America
Laura Loomer, “islamofoba orgogliosa” che riesce a far bloccare i visti per i bimbi di Gaza
Laura Loomer dimostra che, nell’America trumpiana del 2025, la capacità di incidere sulle decisioni pubbliche non passa solo attraverso le cariche istituzionali. Anzi. Il caso dell’influencer dell’estrema destra, che si definisce da anni una “proud Islamophobe” e che è stata bandita da diverse piattaforme per le sue posizioni, è esemplare: dopo una sua campagna social contro l’arrivo negli Stati Uniti di minori feriti da Gaza per cure mediche, il Dipartimento di Stato ha annunciato una pausa nell’emissione dei visti per i residenti della Striscia , come raccontato da Il Manifesto e dal Financial Times, “in attesa di una revisione completa”. Marco Rubio, segretario di Stato, ha spiegato che lo stop è seguito a “segnalazioni di vari uffici del Congresso”; Laura Loomer, invece, ha rivendicato il risultato come una vittoria personale ottenuta grazie alla sua vicinanza alla Casa Bianca.
La decisione ha allarmato le ong che organizzano missioni sanitarie per i bambini gravemente feriti, chiarendo che si tratta di ingressi temporanei, finanziati da privati, con ritorno in patria al termine delle terapie. HEAL Palestine e altre organizzazioni parlano di un provvedimento che mette a rischio vite e interrompe percorsi clinici già avviati.
Per comprendere la parabola di Loomer occorre guardare alla sua ascesa negli ultimi anni: sospesa ripetutamente dalle piattaforme per violazioni legate a incitamento all’odio e disinformazione, ha capitalizzato il clima iperpolarizzato, fino a diventare una figura ascoltata nell’ecosistema Maga. Trump l’ha elogiata in pubblico, definendola una “grande patriota”, mentre lei si è ritagliata il ruolo — non ufficiale — di “zar del controllo” e “guardiana della lealtà”, spingendo per epurazioni nell’apparato federale. Un’inchiesta del Financial Times ha ricostruito come, dopo alcuni suoi dossier, il presidente abbia rimosso un gruppo di alti funzionari della sicurezza nazionale, e come lei continui ad avere accesso ai vertici dell’amministrazione, pur tra contrasti interni.
Laura Loomer è un personaggio divisivo anche nella destra. Alcuni strategisti minimizzano la sua reale influenza, descrivendola come una presenza ingombrante che costringe lo staff a pararle la strada; altri, come il direttore di Breitbart a Washington, ne esaltano la combattività “da base”, utile a misurare l’ortodossia Maga. Ma la scia di episodi è ormai corposa: dalla campagna contro un addetto stampa del Dipartimento di Stato bollato come infedele alla linea su Israele, fino alla pressione sull’FDA per l’uscita del responsabile dei vaccini e delle terapie geniche Vinay Prasad — salvo poi vederlo reintegrato pochi giorni dopo, segno che nell’amministrazione non proprio tutti danno retta all’ultima sparata.
Il tratto che più preoccupa i critici è la normalizzazione di un linguaggio apertamente ostile ai musulmani. In passato Loomer ha rivendicato l’etichetta di “islamofoba orgogliosa”, ha rilanciato teorie complottiste su un “inside job” dell’11 settembre e si è spinta a scrivere che, con Kamala Harris alla Casa Bianca, l’edificio “puzzerebbe di curry”: commento condannato come “estremamente razzista” anche da figure della destra trumpiana. Questi precedenti sono tornati al centro del dibattito proprio mentre la sua pressione ottiene effetti sull’agenda governativa.
Il blocco dei visti per Gaza arriva inoltre in un contesto securitario più ampio: il Dipartimento di Stato ha annunciato una revisione rafforzata degli oltre 55 milioni di titolari di visto, mentre in Israele crescono le proteste contro la guerra e il tema umanitario torna in primo piano, facendo da cassa di risonanza alle polemiche sulla linea di Washington. In questo quadro, la narrativa di Laura Loomer — che dipinge i minori feriti come una minaccia — si inserisce in una strategia politica che fa della “vigilanza identitaria” una leva di consenso.
Resta da chiedersi quanto durevole sia il suo potere. Lo stop ai visti, per esempio, non è una cancellazione definitiva: è una pausa “per verifica”, suscettibile di essere modulata o rimossa in base a valutazioni tecniche e alla pressione delle ong e del Congresso. Allo stesso modo, il rientro di Prasad all’FDA mostra che i meccanismi istituzionali possono frenare gli impulsi punitivi partiti dall’ecosistema dei social e degli influencer. Ma l’episodio segna un precedente: una figura senza incarico pubblico ha orientato, almeno in parte, una decisione con impatto diretto su persone vulnerabili e su reti ospedaliere statunitensi.
Per i sostenitori, Laura Loomer è la “coscienza” del trumpismo, capace di scovare “traditori” annidati negli uffici federali. Per i detrattori, è il simbolo di una politica che esternalizza il processo decisionale a personalità mediatiche, spesso premiando la viralità più che la verifica. In mezzo, rimangono i pazienti pediatrici di Gaza e le loro famiglie, sospesi tra una burocrazia irrigidita e una battaglia ideologica che li ha trasformati in bersagli. È lì, sulla vita concreta di quei bambini e sull’autonomia delle istituzioni, che si misurerà il vero lascito del “metodo Loomer”.
Immagine di Copertina da Wikimedia Commons, foto di Gage Skidmore, Creative Commons
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