L’Economia della Bellezza vale 500 miliardi di euro, il 26% del Pil italiano

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29 Settembre 2023

Venezia – Nel 2022, il valore dell’Economia italiana della Bellezza ha sfiorato i 500 miliardi di euro, in crescita del 16% rispetto al 2021 e dell’8% rispetto al 2019, superando i livelli pre-Covid. È quanto emerge  dall’edizione 2023 di “Economia della Bellezza”, lo studio realizzato dall’Ufficio Studi di Banca Ifis nell’ambito di  Kaleidos – il Social Impact Lab della Banca che promuove iniziative a favore di comunità e persone – con l’obiettivo  di rappresentare l’eccellenza del Made in Italy e che, negli anni, si è trasformato in una piattaforma che dà voce al tessuto imprenditoriale nazionale e offre ai decisori uno strumento utile per sostenere un settore orgoglio del  nostro Paese nel mondo. Oltre a misurare il valore economico delle imprese italiane attive nel comparto della  Bellezza, nel 2023 lo studio ha approfondito le peculiarità di un modello unico al mondo, ovvero il connubio  inscindibile tra saper fare artigiano e manifattura.

Economia della Bellezza 2023: lo studio in sintesi 

Secondo quanto elaborato nel Market Watch prodotto dall’Ufficio Studi di Banca Ifis, c’è sempre più Bellezza nel  Pil italiano. A fine 2022, il contributo di questo particolare comparto economico al Prodotto Interno Lordo  nazionale si attestava al 26,1%, confermando l’eccezionale capacità di traino del sistema produttivo nazionale. L’Economia della Bellezza ha contribuito in modo importante alla ripresa dell’economia italiana dopo il biennio  pandemico: nel 2022, questa ha rappresentato il 56% dell’aumento del Pil nazionale rispetto all’anno precedente e addirittura il 33% dell’aumento rispetto al 2019, ultimo anno pre-Covid.

Più in generale, il valore dell’Economia della Bellezza, nel 2022, ha raggiunto quota 499 miliardi di euro,  crescendo del +16% rispetto ai 431 miliardi di euro del 2021. Di fatto, si tratta di una crescita più che doppia  rispetto al resto del sistema produttivo italiano. Particolarmente interessante è il fatto che la crescita del Pil  prodotto dall’Economia della Bellezza risulta positivo anche nel confronto con il 2019, ovvero l’ultimo anno prima  del Covid-19. Nel periodo, questo è cresciuto del +8%, certificando una piena ripresa dalla crisi pandemica. Lo  sviluppo è stato intenso su tutti i comparti: turismo culturale e paesaggistico e imprese sia design-driven, quelle  guidate da una forte componente di design, sia purpose-driven, ovvero le imprese guidate da uno scopo sociale.  La convergenza tra il «bello e ben fatto» e il «buon lavoro» sembra sempre più esprimere un motore per l’intera  economia italiana.

La crescita del valore prodotto rispetto al 2019 (+37 miliardi di euro) è stata generata per il 47% dalle imprese  purpose-driven, per il 29% dal turismo culturale e naturalistico e per il 24% dalle imprese design-driven. A livello di  settori, sono 8 quelli che hanno contribuito alla crescita del Pil della Bellezza rispetto al 2019: Agroalimentare (13 miliardi di euro) e Turismo (11 miliardi di euro) sono quelli che hanno registrato l’aumento maggiore, ma bene  hanno fatto anche Tecnologia, Cosmetica, Sistema Casa, Ambiente, Orologeria e Gioielleria e Automotive, grazie  al forte sviluppo dell’approccio purpose-driven.

Il saper fare dei Maestri d’Arte come fondamento del Made in Italy 

Per l’edizione 2023 del Market Watch “Economia della Bellezza”, l’Ufficio Studi di Banca Ifis ha scelto di dedicare  un focus particolare a quanto l’eccellenza della manifattura Made in Italy tragga origine dal lavoro dei Maestri d’Arte. La principale evidenza è che il “saper fare” artigiano contribuisce ancora al 54% del fatturato della  manifattura italiana. In quasi 9 casi su 10, le imprese della manifattura considerano l’artigianalità non sostituibile  da macchinari. In un business sempre più globale, in cui i mercati internazionali richiedono un posizionamento  differenziante, rappresentare la qualità e l’unicità del prodotto italiano è una delle sfide alle quali è chiamata la  manifattura del nostro Paese.

Secondo le rilevanze del Market Watch, per le imprese manifatturiere italiane il valore aggiunto del lavoro  artigianale ricopre un ruolo rilevante nella produzione, sia in fase di progettazione sia di realizzazione. Per il 53%  delle aziende intervistate, l’artigianalità non rappresenta una semplice ricerca del lusso, ma uno strumento  concreto per dar forma alle idee, da mettere in campo nella fase di prototipazione.

In tal senso, il saper fare viene identificato da 8 imprese su 10 come fattore distintivo di competitività sul mercato poiché consente di rispondere efficacemente ai nuovi trend e alle nuove mode, come indicato da ben il 91% degli  imprenditori della manifattura. In quest’ottica, gli artigiani si configurano come figure capaci di dare unicità al  prodotto, integrando l’interpretazione in chiave contemporanea con l’attribuzione di un valore nel segno della  tradizione, dell’innovazione e della sostenibilità. Questa modalità che deriva dall’ibridazione tra artigianalità e  manifattura rappresenta il vero e proprio modello italiano di produzione del Made in Italy.

Al contempo, però, il mestiere dell’artigiano risente oggi di un sistema in rapida evoluzione dal punto di vista  demografico, economico e sociale. Il calo delle imprese artigiane (-32% di operatori attivi dal 2000, concentrando  l’attenzione su quelle del manifatturiero) parla della complessità nel trovare chiavi di lettura innovative per  crescere e coinvolgere i giovani.

Lo studio 2023 ha analizzato anche le difficoltà incontrate dalle imprese artigiane che lavorano con l’industria  manifatturiera, penalizzate da una rilevante riduzione del loro numero e un progressivo invecchiamento degli  artigiani stessi. Negli ultimi due anni molte imprese artigiane (il 41%) si sono trovate ad affrontare un passaggio  generazionale, spesso legato proprio alla trasmissione dell’attività. Le più comuni strategie per garantire  continuità alle imprese sono il mantenimento della tradizione familiare e la formazione diretta di nuovo personale.  Che cosa si può fare per evitarlo, preservando la capacità dei Maestri d’Arte di esprimere la cultura e l’identità dei  territori e di aiutare le imprese manifatturiere a “dare forma” alle idee traducendole in un prodotto? Gli artigiani  chiedono però anche modifiche agli attuali programmi scolastici attraverso il potenziamento di percorsi di studio  che siano capaci di mostrare ai giovani la creatività connessa con i lavori artigiani e di accendere così la loro  immaginazione. In parallelo, auspicano anche l’introduzione di incentivi fiscali per chi intraprende un’attività in  questo settore. D’altra parte, il 93% delle imprese della manifattura conferma il trend di internalizzazione già in  atto ed esprime l’intenzione di portare entro il perimetro della propria azienda le competenze artigiane. La  strategia più adottata per portare a compimento questa internalizzazione è l’affiancamento con chi è già esperto del mestiere (indicato dall’81% delle imprese) mentre ci si avvale in misura decisamente minore di corsi di  formazione più teorici (12% delle imprese).

TAG: Banca Ifis
CAT: Beni culturali

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