La nemesi medica (Moritat)

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3 Aprile 2020

Il mondo sta vivendo quella che Illich, mezzo secolo fa, già definiva “La nemesi medica”. Gli avvenimenti di questi giorni dimostrano fino a che punto siamo ostaggio della nevrosi sanitaria e in che misura e con quale flessibilità essa risponda alle esigenze del dominio. La mitizzazione e l’eroicizzazione della corporazione medica sono solo la punta di un iceberg che affonda nell’abisso dello sfruttamento e del profitto. Saremmo, forse, in via di guarigione solo comprendendo che nessuno (per quanto ciò sia umano, perfino “troppo umano”) dovrebbe essere grato al medico che lo aiuta a curarsi più di quanto lo è all’idraulico che gli stura il cesso. Questo sentimentalismo da soap opera, con il “Dottore” angelizzato, è il sintomo peggiore di una malattia che finirà per ucciderci e che, anzi, ci sta già ammazzando. I medici – dovrebbe essere un’ovvietà – non sono “Santi” per attestazione accademica e, detto per inciso, non sono neanche “scienziati”: sono tecnici ovvero praticanti di un’arte, per il cui esercizio sono pagati (spesso profumatamente). Una technè che andrebbe, data la sua natura, rigorosamente sottoposta alle esigenze della comunità.
Quando l’argomento coronavirus sarà archiviato, se mai lo sarà, l’etica indicherebbe una sola strada: l’abolizione dell’esercizio della medicina in forma commerciale, l’eliminazione di tutte le botteghe da cerusico, da quelle all’ingrosso fino all’ultima al minuto; dalla clinica dove i ricchi vanno a farsi curare col pranzo servito in camera dal ristorante che preferiscono, fino all’esercente con partita iva che mette i malanni altrui, dal cancro al mal di denti, all’attivo della sua contabilità ordinaria. A chiunque eserciti la medicina, in ogni ambito (comprese odontoiatria e psicanalisi) e con qualunque metodo (dalla chirurgia all’agopuntura), andrebbe, per pura decenza morale, impedito di lucrare indegnamente sulla salute, come invece avviene nella compiaciuta e ridanciana kermesse del mercato globale. Ma la domanda è proprio questa: è pensabile che ciò accada in un mondo nel quale tutto è merce? Per quale ragione, dal momento che ogni cosa ha il suo prezzo (“giusto” aggiungono gli apologeti del sistema) la vita umana non dovrebbe averne? E infatti ciò che ho appena scritto verrà giudicato ridicolo, una stramberia “ideologica”, in primis da quella folla di strozzini sanitari ai quali ci si rivolge quando non si ha nessuna alternativa che farsi prendere per la gola da un usuraio in camice bianco. Questi ottimi padri di famiglia, colonne della società, spesso ferventi cattolici (come tali integerrimi obiettori di coscienza quando se ne dia il caso) che ogni giorno dell’anno, nei loro studi privati, fatturano poche centinaia di euro e ne incassano a migliaia. Come sciacalli saranno proprio loro a beneficiare, per conto del sistema di cui sono espressione, del prevedibile incremento di patologie d’ogni genere conseguente a questa paranoia pandemica. Una pacchia.

TAG: coronavirus, Cultura, giornalismo, innovazione, italia, Lavoro, politica
CAT: costumi sociali, società

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