
Geopolitica
Gaza, Buča, Srebrenica: quante volte, ancora?
Quante Gaza, quante Buča, quante Srebrenica può contenere la nostra storia? Quanti sicari dell’anima e maschere per un massacro?
C’è un libro di Joseph Conrad, “Cuore di tenebra”, scritto nel passaggio d’epoca tra 1800 e 1900. Il protagonista Marlow compie un viaggio nel cuore del Congo, risalendone il fiume, per cercare e riportare a casa Kurtz, mercante d’avorio, capo carismatico e degenerato, venerato come una divinità. Sì, Dio e le guerre. Il cuore di tenebre è allo stesso tempo cuore di una terra sconosciuta, sfruttata, violentata e simbolicamente anche il cuore e la mente buia dell’inconscio dell’uomo. Marlow e Kurtz sono ancora con noi.
Trent’anni fa l’Europa che festeggiava la sua riunificazione con i paesi dell’est, scoprì a poche centinaia di chilometri dai suoi confini la guerra, i campi di prigionia e il genocidio pianificato delle popolazioni musulmane bosniache a Srebrenica. Era successo di nuovo, come aveva preconizzato Primo Levi, 50 anni dopo Auschwitz. Il mondo, gli stati vicini e l’Onu assistettero impotenti allora come oggi.
Guardiamo le immagini della guerra in questi anni, mesi, giorni. Ieri, oggi e domani. Immagini che hanno in comune l’orrore: l’orrore come violenza e accanimento sul corpo dell’inerme, i bombardamenti, i corpi lungo le strade, nei cortili, nelle case, gli ostaggi e gli assedi. L’impotenza è manifesta e sentiamo tutta l’inadeguatezza personale, collettiva e della nostra tradizione storico-politica nel leggere il grumo che stiamo attraversando.
Il susseguirsi rapido e violento di queste vicende in breve tempo ha fatto giustizia di un’intera epoca, mettendo sul tappeto ormai il tema del destino della nostra cosiddetta civiltà giuridica, di stato di diritto. Mai come ora sembrano attuali le parole di Seneca: -ducunt volentem fata, nolentem trahunt- “il destino conduce chi si lascia guidare e trascina chi non lo vuole”, parole con le quali Oswald Spengler concludeva il suo Tramonto dell’Occidente.
Mentre lo sforzo secolare di ampliare i diritti e la giustizia si è arrestato, agendo in senso contrario a questo processo, la fine di un sentire comune e la trama di una legge morale positiva. Siamo di fronte al dilagare di una logica di forza, sangue e terra, e solo quando la polvere del conflitto si sarà diradata sul terreno, solo allora ci si fermerà. In tutto ciò ormai, il numero delle vittime, per quanto la cosa sia cinica, appare ormai totalmente irrilevante. Il rischio di fare un deserto e chiamarlo pace è altissimo, è già in atto.
Si gioca sull’effetto di assuefazione e sul prendere l’avversario anche per sfinimento, prevale la sensazione di una irreversibilità degli eventi.
Mancano oggi poteri capaci di trattenere il male, dobbiamo cercarli. Mentre si scoperchiano nuovi vasi di Pandora, Prometeo è incatenato a una roccia ai confini della Terra,
In un mondo secolarizzato, dominato dall’organizzazione di apparati e forze sovranazionali, quando e come potrà nascere un nuovo ordine? Chi frenerà il potere? Come si ristabilirà un mondo dei giusti?
Bisognerebbe innanzitutto capire come si è arrivati a tutto ciò, come tutto sia stato sostituito dalla logica del rancore e delle rivalse, della violenza, della rabbia e dell’odio di cui i nuovi potenti del mondo sembrano i catalizzatori, con gli altri paesi a giocare il ruolo di comprimari, a volte alleati, a volte parassiti, free rider, vassalli.
Apparteniamo a una generazione che nel 1989 è andata a raccogliere i pezzi del muro di Berlino in frantumi, sperando nell’arrivo di una storia nuova che non è mai arrivata.
Abbiamo visto di nuovo la guerra e poi la Bosnia e poi la speranza della pace tra i grandi e poi i massacri in Congo, Ruanda, Sudan, Corno d’Africa e ancora lo schianto delle Torri Gemelle con le sue tremila anime, l’Afghanistan e ancora l’invasione in Iraq e poi in Ucraina le fosse comuni e poi la nuova carneficina mediorientale.
Nessuno può negare gli straordinari progressi della nostra civiltà nelle scienze, nella medicina, nella tecnica, nel miglioramento complessivo della vita di generazioni, eppure come se avessimo stipulato un patto faustiano con Mefistofele, a questi progressi sembra corrispondere un’anima nera venduta al male e che sembra avvolgere la nostra storia di viventi.
Freud la chiamava pulsione di morte autodistruttiva, un secolo fa.
Arrivati a questo punto, non possiamo che dubitare del valore della nostra presenza come civiltà, del resto fu Claude Lévi-Strauss a pronunciare su questo parole definitive: “il mondo è cominciato senza l’uomo e finirà senza di lui”.
Ma dato che siamo ancora qui, la storia dell’uomo è sì una storia nel peccato, ma non possiamo limitarci ad evocare il male, la compassione, la condivisione con la sofferenza e le vittime, senza assumersi mai responsabilità.
Le comunità degli uomini hanno il dovere di affrontare il male e tentare una soluzione. Sino ad ora le politiche di potenza, della forza, della guerra sono risultate incontenibili con gli strumenti attuali della politica internazionale.
Ma il mondo in una settimana ha giustamente affossato sui mercati finanziari o comunque costretto a un ripensamento il delirio economico autarchico e protezionistico di Trump. Dopo anni, invece, nessuno indice di borsa riesce ancora a fermare le guerre ed isolarne i protagonisti. Su questo dato si sta misurando una persistente ideologia della nostra civiltà contemporanea come falsa coscienza: il prevalere del valore monetario su quello della sacralità e tutela della vita.
Occorre individuare, adesso non domani, uno o più soggetti, riconosciuti da tutti, che assumano su di loro il monopolio e l’uso di un potere e un’autorità capace di dispiegare pressioni e reali forze di interposizione nelle piaghe delle linee di guerra.
Una comunità internazionale che rischi in prima persona, non dietro soffusi palazzi di vetro, verificando e lavorando alle condizioni di una tregua, se vi sono ipotesi in campo, altrimenti saremo lasciati soli e tutto si compirà secondo il dominio e il destino.
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