Piove politici ladri!
«Papà, mi servono diciannove dollari e novanta cent». La voce già squillante di Magnus è salita di un’ottava, ma Axel Foehrkolb non batte ciglio: sarebbe una piccola crudeltà redarguire il figlio per la sua irruenza di ragazzino, che in cuor suo giudica vitale e bellissima.
«A che ti servono i diciannove dollari e novanta?» borbotta.
«Per un progetto a scuola».
«E come mai tutti i tuoi progetti scolastici costano sempre diciannove dollari e novanta?»
Magnus scoppia a ridere, e Axel deve trattenersi dall’abbracciarlo.
«Forse gli insegnanti a scuola sanno che con diciannove dollari e novanta è più probabile che i genitori sgancino, rispetto a ventidue o venticinque».
Disarmato, Axel apre il portafoglio e allunga al figlio una banconota da venti dollari nuova di zecca: al posto del volto compassato di Andrew Jackson, c’è quello severo, quasi lugubre, di Mike Pence. Magnus ritorna in camera sua felice del bottino, e Axel accende pigramente la TV made in Greenland: è un modello così vecchio da essere imbarazzante, senza funzione olografica né mETS, ma per la famiglia Foehrkolb basta.
Sulla Ncbs l’anchorman sta annunciando l’ennesima carestia in Turchia. «Secondo i media greci, nella regione del Konya la popolazione sarebbe ormai allo stremo. La Mezzaluna rossa avrebbe inviato…» Povera Konya! Per la carestia dell’anno prima Birgitte aveva organizzato nel loro cortile una raccolta-fondi di quartiere, che era stata gratificata persino dalla fugace apparizione di Tibah Pelletier, assessore alla cultura, all’istruzione e alla cooperazione internazionale della città di Herendford. La raccolta-fondi era stata coronata da una cena di beneficienza ad alto tasso alcolico, nella miglior tradizione herendfordiana.
Lui, in quell’occasione, si era sbizzarrito preparando cocktail europei di ogni tipo (inclusi dei fenomenali spritz con vodka siberiana, dato che da Ben’s una bottiglia di prosecco costava quasi duecento dollari), Birgitte e la sua amica Paula si erano occupate del buffet (tutto a base di prodotti locali o quasi, come i sandwich con uova e avocado dell’Ontario) e Magnus aveva provveduto alla musica (sostanzialmente impostando l’IA dell’oloDJ emotion-driven).
Sarebbe stata una serata divertente, se solo Wyatt, ubriaco fradicio, non ci avesse provato con Olivia in modo talmente smaccato da farsi notare persino da Andrzej. Che era uscito dal suo stato letargico e gli aveva abbaiato di lasciare in pace la sua ragazza.
«Se no che fai Andy?»
«Ti spacco la tua maledetta mascella, e neanche il miglior robot del cazzo potrà ricostruirtela».
Wyatt aveva roteato gli occhi ed era scoppiato a ridere.
«Allora è così che risolvete le cose in Europa? Non mi stupisce che vi stiate scannando come bestie».
«Vieni qui imbecille!»
«Attento polacco, attento che ti finisco».
C’era voluto l’intervento di Mark, Fernando e Natasha per separare i due galletti. E anche se quella sera Birgitte era riuscita a raccogliere quasi cinquemila dollari per i profughi turchi, il quartiere avrebbe ricordato soltanto la zuffa tra Wyatt e Andrzej, e Olivia che fissava la scena impietrita, rossa come un cherry margarita.
Il tg della Ncbs continua con il resoconto dell’ennesimo scontro sul Reno tra la Germania e la Francia. «Sia Berlino che Parigi hanno imponenti arsenali atomici. Il mondo rischia forse un nuovo conflitto nucleare? Intanto il governo inglese ha comunicato che interverrà a favore di Parigi, se la marina militare tedesca continuerà a bloccare i viaggi di droni marini inglesi diretti ai porti di Le Havre e Dunkerque».
Axel spegne la TV, ne ha abbastanza di cattive notizie, e non ha voglia di sentire l’anchorman annunciare anche la sconfitta dei Bears a Baltimora. Si alza pigramente dal divano, facendo scricchiolare le articolazioni in modo piuttosto sinistro, e va a leggere la lista di cose da fare che la moglie gli ha lasciato sul frigo. Il box lampeggiante è lunghissimo, come se il tempo, in una calda domenica di maggio, potesse dilatarsi all’infinito. La lista è scritta in danese, anche se fanno capolino qua e là parole tedesche e inglesi: si tratta di quel patois nordeuropeo che è sempre stata la lingua ufficiale della famiglia Foehrkolb. Leggendo parole come kaffe, sild e klud, parole che lì a Herendford sono pronunciate solo da loro tre e dal vecchio dottor Jepsen, ad Axel vengono i brividi, come sempre del resto.
Ripensa ai caffè di Nørrebro, al gelido capodanno del 2038 nello Søhøjlandet, al loro primo appartamentino surriscaldato, che in suo onore Birgitte aveva ridipinto alla bell’e meglio.
«Magnus!!»
«Eh?» urla il ragazzino, lievemente scocciato.
«Vieni qui per favore».
Magnus arriva con passo strascicato, in testa il visore 3D e nella sinistra un guanto a pressione inversa. Di sicuro stava per iniziare una partita di chissà quale omnigioco violentissimo.
«Was bedeutet Grænseoverskridning, Magnus?»
«Ich habe keine Ahnung!» risponde il figlio, nel suo tedesco squillante, dal lievissimo accento danese.
Quando Magnus era piccolo Axel gli parlava quasi esclusivamente in tedesco, anche se vivevano a Copenaghen o a Aarhus, e non c’era alcuna prospettiva di tornare in Germania. Gli leggeva le fiabe meno violente dei fratelli Grimm, gli recitava le stesse filastrocche che sua nonna gli aveva insegnato decenni prima, gli spiegava il senso di proverbi coloriti come Das Pferd stirbt oft, ehe das Gras wächst, che a Magnus chissà perché faceva sempre ridere. Era la loro lingua papà-figlio, la loro Geheimsprache per prendersi un po’ gioco della mamma (che fingeva di non capire, ma in realtà capiva piuttosto bene), dei vicini di casa, dei parenti noiosi, della cassiera stizzosissima al supermercato in Rovsingsgade.
Le cose erano cambiate quando erano stati costretti a emigrare negli Stati Uniti. Nel Maine. Lì Magnus aveva dovuto apprendere in fretta un inglese ineccepibile, e lui non se l’era sentita di sovraccaricarlo con una terza lingua. Di tanto in tanto parlano ancora in tedesco, ma non è più la loro Geheimsprache, e Magnus ha perso moltissimi vocaboli, e quasi tutte le espressioni idiomatiche.
«Scusa papà, ma perché non chiedi a Laza?»
«Sta caricando gli aggiornamenti di sistema, ne avrà ancora per una mezz’ora. Grazie figlio, mi sei davvero di grande aiuto».
Una volta lui e Birgitte avevano parlato sino alle quattro del mattino per decidere se passare all’inglese, o continuare a usare, in casa, il danese dei Foehrkolb. Perché non provare a integrarsi al 100% nella società del Maine, per non provare a diventare “americani totali”? «Di sicuro Magnus avrebbe maggiori possibilità di farcela qui, se dimenticasse il danese, il tedesco…» aveva detto Birgitte, sospirando. «Ma Magnus è nato a Copenaghen, suo padre è tedesco, sua madre è danese – aveva risposto lui –. Non è tagliando ogni radice che ci si integra». Birgitte aveva annuito: bandire il danese dei Foehrkolb, probabilmente, sarebbe stato solo buttare altro sale sulle ferite.
«Secondo te tua mamma cosa voleva dire, qui?»
«Boh» risponde il figlio, tornando in camera sua.
Una volta, quando vivevano a Saint Louis, aveva chiesto a Birgitte cosa volesse dalla vita. Lei gli aveva risposto (e le sue parole gli erano rimaste incise nella memoria): un marito molto affettuoso, un figlio sano, un lavoro appagante, dei libri, una cenetta romantica di tanto in tanto… e non dover vivere sotto l’incubo della siccità e delle locuste.
Pochi mesi dopo avevano lasciato l’arido Missouri per trasferirsi in Maine, dove l’acqua non mancava, la Supremazia patriottica era vietata, e bastavano venti dollari per un buon pranzo a base di verdurine, alghe al burro, vino dell’Aroostook e formaggio. In più il Maine era lo stato più progressista d’America, e un nucleo familiare come il loro (data scientist tedesco, biotecnologa danese con dottorato in genomica delle piante, figlio pre-adolescente poliglotta) aveva, secondo l’algoritmo, un tasso di integrabilità del 97%.
Axel torna al frigorifero, prende una birra, la apre e la trangugia in fretta. Ne prende un’altra e torna a sedersi sul divano. Non ha voglia di fare alcunché. Poi si ricorda che mancano solo venti minuti alle tre del pomeriggio.
«Magnus, guarda che tra poco toglieranno la corrente. Hai finito tutti i compiti?»
«Papà, oggi è domenica!»
«Dunque? Tua madre non è forse in ospedale, a coltivare tessuti?»
«E allora? Tu non sei forse svaccato sul divano a tracannare birra?»
«Come fai a sapere che sto bevendo una birra?»
«Sei tedesco papà, e oggi è domenica».
«Finisci i compiti!»
Si aspettava da suo figlio un silenzio assordante e duro, tipicamente danese, e invece Magnus gli compare davanti, corrucciato ma carico di emozioni che il riserbo ereditato dalla madre non riesce a nascondere.
«Non ho voglia di fare il tema che quella stronza della signora Davis ci ha dato».
«E perché?»
«Vuole che io scriva mille parole sul lavoro che voglio fare da adulto».
«Qual è il problema?»
«Non posso dire cosa farò da grande».
«Perché?»
Magnus socchiude gli occhi, serra i piccoli pugni. Axel non dice nulla: lo fissa imperturbabile, sorseggia la sua birra e aspetta che ceda. In questo è davvero uguale a suo padre, ha un bisogno quasi fisiologico di vuotare subito il sacco, a qualsiasi costo.
«Me ne vergogno, papà».
«Lasciami indovinare. Biohacker, come quel Kim Tuc che entusiasma tanto voi ragazzi?»
«Peggio».
«Costruttore di droni da guerra?»
«Peggio».
«Vuoi per caso fare il rivenditore di mini-elefanti viola da compagnia?»
«Peggio».
«Cosa c’è di peggio di vendere robaccia geneticamente riplasmata?»
«Voglio fare il politico, papà».
«Oh Scheiße!»
Il ragazzo annuisce con gravità.
E così il suo unico figlio subisce il fascino diabolico della politica, nonostante abbia pieni voti in tutte le materie scientifiche e tecnologiche. Ma di cosa si stupisce? Conosce poche famiglie più politicizzate della loro: da ragazza Birgitte era una promessa della DSU, e lui ha sempre intrattenuto Magnus con aneddoti sul nonno borgomastro di Flensburg, sulla SPD che voleva candidarlo come Ministerpräsident…
«Senti, perché vorresti fare il politico?»
«Ma non è evidente, papà? Non vedi che cosa succede nel mondo? – gli domanda il figlio con sincero stupore – In Turchia la gente muore di fame, la Francia è in guerra con la Germania per il controllo del Reno, e in Spagna c’è di nuovo la siccità. Viviamo nello stato più ricco d’America e la domenica pomeriggio manca sempre la corrente, un anno fa uno tsunami ha devastato mezzo Giappone…»
«E i Bears hanno perso a Baltimora».
Magnus lo fulmina con un’occhiata color smeraldo più dura di quella che il nonno paterno gli riservava quando tornava a casa all’alba.
«Sul serio papà! Il mondo è nel caos, ed è per colpa del clima. Servono politici che cerchino di aggiustare le cose, che sostengano programmi di ingegneria climatica seri, che proteggano quel che rimane dell’Amazzonia, che non abbandonino turchi, spagnoli e giapponesi al loro destino».
Il ragazzo si ferma, ha sparato tutte le parole in pochi secondi e non ha più fiato.
«Magnus, sono fiero di te».
«Papà, non prendermi in giro per favore».
«Se la metti così, quella del politico è una professione nobile. Sai, quando avevo più o meno la tua età qui in America c’era il presidente Trump, in Europa imperversavano i demagoghi e i fanatici, in Asia c’era la corsa agli armamenti… La mia generazione ha imparato a odiare i politici, perché è colpa loro se il mondo fa così schifo».
«E no papà, la colpa non è solo dei politici!» gli risponde Magnus, guardandolo dritto negli occhi con aria di sfida. Sembra un leoncino pronto a ruggire.
«La colpa è anche degli europei, degli americani e degli asiatici di allora – ribatte –. Tu papà mi hai sempre raccontato, per esempio, che la nonna ti accompagnava a scuola con una grossa auto a benzina, e che per il tuo dodicesimo compleanno i tuoi ti portarono in Messico, a vedere le piramidi maya…»
«Sai com’era, allora sognavo di diventare l’archeologo, quell’estate avevo fatto un corso di spagnolo, c’erano i voli transatlantici low-cost…»
«Ma il vostro stile di vita non era sostenibile! Immagina se tutti i papà e le mamme della Terra avessero voluto portare i loro figli in Messico, in Groenlandia o in Sudafrica! La nonna aveva un’auto, il nonno aveva un’auto, tu ricevesti un’auto come regalo di diploma. E quante volte mangiavi manzo o maiale, a settimana?»
«Non lo so. Sette, otto?»
Con uno slancio melodrammatico Magnus solleva le braccia, sembra un piccolo predicatore.
«Io mangio carne vera solo a Natale, quando mamma fa l’arrosto di vitello. Se no c’è quella roba sintetica che sa di polline e ceci… Non potevi andare a scuola in bici, papà? E il nonno e la nonna non potevano usare di più i mezzi pubblici? Per il tuo compleanno non potevano portarti in qualche bel museo? Tu lo sai che nel 2020 le balene del San Lorenzo morivano di cancro a causa di tutti gli idrocarburi nel fiume, e che il governo canadese doveva smaltire i loro cadaveri…»
«Carcasse» lo corregge Axel.
«…alla stregua dei rifiuti radioattivi? Insomma, non è colpa solo dei politici se ci troviamo in questa situazione bruttissima! E oggi dobbiamo fare tutti un grande sforzo, perché come mi dicevi sempre tu, außerordentliche Übel erfordern außerordentliche Mittel».
Cala il silenzio, Magnus si siede accanto a lui sul divano, spompato. In lontananza si sente il collie degli Williams abbaiare, e Laza ha finito l’aggiornamento.
«Sai, credo che da grande potresti essere un ottimo politico, ragazzo mio!»
«Perché?»
«Perché mi hai convinto. Sei eloquente, appassionato, conosci i fatti e li esponi in modo molto efficace e ficcante. Io alla tua età pensavo solo ai videogiochi e alle leggende nordiche».
Magnus è chiaramente lusingato. Arrossisce, mormora «Grazie papà».
«E non hai alcun motivo di vergognarti per le tue aspirazioni. Scrivi il tuo tema di mille parole mettendo nero su bianco ciò che mi hai appena detto. Sono sicuro che prenderai un eccellente, o almeno un ottimo».
Il ragazzo sorride, ebbro di gratitudine e orgoglio.
«Per fortuna! Sai qual era l’altra professione che mi era venuta in mente, come alternativa a quella del politico?»
«Quale?»
«Beta-tester di sexy-robottine!» esclama il figlio sogghignando.
«Vai a scrivere il tuo tema, Magnus» risponde in tono neutro Axel, che si aspettava una battuta del genere. Proprio in quel momento i sonori click di vari elettrodomestici annunciano che la fornitura di elettricità è stata sospesa. È meglio bere un’altra birra.
Proprietario esclusivo del racconto: Gabriele Catania. La foto è stata scattata dall’autore a Copenaghen nel 2016.
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