I ghiacciai alpini muoiono e il Nord Italia resta senz’acqua

19 Aprile 2019

Chi inveisce contro Greta Thunberg e sostiene che i quindicenni dovrebbero andare a scuola anziché scioperare per il cambiamento climatico, dovrebbe parlare con gli esperti di clima e di risorse idriche. Il quadro è spaventoso.

I ghiacciai italiani sono sempre più piccoli, sottili, vulnerabili e inquinati. Le temperature in costante aumento anno dopo anno, anche ad alta quota, li stanno fondendo. Così svaniscono preziose riserve d’acqua dolce. E crescono i pericoli in montagna.

Non è tutto: a causa dei detriti rocciosi che provocano ritirandosi, e delle particelle inquinanti prodotte dalle attività industriali e dai motori delle auto, i ghiacciai sono sempre più scuri, e quindi più vulnerabili alla radiazione solare. Un circolo vizioso che mette a rischio l’ambiente, il benessere di milioni di italiani, e un’intera civiltà (quella alpina).

Il problema non è solo italiano, ma mondiale, perché all’origine c’è un fenomeno globale. «Il cambiamento climatico sta avendo conseguenze sconvolgenti sui ghiacciai – conferma a GSG William Colgan, ricercatore senior presso il Geological survey di Danimarca e Groenlandia –. In questo momento i ghiacciai dell’Artico stanno perdendo circa 14mila tonnellate di ghiaccio al secondo».

Secondo il Nuovo Catasto dei ghiacciai italiani (un inventario che confronta la superficie dei ghiacciai e le loro caratteristiche con quelle di metà Novecento), negli ultimi cinquant’anni l’area totale coperta dai ghiacciai è passata da circa 527mila chilometri quadrati a 368mila. Una riduzione del 30%. «Se i trend climatici attuali persisteranno – afferma Guglielmina Diolaiuti, professoressa di geografia fisica e geomorfologia all’Università degli studi di Milano – a fine secolo i ghiacciai italiani si saranno ridotti dell’80%».

Appassionati di alpinismo a parte, per un milanese, un padovano o un romano il concetto di ghiacciaio potrebbe risultare molto lontano dalla sua quotidianità. E probabilmente la maggior parte di noi non si chiede perché i ghiacciai sono importanti. Eppure hanno un ruolo fondamentale. Perché sono, prima di tutto, riserve d’acqua dolce.

«L’acqua con cui ci approvvigioniamo proviene da una sorgente nel ghiacciaio del Calderone e dai nevai a monte – dice Luca Mazzoleni, che da trent’anni gestisce il rifugio Carlo Franchetti (2433 metri), sul Gran Sasso –. Se continua così prima o poi rimarremo all’asciutto. Sa, dipendiamo dalla neve che cade d’inverno e dal caldo che fa in estate». Mazzoleni afferma di non poter dare un giudizio da esperto sulle condizioni del Calderone, l’unico ghiacciaio rimasto negli Appennini. Però dà la sua opinione di appassionato d’alta montagna che quelle cime le frequenta da sempre. «Io ho cinquantacinque anni. Quando ne avevo diciotto, a fine agosto si scendeva per il Calderone attraverso estesi nevai. Adesso a fine luglio è tutto una pietraia – racconta con un sospiro –. Il ghiacciaio si è ridotto tantissimo».

La colpa, a detta di tutti gli esperti sentiti da questo giornale, è dell’aumento delle temperature. «Nel 1980 è cominciata una fase di crescita fortissima rispetto all’aumento più graduale che c’era stato nei 180 anni precedenti – spiega Maurizio Maugeri, professore di fisica dell’atmosfera all’Università di Milano – e questa crescita è ancora in corso. Il 2018 è stato l’anno più caldo mai registrato in Italia dall’inizio dell’Ottocento. E ciò ha conseguenze terribili sui ghiacciai». La correlazione fra aumento delle temperature e fusione dei ghiacciai, secondo gli esperti, è evidente.  «Fra i primi anni ’50 e la fine degli anni ’70 del secolo scorso le temperature hanno smesso di aumentare – afferma Maugeri – e proprio a quel periodo corrisponde anche un arresto della decrescita dei ghiacciai, in vari casi persino una crescita, seppur molto modesta».

Viviamo in quello che sempre più comunemente è chiamato antropocene, ossia l’era in cui gli esseri umani contribuiscono a modificare le temperature e il clima con i loro processi produttivi e, soprattutto, con l’inquinamento che ne deriva. «Secondo le teorie più accreditate – segnala Daniele Bocchiola, professore di idrologia montana e ingegneria dell’acqua al Politecnico di Milano – l’accelerazione dell’aumento delle temperature negli ultimi cinquant’anni è dovuta proprio all’effetto serra».

La scomparsa dei ghiacciai alpini sarebbe una vera catastrofe, a più livelli. Ed è un’eventualità più che plausibile nell’arco di qualche decennio. «Soprattutto nelle Alpi italiane, i deflussi estivi dei fiumi derivano per buona parte dalla fusione glaciale – spiega Bocchiola –. I ghiacciai alpini sono presenti da circa 10mila anni, ossia dall’ultima glaciazione, e piano piano, fondendosi, forniscono acqua ai fiumi della pianura. Incluso il Po». Il giorno in cui quei ghiacciai saranno prossimi alla scomparsa, svanirà anche il loro contributo ai torrenti alpini e ai fiumi della Pianura Padana, nota lo studioso.

Scenari di razionamento all’orizzonte? Non è da escludere. «Nella Pianura Padana l’acqua è usata soprattutto per l’irrigazione – nota Bocchiola –. Se le temperature continuassero ad aumentare, fondendo i ghiacciai, e si verificassero lunghi periodi di siccità, come quello verificatosi fino a un paio di settimane fa, molto probabilmente l’acqua per l’irrigazione potrebbe diminuire sensibilmente».

Come se non bastasse, c’è anche la questione dell’approvvigionamento energetico. Le dighe italiane ad alta quota si trovano perlopiù sotto o nelle vicinanze di grandi corpi glaciali, per accumulare l’acqua rilasciata dalla fusione e trasformarla in energia idroelettrica. Se i ghiacciai scomparissero, sparirebbe anche parte della materia prima necessaria per produrre quell’energia e approvvigionare vaste aree territoriali.

«Certo – specifica Bocchiola –, se piovesse molto ci sarebbe comunque una buona scorta di risorsa idrica. In quel caso, i ghiacciai potrebbero anche scomparire ma saremmo comunque salvi, per così dire». Il fatto è che con le variazioni climatiche attuali, non solo le alte temperature fanno ritirare i corpi glaciali, ma tende a piovere e nevicare di meno. «La combinazione di questi due aspetti è critica» conclude il docente.

È una distruzione silenziosa, e veloce. Decisamente troppo veloce. «Il ghiaccio che si fonde alle quote più basse dei ghiacciai a causa delle alte temperature è più abbondante di quello che arriva grazie al flusso glaciale dalle porzioni più elevate – dice Diolaiuti –. Il risultato è che alcuni ghiacciai hanno perso oltre due chilometri di lunghezza negli ultimi 150 anni». Ma è anche una questione di spessore. Che, continua la docente, «in alcuni settori può assottigliarsi anche di sei metri in una singola estate».

Eloquente a riguardo è l’esempio del ghiacciaio dei Forni, noto fra gli esperti come uno dei giganti delle Alpi. Alla quota di 2800 metri, negli ultimi 14 anni, lo spessore si è ridotto, in media, di 6 metri l’anno. E secondo Diolaiuti, dati simili sono estendibili alla maggior parte dei ghiacciai italiani.

Roberto Pavesi, di Lodi, è una guida alpina con oltre trent’anni di uscite sui ghiacciai alle spalle. «Per quasi tutti si nota una differenza evidente da un anno all’altro – dice –, ma un esempio molto eloquente è quello del ghiacciaio Ventina. Ogni anno il suo fronte si ritira davvero tanto». Oltre a essere una catastrofe dal punto di vista ambientale, la fusione dei ghiacciai rende la vita più difficile a chi in montagna lavora.

«Anche uscendo di notte, d’estate, le temperature sono più alte rispetto al passato – continua Pavesi –, e bisogna prestare maggiore attenzione. L’anno scorso, per esempio, sul Ghiacciaio dei Forni a luglio non c’era già più neve, si doveva procedere sul ghiaccio vivo. Quindi chiunque esca sui ghiacciai deve essere più esperto nell’uso dei ramponi e dell’attrezzatura in generale. Inoltre ci sono maggiori probabilità di crolli, scariche di pietre. E con l’aumento della temperatura i ponti di neve che permettono di attraversare i crepacci sono più fragili, rischiano di cedere. Insomma, bisogna essere ulteriormente cauti».

D’altra parte, si tratta di una tendenza globale. L’allarme era stato dato già nel 2008 dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, che indicava il cambiamento climatico come il responsabile della riduzione più veloce mai osservata nell’ultimo secolo per i ghiacciai di tutto il mondo. Al punto che molti potrebbero scomparire nell’arco di decenni. L’allora direttore generale dell’organizzazione, Achim Steiner, definì la fusione dei ghiacciai “il canarino nella miniera di carbone del cambiamento climatico”. Da allora la situazione non è certo migliorata.

Fra i ghiacciai sottoposti ai maggiori ritmi di fusione spiccano quelli ai margini di Antartide e Groenlandia. Questo perché «terminano nell’oceano, le cui acque sono sempre più calde – spiega Nina Kirchner, direttrice del Bolin Centre for Climate Research e associata di glaciologia alla Stockholm University –, quindi sono esposti a un’ulteriore fonte di calore rispetto a quelli alpini, per esempio».

A peggiorare ulteriormente la situazione c’è il fenomeno del darkening: i ghiacciai stanno diventando più scuri, perdendo parte della capacità di riflettere la radiazione solare. E così non solo diventano ancora più vulnerabili alle alte temperature, ma contribuiscono meno al raffreddamento del pianeta. Un fenomeno osservabile sui ghiacciai italiani e in molte altre parti del pianeta.

«L’annerimento avviene per cause naturali, ad esempio per i frammenti di detrito che cadono dalle pareti rocciose quando i ghiacciai si ritirano, e per cause antropiche – chiarisce Diolaiuti – ossia per l’accumulo di particolato derivante dalla combustione dei motori diesel, dagli incendi boschivi, dalle attività industriali in pianura, fra le altre cose». Altrove, in particolare in Groenlandia, il ghiaccio si sta scurendo anche perché l’aumento delle temperature fa proliferare le alghe. «Questo è molto preoccupante – nota Colgan – perché indica una risposta biofisica che può far sì che i ghiacciai reagiscano ai cambiamenti climatici più velocemente di quanto suggerito dalle proiezioni attuali, che invece rilevano solo le risposte di tipo fisico».

Sia chiaro, la fusione dei ghiacciai della terra non provoca “solo” perdita di immense riserve d’acqua e innalzamento dei livelli degli oceani. Aumenta anche il rischio dei cosiddetti glaciar hazards, un’espressione inglese che indica eventi legati ad aree glaciali che minacciano la vita e le attività umane, nonché i mezzi di sussistenza di intere comunità.

«Lo sviluppo di questi eventi è legato allo scioglimento dei ghiacciai – spiega Duncan Quincey, ricercatore della School of Geography all’Università di Leeds –. Si tratta perlopiù di valanghe di ghiaccio e di alluvioni catastrofiche per esondazione di laghi glaciali». Come quella del 13 dicembre 1941, quando un blocco di ghiaccio si staccò da un ghiacciaio della Cordigliera Bianca, in Perù, cadendo nel lago Palcacocha. E provocando un’alluvione che uccise almeno 1800 persone.

Kirchner non nasconde la sua preoccupazione. «Lo scioglimento dei ghiacciai cambierà i paesaggi terrestri e marini, e gli ecosistemi locali e regionali. Anche se potessimo rallentarne la fusione, difficilmente ricresceranno. Ci troviamo di fronte a dei cambiamenti irreversibili, che conducono a qualcosa che non abbiamo sperimentato per molto tempo». 800mila anni, per la precisione, la data fino alla quale gli scienziati sono potuti risalire grazie alle carote di ghiaccio estratte ad oggi in vari punti del pianeta.

Negli ultimi 800mila anni, i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera non avevano mai superato le 300 ppm (parti per milione). Fino a poco tempo fa. «Negli anni ’50 erano 310 ppm, e oggi sono 441 – specifica Kirchner –. Se accettiamo che l’aumento di CO2 nell’atmosfera va di pari passo con l’aumento della temperatura, significa che stiamo sperimentando un riscaldamento mai verificatosi negli ultimi 800mila anni, a un ritmo altrettanto inedito».

L’ultima volta che i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera sono stati superiori alle 500 ppm per lunghi periodi di tempo è stato oltre 25 milioni di anni fa. «Un’era in cui il mondo era completamente diverso perché i continenti non erano ancora nelle loro posizioni attuali – continua Kirchner –. Se il pianeta continuerà a riscaldarsi al ritmo di oggi, il mondo si trasformerà in qualcosa di mai visto prima».

La soluzione per proteggere i ghiacciai, secondo Colgan, è una sola. «Sono state proposte delle soluzioni ingegneristiche. E alcune località sciistiche europee hanno investito tempo ed energia tentando di rallentare la fusione dei ghiacciai nelle loro vicinanze». Ma cercare di salvaguardare i ghiacciai in un mondo che diventa sempre più caldo, semplicemente, non è sostenibile.

La via più efficace per limitare la fusione dei ghiacciai è contrastare il riscaldamento globale riducendo la quantità dei gas serra, soprattutto di CO2, nell’atmosfera. «Per dirla nel modo più semplice possibile: quando prepari una torta, l’unico modo sicuro per evitare che si bruci è toglierla dal forno prima che sia troppo tardi».

 

Immagine in copertina: Pixabay

 

TAG: acqua, alpi, ambiente, artico, cambiamento climatico, clima, Fridaysforfuture, ghiacciai, Greta Thunberg, Groenlandia, inquinamento, italia
CAT: clima

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