere più appassionante la storia. Se la corsa a eludere la nuova legge fosse vera, vorrebbe dire che il bail-in non si addice al sistema italiano. La seconda risposta sarebbe quindi che il sistema italiano preferisce il bail-out, o ne è addirittura assuefatto. Ma la stranezza è che non si tratta del bail-out del contribuente, che in Italia ha contribuito per 4 miliardi a salvataggi, una cifra irrisoria rispetto a quelle che abbiamo richiamato sopra. Si tratta piuttosto della difesa di banche da parte di altre banche. E’ una sorta di bail-out corporativo. Probabilmente, non sapremo mai quale delle due soluzioni è quella vera. Senz’altro le istituzioni non sosterranno mai in pubblico di aver voluto evitare una futura legge, anche se nessuna delle istituzioni ha pubblicato una smentita ufficiale. Ma anche in privato, i membri delle istituzioni tendono a escluderlo. In fondo, il vantaggio di avere tre istituzioni che si occupano del progetto consente a ognuno il vantaggio di negare senza venire contraddetto dagli altri due.

In conclusione, se le nostre istituzioni stanno facendo le corse per evitare una legge europea, che anche loro hanno sottoscritto, il corollario naturale è che anche nel campo bancario in Europa non contiamo nulla. Non è una novità, se ricordiamo come è finita per l’Italia la vicenda degli stress test bancari effettuati dalla BCE. Resta una domanda finale. La soluzione che le istituzioni vorrebbero imporre prima dell’avvento della regola del bail-in avrebbe potuto essere una soluzione migliore, se suggerita come regolamentazione europea? Se fosse così sarebbe il caso che le nostre istituzioni parlassero (e che i giornalisti chiedessero) le motivazioni del salvataggio che si sta attuando in Italia. Nel silenzio, regna il sospetto che si tratti di favori da “salotto buono”, e che i nostri banchieri  siano ancora una consorteria e una casta che si presta mutuo soccorso a scapito degli altri stakeholder. Infine, un messaggio di per il contribuente eroico: né con il bail-in europeo, né con il bail-out italico il suo contributo verrà mai meno del tutto. A lui resterà sempre la soddisfazione di pagare tutto quando né i salvataggi interni, né quelli esterni riusciranno a scongiurare una crisi di tutto il sistema. E di retribuire il contribuente per questa assicurazione che offre al sistema non si è mai curato nessuno, né in Italia, né in Europa.

TAG: bail in, banca d'italia, banking resolution mechanism, Crisi bancarie, Fondo Interbancario di tutela dei depositi, mef
CAT: Banche e Assicurazioni, Istituzioni UE

Nessun commento

Devi fare per commentare, è semplice e veloce.

CARICAMENTO...