Letteratura
Rileggere i Demòni di Dostoevskij guardando alle guerre di oggi
La riflessione critica di Dostoevskij, le profezie di alcuni protagonisti dei Demòni, lette oggi, sembrano anticipare le derive di alcune delle religioni politiche del novecento
Gli eventi drammatici di questi anni sono occasione di riflessioni che nascono, non volute, anche dal caso e dalle letture fortuite o forse suggerite dallo spirito dei tempi che stiamo attraversando. Rileggere il romanzo I Demòni di Fëdor Dostoevskij, rileggerlo in questi tempi di guerre, soprattutto quella in corso in Europa lascia pensare.
Un libro scritto 150 anni fa che ha rappresentato da allora un potente magnete ideologico ed estetico , un romanzo di critica contro il movimento rivoluzionario russo nichilista dell’ottocento, da cui le interpretazioni che vedranno nei Demòni un romanzo in qualche modo premonitore della rivoluzione del 1917 e di tutte le lotte sanguinose che ne sarebbero seguite.
Un contesto magmatico nel quale presero forma nella società russa , che viveva una modernizzazione attardata e traumatica, pensieri e concezioni del mondo destinate ad influenzare e determinare il substrato culturale e le ideologie politiche del novecento.
Romanzo confuso, notturno e simbolico, ispirato ad un reale fatto di cronaca del 1869, quando l’anarchico Sergej Nečaev, legato a Michail Bakunin (con cui fu autore de Il Catechismo del rivoluzionario) uccise uno studente, sospettato di voler abbandonare la cellula dell’organizzazione sovversiva da lui fondata: la Narodnaja Rasprava – Giustizia Popolare.
Ambientato in una città della provincia russa, vicino San Pietroburgo dove un cinico abile burattinaio, Pëtr, guida una cospirazione sovversiva, preceduta da quella che oggi, definiremmo una campagna d’odio.
In questa impresa il fine giustifica ogni mezzo, cosi nel terrorismo politico non si indietreggia davanti a nulla per difendere la causa, nemmeno l’omicidio di un compagno.
Dalla folla dei personaggi emergono alcune figure , l’ateo che vuol farsi Dio, il socialista andato in America a studiare la condizione degli operai che poi diventa credente appassionato della missione del popolo russo, la figura tormentata dell’ideologo Stavrògin, dissoluto e violentatore, personaggio dal fascino sinistro che persa la fiducia nella giustizia si avvia all’autodistruzione.
Il travaglio intellettuale di Dostoevskij lo portò a superare il socialismo utopico per convertirsi ai Vangeli, ispirandogli l’idea che, in un mondo abbandonato da Dio, la Russia con le sue istituzioni premoderne e il suo popolo sofferente, potesse in qualche modo rappresentare l’unica salvezza.
Ispirato e influenzato dal panslavismo ideologico che si forma in quegli anni e che, da movimento riformatore si trasforma, con l’emergere della Germania prussiana, in una reazione nazionalista che auspica di ricostruire la dignità dell’impero zarista e si fa presagio di un scontro futuro con l’Europa e l’Occidente.
Non a caso in quegli anni esce il libro “Russia e Europa” di Nicolaj Danilevskij che influenza lo scrittore e il circolo degli amici della rivista Aurora. Danilevskij sosteneva la contrapposizione , la competizione della civiltà slava con la civiltà occidentale, fautore di una federazione slava con Costantinopoli per capitale, la Russia avrebbe dovuto proteggere i popoli slavi, con la missione di sostituirsi all’occidente, ormai destinato al declino e alla scomparsa.
Dentro questo quadro, Dostoevskij legge la crisi della società russa contemporanea come frutto della perdita delle sue radici tradizionali, identitarie e religiose, dove il peso della dura realtà preme sulle nostre vite, psicologie e destini, in un caos dal quale si potrà uscire solo con una rinascita religiosa, dove l’identità di un popolo è la sua religione. L’idea dunque di un sacrificio per la fede, il podvig, come scrive nel “Diario di uno scrittore”, un atto eroico sia interiore che esterno politico e militaresco, una sorta di visione imperialista in senso mistico.
La presa di coscienza della condizione umana non basta più a risollevarsi, ma occorre un “uomo nuovo” che 50 anni dopo si sarebbe realizzato nella figura simbolo dell’Operaio dei Soviet, ma che in un altra realtà culturale qualcuno quasi negli stessi anni, avrebbe cominciato a teorizzarlo nel “superuomo” , con Nietzsche.
In assenza di questa rinascita e recupero identitario e religioso, questo il messaggio finale dei Demoni, rimane solo un antropologia negativa senza speranza e la dissoluzione.
Dostoevskij teme infatti una sorta d’apocalisse. Le idee socialiste, di cui anche il cattolicesimo romano secondo lo scrittore era in qualche modo colpevole ascendente, una volta penetrate nelle menti deboli dei giovani nichilisti russi, si sarebbero impossessate di loro, contagiati, volgendoli al male, appunto i demòni. Ed è a questo contagio che alludono sia titolo del romanzo che l’epigrafe tratta dall’inquietante e per certi aspetti oscuro passo del Vangelo di Luca (VIII, 32-37).
Sembra una sorta di avvertimento che il male nella storia può sempre arrivare, impossessarsi di un popolo intero , convincerlo a gettarsi in un precipizio e morire. La riflessione critica di Dostoevskij, le profezie di alcuni protagonisti dei Demòni, lette oggi, sembrano anticipare le derive di alcune delle religioni politiche del novecento.
Dal fascismo, al populismo mistico e nazionalista, allo stesso comunismo russo disgregatisi in miti palingenetici, ideologie che, come ricorda Julia Kristeva, impossessandosi del bisogno di credere degli uomini, si sono affermate nelle loro varie declinazioni: Padri del popolo, della patria, fuhrer, duci, presidenti o segretari di comitati centrali, partiti unici e della Nazione, suscitando ancora oggi lotte fratricide, razziali, politiche, religiose tra i popoli.
Le idee panslaviste di cui si fa interprete Dostoevskij , scomparse durante il consolidarsi dell’esperienza sovietica, riemergeranno come un fiume carsico, dopo il trauma del 1991 con la scomparsa dell’URSS. Ed appare evidente come oggi alcune di quelle idee caratterizzino il collante di un sovranismo identitario, elemento centrale dell’attuale ideologia nazionalista e militarista del regime di Putin.
Straordinaria attualità di tematiche anche nel nostro contesto, dove per lungo tempo, non siamo stati più capaci di pensare e ammettere a noi stessi il negativo e di conseguenza anche il conflitto e la guerra rappresentano dimensioni quasi impossibili da pensare e concepire nelle sue dinamiche proprie.
La croce e il nulla, la presenza della dimensione del peccato, timori e inquietudini che hanno sempre rappresentato nel cristianesimo potenti elementi simbolici della presenza del male nella storia e che la nostra modernità ha sostanzialmente rimosso. Ed è un tempo nel quale, oggi, a fatica comprendiamo come vi siano nazioni e popoli che stanno ridefinendo la loro identità nazionale nella contrapposizione con il nemico, secondo linee di frattura brutali
Tuttavia dopo l’abisso dei Demòni una piccola luce riapparirà nell’ultimo libro di Dostoevskij, i Fratelli Karamazov, la storia del parricidio assunto a simbolo di un male oscuro, del crollo delle regole della società patriarcale, del rifiuto di Dio e della religione dei padri.
Ma dove, romanzo nel romanzo, appare il Grande Inquisitore il quale , dopo aver arrestato Gesù tornato sulla terra, accusato di aver concesso agli uomini libertà immeritate e distruttive, alla fine lascerà libero il Cristo , mentre la speranza rimarrà incarnata nell’ ultimo dei fratelli, Alëša, educatore di giovani , il cui eroismo mite e sublimato starà nella capacità di accettare il male e farsene carico.
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