La domanda è anche semplice: ma il Pd lavora per Unipol o per i cittadini?

22 Luglio 2017

Molti anni intorno al potere come indagatore di altrui sentimenti hanno cementato una sola, ripeto una sola, certezza: il lobbismo italiano è non solo malato, ma estremamente pericoloso. Inquina il pozzo delle pari opportunità, le distorce, le manipola, le rimodella a uso e consumo di (legittimi) interessi personali che ovviamente contrastano con l’interesse più collettivo dei cittadini. Ovviamente nessun lobbismo è malato e pericoloso in sè, tanto che tutti i lobbismi certificati da leggi dello stato si reggono sulla sintesi sperabilmente virtuosa di interessi che spesso possono divergere, ma che nella migliore delle ipotesi possono invece diventare buona cosa per il corpo dei cittadini. Qui da noi quasi mezzo secolo di discussioni infinite non è riuscito a partorire una legge decente – giace in Senato, come si dice in questi casi, l’ennesimo disegno di legge  e ci si accontenta di un divertente quadernetto da quinta elementare dove il lobbista si farebbe riconoscere . Un lobbismo “alto”, per quanto possa essere alto il lobbismo italiano, fonda le sue certezze non su se stesso, diavolo tentatore per definizione, ma sulla capacità della politica di essere valido interlocutore. Valido è aggettivo non equivocabile, significa che il soggetto politico con cui ci si confronterà dovrà non solo essere indipendente, ma soprattutto sembrarlo. È del tutto escluso, anche per un senso di colpa secolare, che noi si possa minimamente aderire alla filosofia americana dove il parlamentare è dichiaratamente e apertamente riconducibile a interessi particolari e privatistici così da abbattere alla radice ogni ipocrisia.

È di questi giorni una vicenda che ha una sua perfezione stilistica e che spiega meglio di qualunque articolessa l’intreccio malato tra lobbismo e politica. È una vicenda che riguarda personalmente anche uno di noi, un giornalista serio come Gianluca Paolucci della Stampa, che per il solo fatto d’aver lavorato con coscienza si è visto arrivare in casa la Guardia di Finanza che naturalmente ha ribaltato ogni cosa della sua vita privata. Il tutto nasce da un’attenta ricostruzione di un periodo particolare, a inizio 2014 ancora a governo Letta, dove è in aperta discussione la riforma delle Rc Auto. Unipol si muove in maniera organica e pesante, com’è nei suoi legittimi interessi, arando il campo della politica, e si muove così “bene” che tutto a un certo punto va in vacca. Paolucci lo racconta compiutamente, anche con uso di suggestive e illuminanti intercettazioni. Per questo lavoro, che nei paesi a diritti ancora riconosciuti verrebbe configurato come «libertà di stampa», l’ad di Unipol, il signor Cimbri, si incazza grandemente e denuncia. Cosa non si sa. Si sa solo che quando il potere industriale minaccia le cose si fanno molto delicate in una democrazia pericolante come la nostra.

Disponetevi a un ascolto sereno di queste intercettazioni. Sono come piccole lezioni universitarie, è come se il professor Sartori, maledetto toscano che ha formato tanti studenti, vi narrasse la politica nelle sue pieghe più problematiche. C’è molto, c’è il lavoro alacre di Unipol per portare a casa il (suo) risultato. E questo non meni scandalo, è ciò che spetta a un’azienda in un mondo liberale dove gli interessi circolano. Liberi, sperabilmente. Ciò che invece appare straordinariamente “fuori contesto” è il comportamento dei politici coinvolti in questi dialoghi, che avvengono tra il presidente di Unipol, Pierluigi Serafini, e l’affannatissimo Genovese, che governa appunto le relazioni istituzionali del gruppo. Dai dialoghi molto franchi tra i due, si staglia una figura di riferimento, quella di Yoram Gutgeld, un nome che vi sarà notissimo, essendo uomo di grande passato in banche d’affari, oggi e al tempo dei fatti deputato Pd, consigliere economico di Renzi, e soprattutto colui al quale è stata affidata la famosissima spending review (dopo decapitazioni varie di soggetti non troppo in linea con la visione renziana, ultimo il mite ma inflessibile professore della Bocconi, il Perotti, che gli contesta tutti i dati). Insomma, cosa si dicono i due Unipol di «Yoram», come lo chiamano molto affettuosamente? Che gli hanno depositato sulla scrivania carrettate di emendamenti che il medesimo dovrà portare a buon fine, che il medesimo telefona di buon mattino (al Genovese) per dirgli con molta disciplina che no, quella cosa non procede, che bisogna fare così, piuttosto che così. Insomma, il buon «Yoram» sembra nella disponibilità politica di Unipol, o così almeno Unipol fa credere nelle sue telefonate private (e quindi si immagina molto sincere e veritiere). Ci sarebbero anche un paio di accenni confidenziali su Carbone, ma noi personalmente non consideriamo Carbone mai in partita su nulla, neanche sul calciobalilla, dunque sorvoliamo.

Attraverso queste telefonate, è piuttosto facile capire perchè il lobbismo in Italia è malato e pericoloso. Perchè innanzitutto è malata e pericolosa la politica, prima di tutto. Perchè persone molto autorevoli come Gutgeld paiono figurine stinte nella mani di lorsignori, e ci saremmo aspettati in una democrazia compiuta che l’interessato, appena uscite le intercettazioni, le contestasse alla radice, potendolo fare. Che ci dicesse che il duo Serafini-Genovese millantava grandemente, denunciando, carte alla mano, quella ricostruzione infedele. Invece nulla. Questo era il Pd nel 2014, nulla parrebbe indicarci che qualcosa è cambiato.

TAG: Gianluca Paolucci, yoram gutgeld
CAT: Banche e Assicurazioni, Partiti e politici

Un commento

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  1. clagher 7 anni fa

    UNIPOL è la Gazprom de noantri e agisce di conseguenza. Molti vorrebbero anche Putin… Di questo passo forse lo avranno…

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