Geopolitica

Donbass 2018 – Un film

8 Marzo 2022

Donbass 2018

un film da vedere, ma non per quello che credi.

 

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Ci ho pensato a lungo prima di scrivere. Il clima militarizzato costringe alla sua retorica bellicista, chi dubita sta col nemico, chi dubita molto presto potrebbe essere il nemico. Il dubbio, la decostruzione, l’uso della ragione, le argomentazioni, la ricerca, trovano più spazio nella curva di uno stadio che qui, oggi. Fossi qualcuno che conta Riotta mi metterebbe nella sua Black List maccartista. Già.
Siamo in “quasi guerra” da 10 giorni e abbiamo già digerito la Black List.
Non mi importa, non mi toglierete il dubbio.

La guerra. Cos’è sta guerra? L’orso russo che invade l’Ucraina per ambizioni imperialistiche. Chiaro e pulito. Indubbio. E’ così infatti. Parlare in questo clima “del prima” diventa -a prescindere- dare un alibi all’aggressore russo. Parlare oggi “del dopo” equivale a dichiarare inutile la resistenza del popolo ucraino. Una gabbia ideologica ha già rapito e fissato le sue pareti invisibili, cattura tutti i pensieri. Si vive e si parla perciò solo dell’istante. Ogni argomento deve avere il suo solido piedistallo emotivo, ha il volto di una famiglia disperata a cui segue lesto un carico d’armi in partenza per la Polonia. Se parli d’altro sei un vigliacco, sei un colluso.
Ma il dubbio parla di ieri, parla del futuro, delle macerie che resteranno, di come Andrew parlerà dopodomani con Boris. Di come ne usciremo. L’istante meccanico-bellicista reagisce a questa palette troppo ricca di colori rispondendo che la cosa non interessa certo le attuali faccende belliche. Ma il dubbio insiste che tutte le faccende belliche saranno viste già solo domani come una follia, come una febbre che arrivò e ci colpì oltre la capacità di intendere.
Come dirvi perciò che vi parlerò di ieri non per giustificare l’oggi, non per creare alibi al nemico? Ve lo dico così, di piatto. Non ho bisogno di alibi, per il resto sapete dove trovarmi.

Oggi ho visto il film Donbass del regista ucraino Sergei Loznitsa. Un film tecnicamente bellissimo, che vi consiglio vivamente. Racconta in 12 brevi episodi il separatismo del Donbass, la regione a sud est dell’Ucraina. Possiede una capacità narrativa spettacolare. Le immagini sono vivide, virate al blu, ricordano i colori di Kusturica, la camera si muove in modo ipnotico, rallenta, coglie le splendide capacità attoriali degli interpreti. I dialoghi sono scritti magistralmente, come d’altro canto usa tutta la cinematografia di scuola ex-sovietica.

E’ un film bellico, è un’arma di propaganda, è uno strumento di delegittimazione del nemico, è un film osceno. Magistrale ed osceno. Se un pudore non mi trattenesse lo paragonerei al dolore della perfezione che provoca la visione di un film della Riefenstahl, ma non è così, la reductio ad hitlerum va evitata, corrompe.

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Le dodici inquadrature dell’opera di Loznitsa si chiudono a cerchio intorno alla tesi che un mucchio di barbari russofili burocrati e corrotti si sia impossessato di un pezzo di territorio e tenga il suo stesso popolo in sotterranei, creando ad arte la sapiente illusione d’essere perennemente sotto attacco. Scompare Azov, scompaiono i suoi razzi Grad su Mariupol, e per Loznitsa resta solo il complotto, l’autoattentato del nemico interno, la macchinazione. Ogni attacco è infatti provocato dal nemico stesso, da quel gregge comunista rapito dall’immotivata ossessione di essere sotto assedio fascista. L’illusione domina sovrana in quella distopica regione lontana. Una troupe televisiva del nemico sapientemente prepara ogni giorno le sue macchinazioni dietro le quinte, sposta le sue comparse, fa compiere falsi attentati per addebitarli agli ucraini, ed infine uccide le stesse comparse per non lasciare testimoni. Un popolo di ubriaconi, di fanatici, di donne dominatrici e di uomini smidollati vive nelle fauci del suo stesso inferno dantesco, in preda alle sue ossessioni. Sono russi.

Ogni reportage indipendente dal Donbass che non sia figlio del fanatismo nazionalista racconta ovviamente tutt’altro. Ma non è questo il punto, il punto non è cosa siano in effetti quelle repubbliche secessioniste, non qui almeno, ma come si costruisca una narrazione tossica per il resto della nazione. Ogni inquadratura contribuisce a mortificare l’avversario a dare l’illusione che sia un burattino, che quel popolo autosegregatosi in cantina necessiti di un esercito liberatore che lo riporti alla ragione.

Infine arrivano i titoli di coda. Il film è una coproduzione. Lo abbiamo pagato in buona parte noi europei. Germania, Francia, Norvegia, Romania. Nessun complotto, nessuna macchinazione, niente da svelare. In un paese spaccato e conflittuale, nel pieno corso di una guerra civile sanguinosa, abbiamo pagato questa produzione. I russi avranno fatto altrettanto, lo scrivo qui ovviamente per le aquile del politicamente corretto, ma non servirebbe. Non mi interrogo sul nemico, già da troppi balconi si fa questa ginnastica sciovinista, mi interrogo sulla mia gente, curo il mio di veleno. Solo ieri abbiamo pagato questo prodotto. Perché? Quali sono le intenzioni del nostro blocco politico, culturale, militare?

A questo serve il dubbio. A sopravvivere all’istante.

“Per noi ucraini, la guerra è in atto già da otto anni”
Sergej Loznitsa

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ps.Il film è reperibile anche su youtube

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