La calma dei filistei

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31 Gennaio 2021

Quando Roberto Saviano scrive o dice qualcosa, non vale il contenuto di ciò che scrive e dice – che, essendo risaputo, non avrebbe alcun bisogno di esser detto e meno che mai scritto – quanto il fatto che lui ritenga, ogni volta, di avere qualcosa da scrivere o da dire.

Le cose che scrive sono sempre interscambiabili con le interviste che concede e, delle une come delle altre, si potrebbe agevolmente fare a meno a favore delle foto per cui posa, le quali bastano e avanzano per una descrizione esauriente dell’uomo e dell’intellettuale.

Il coming out di cui ci ha fatto dono in occasione del centenario della fondazione del PCd’I è esemplare:

“Se dovessi scegliere una parte sceglierei quella di Filippo Turati”.

Saviano ce lo dice, ma l’unico che avrebbe potuto non saperlo è il Rip van Winkle di Washington Irving, l’uomo che dormì per vent’anni sotto l’albero ombroso e, tornato al villaggio, si dichiarò fedele suddito di Giorgio III; ignaro che nel frattempo, in America, c’era stata la rivoluzione.

Ma “Le style est l’homme même”, come diceva il conte di Buffon e, per quanto poco stile possa esserci nella scrittura e nella retorica di questo celebre giovanotto, ce n’è pur sempre quanto basta a misurare l’uomo.

E’ questo, come dicevo, ciò che conta.

Ecco dunque il pensiero di Turati, che Saviano raccoglie come un fiore di campo e porge ai suoi fedelissimi lettori:

“Ogni scorciatoia allunga il cammino giacché la via lunga è anche la più breve perché è la sola”.

Rappresenta, questo apoftegma, una variante di quello che mamma rimette a figlio quando impara a portar la bicicletta e che, da grande, campeggerà sul suo cruscotto:

“Chi va piano va sano e va lontano. Quando guidi pensa a me”.

E’ grazie al formidabile combustibile politico fornito da queste perle di saggezza secolare che il progressista italiano politicamente progredisce sulle rotaie del progresso nazionale. Un progredire circospetto e tuttavia inesorabile che inevitabilmente ci condurrà, domani, più o meno dove siamo oggi.

Saviano, come ogni progressista che si rispetti, è infatti un flemmatico.

Neanche questa è una rivelazione.

Perché mai dovrebbe affrettarsi?

Per andare dove?

Cos’è, di preciso, che gli manca adesso?

Per quale ragione al mondo un cambiamento dovrebbe, per lui, rappresentare un miglioramento?

Non è forse vero che, in fin dei conti, per uno come Saviano, le cose potrebbero solo andar peggio di come vanno ora?

Quale altro tipo di sistema sociale potrebbe garantirgli i privilegi di cui gode in questo?

Fretta?

E perché mai?!

Non esistono “balzi verso una società giusta”.

Ha ragione. Perché è proprio questa, e nessun’altra, la società giusta per lui.

La sua strategia, perciò, e quella di procedere strisciando.

Più lentamente possibile.

Al disperso che avanza a piedi nel deserto cercando disperatamente un’oasi, Roberto Saviano, che quel deserto lo attraversa in camper super attrezzato con aria condizionata e frigorifero fornito d’ogni ben di dio, suggerisce serenamente di non cercare scorciatoie.

Non credo si possa dare una descrizione migliore di un filisteo: uno che a Cristo sul Calvario avrebbe caldamente consigliato di prendersela con calma.

Uno, insomma, come Roberto Saviano.

 

p.s.

a seguire ecco ciò che Saviano ha scritto di Turati e poi ciò che di lui (…di Turati, voglio dire…ma anche, profeticamente, di Saviano…) ha scritto Antonio Gramsci, un secolo fa. Come si vede più calma di così, negli ultimi cent’anni, non ce la potevamo prendere…

 

“Se dovessi scegliere una parte, sceglierei la parte di Filippo Turati. E se dovessi scegliere una frase sceglierei quella che pronunciò a Livorno nel gennaio del 1921 per scongiurare la scissione delle sinistre. Fu inutile, la scissione avvenne, rivoluzionari e riformisti iniziarono a scannarsi. “Ogni scorciatoia allunga il cammino giacché la via lunga è anche la più breve perché è la sola”. Questa frase ha dentro l’angoscia e la lucidità della verità politica al di là dello slancio romantico. Che solo percorrendo con tenacia la via delle riforme, tenendo nei mezzi della pratica politica il fine della società nuova che si vuol creare è possibile ottenere un vero cambiamento. Il Socialismo delle riforme di Turati e della Kuliscioff di Nenni e Modigliani, di Treves e di Matteotti fu da subito consapevole che non esistono i balzi verso un società giusta ma solo un percorso di avvicinamento. Capirono meglio e prima di tutti che le fucilazioni e le dittature proletarie avrebbero generato un mondo peggiore di quello che volevano abbattere. E infatti così fu.”

Roberto Saviano, 25 gennaio 2021

 

“…un monumento di ipocrisia democratica e di sfacelo morale…Filippo Turati era deputato al Parlamento durante la guerra. Durante la guerra, la classe operaia italiana fu privata di ogni suo diritto: fu privata della libertà di stampa, della libertà di riunione, della libertà di sciopero, della libertà di “andare e venire”; il Parlamento fu privato delle sue prerogative fondamentali, della sua sovranità; i militanti della classe operaia furono spogliati di ogni garanzia civile, le loro persone caddero in balia dell’arbitrio dei poliziotti e degli ufficiali; nelle trincee milioni e milioni di cittadini furono degradati da ogni attributo umano, furono abbandonati al capriccio di pochi uomini, avidi solo di far carriera. Perché in questo periodo, perché in quei cupi anni di reazione e di dittatura militarista, Filippo Turati non sentiva di essere il “difensore della classe operaia” dalle congiure del silenzio, dalle diplomazie segrete, dalle disoneste parole di bugie? Perché in quegli anni Filippo Turati non fece servire la sua tribuna parlamentare per accusare la classe borghese dei delitti che andava compiendo, per far conoscere la verità, per smascherare le ideologie fallaci, per mostrare di quanto sangue e quante lagrime grondassero gli uomini che erano al potere? …Questi uomini, non che essere storici, non che avere il minimo di preparazione critica che si domanda a chi esplora gli accadimenti umani, questi uomini mancano persino di quel minimo di intuizione e di senso di umanità che si può domandare a chiunque dignitosamente voglia far parte della società degli uomini…Muli bendati, è il giudizio più dolce che si possa dare di questi uomini. Ma perché mai pretendono essi di difendere la verità, che non si sono curati di ricercare e di difendere quando la borghesia schiacciava il proletariato col tallone insanguinato dei suoi generali? Questa pretesa rende spregevoli moralmente i Turati, i Pozzani, i Nofri, come moralmente spregevole era il padre Bresciani per chi nel Risorgimento lottava per emancipare l’Italia dal dominio degli stranieri e dei preti.”

A.Gramsci, L’Ordine Nuovo, 12 gennaio 1921

TAG: Cultura, italia, politica, Roberto Saviano
CAT: costumi sociali, società

3 Commenti

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  1. alfio.squillaci 3 anni fa

    Beh Gramsci non partecipò invece alla Guerra per ovvie ragioni. Aveva però scritto in precedenza un pezzo in cui in qualche modo appoggiava la posizione di Mussolini per un neutralismo “attivo e operante”, anticamera dell’interventismo. Durante la guerra Gramsci andava al teatro e teneva una rubrica per l’Avanti. Tranquillamente. In seguito proprio l’esperienza della guerra, che non aveva fatto, gli fornì “l’armamentario” verbale per discutere di guerre di posizione e guerra di movimento. Poco prima della guerra teneva un club di “vita morale” dove lui faceva l’excubitor (una sorta di guardia bizantina, o di gesuita “direttore di coscienza”) e dove obbligava i tre poveri operai membri del club a confessargli anche i fatti di coscienza. Scriveva espressamente:《Il Club ha nei suoi fini l’accettazione del c o n t r o l l o r e c i p r o c o dell’attività quotidiana, famigliare, d’officina, civile, di ciascuno. Vogliamo che ciascuno abbia il coraggio e l’energia morale sufficiente per c o n f e s s a r s i: vogliamo creare la fiducia reciproca, una comunione intellettuale e morale di tutti, insomma il principio di… Scientology. Chiese pertanto un parere circa le modalità “pedagogiche” della sua scuola in una lettera al pedagogista Lombardo Radice (futuro duro stalinista negli anni ’50) in quel momento al fronte che invece aveva scelto l’interventismo democratico e istruiva i soldati in trincea unitamente a Salvemini e ai fratelli Rosselli, uno dei quali Aldo morto al fronte. Radice lo mandò a quel paese con una cartolina. Letteralmente. Le accuse livorose di Gramsci a Turati erano tipiche di chi in quel momento concepiva la lotta politica con molte componenti di acceso fanatismo e settarismo come se fosse stato Turati a scatenare la guerra che per un certo momento Gramsci aveva larvatamente appoggiato (successivamente in carcere Gramsci elaborò altra più moderata strategia come è noto). E comunque fanno il paio le sue accuse con gli insulti che Togliatti scrisse su “Stato operaio” a cadavere di Turati ancora caldo. Storie vecchie che non è il caso di rivangare soprattutto se si oppone, come qui si fa in maniera ellittica, una presunta “purezza” militante di Gramsci rispetto a comportamenti di opportunismo o inerzia, se non di intelligenza con in nemico di classe messi in atto da Turati. Donald Sassoon nel suo libro sui “Cento anni di socialismo” in Europa occidentale evoca una frase di Shakespeare a proposito di Rivoluzionari vs riformisti: combat eterno che sfocia nel paradigma “Coriolano”, ossia la sconfitta dei due contendenti. “Che muoiono l’uno a causa dell’altro”. Paradigma eterno della sinistra frazionista e scissionista fin dai primi vagiti. E adesso moribonda se non già morta. Forse anche per ragioni come questa.

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  2. alfio.squillaci 3 anni fa

    dopo ….una comunione intellettuale e morale di tutti», occorre chiudere con le virgolette » di chiusura la citazione di Gramsci

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  3. Ugo Rosa 3 anni fa

    Capisco che Turati le sia tanto caro da farle tirar fuori un Gramsci luciferino (peraltro divertentissimo) che, nel chiuso della sua stanzetta, indossa il reggicalze per spassarsela, montato sullo sgabellino, con la cognata munita di strap-on…ma non era necessario, mi creda…io voglio bene quanto lei al povero Filippo.
    Possiamo, se vuole, incontrarci su quello che ne diceva Camillo Olivetti (papà di Adriano) il quale gli voleva ancora più bene di noi, tanto che organizzò la sua fuga in Francia:
    “Conosco Filippo da trent’anni e gli sono amico. E’ una brava persona. Purtroppo la sua azione parlamentare è stata nefasta: non è uomo d’azione e di lui si può dire il contrario di quello che Goethe fa dire a Mefistofele: pensa il bene e fa il male”.
    Una brava persona dunque, il povero Filippo, e non aggiungerei altro. Va bene così?
    Della “sinistra frazionista e scissionista” invece me ne infischierei, se permette, almeno quanto di quella “moderata e riformista”. Mi atterrei, piuttosto, a Feuerbach: der mensch ist was er isst…e trovo che Saviano sia precisamente l’incarnazione di quel motto.

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